
Origini segrete – Il gusto dell’occasione mancata
Disponibile su Netflix, Origini Segrete è il film crime di produzione spagnola che promette di aggiungere un nuovo tassello nel panorama dei racconti sui supereroi. Tratto dall’omonimo romanzo di David Galán Galindo, il film Netflix – scritto e diretto dallo stesso romanziere, con Fernando Navarro – tenta di arricchire attraverso un chiaro orizzonte iconografico la trama strettamente noir e poliziesca del racconto, attingendo a piene mani dal mondo ormai consolidato del fumetto supereroistico americano. Ma proprio a partire da questo ultimo aggettivo – americano – prende il via un’escalation di occasioni mancate che rendono questo pur godibile film un interessante, ma programmaticamente incompleto, esercizio di stile.
Innanzitutto, va chiarito che l’ecosistema audiovisivo contemporaneo è da tempo saturo di prodotti che immaginano l’esistenza dei supereroi nel “mondo reale” (o comunque realistico): da Kick-Ass a Watchmen, passando per testi meno memorabili come Hancock, prodotti nostrani come Lo chiamavano Jeeg Robot e highlights del momento quali The Umbrella Academy e The Boys troviamo una costellazione di possibili scenari in cui la figura del supereroe trova spazio in un mondo a noi familiare, meno colorato e meno camp, pur mantenendo quell’elemento cruciale che è l’origine segreta del suo diventare eroe. Proprio su questo punto Origini segrete si fa – volente o nolente – discorso dell’impossibilità del realizzare un’origine che sia legittima, coerente e accettabile.
Il punto di partenza del film Netflix sta, infatti, nell’esistenza di un serial killer che colpisce le proprie vittime inscenando le origini di alcuni famosi supereroi. Ovviamente il caso viene affidato a un detective che detesta il mondo dei fumetti (Javier Rey) e altrettanto ovviamente ad assisterlo ci sarà un nerd fatto e finito (Brays Efe), proprietario di una fumetteria e figlio del mentore del protagonista, un poliziotto in pensione (Antonio Resines) ancora in lutto per la perdita del figlio maggiore che ne aveva seguito le orme.
In un crescendo di facili stereotipi alternati da retorica post-Big Bang Theory – i nerd non sempre sono degli “sfigati” – Origini segrete non riesce a non apparire la parodia di sé stesso, pur mostrando una notevole preparazione iconografica e contenutistica di partenza: lo stile registico rispecchia i canoni del noir di stampo fumettistico, le “origini” intorno a cui avvengono gli omicidi sono curatissime e ben riconoscibili, alcuni dettagli della messa in scena farebbero la gioia di qualsiasi appassionato di fumetti; eppure le limitazioni vincono sulle potenzialità, tradendo un “vorrei ma non posso” continuo e costante.
Partendo proprio dai riferimenti, se è vero che molti supereroi famosi vengono esplicitamente nominati – eccezion fatta per l’innominabile conteso di casa Sony, sempre evocato, ma mai richiamato – questi sembrano non poter mai essere rappresentati, probabilmente per prevedibili ragioni di proprietà intellettuale; per questo, sulle copertine dei fumetti e nei poster presenti in molte inquadrature, compaiono improbabili ibridi che ricordano certi esperimenti narrativi dell’Image Comics dei primi anni ’90. Delle immagini originali, invece, restano solo frammenti, che si completano con le scene dei macabri e ingegnosi crimini.
Ma il vulnus più grande di questo prodotto, consapevolmente celato sotto una patina di retorica rivalsa politica e sociale, sta proprio nel tentativo di dipingere una Madrid contemporanea come fosse una New York in miniatura, in cui persino il mondo nerd può celare un sottobosco losco e deviato. Ma Madrid – e la Spagna in generale – non è l’America, e questa distanza geografica, culturale e linguistica si respira in ogni sequenza, restituendo allo spettatore un film in cui gli abiti civili e i costumi dei personaggi diventano quasi indistinguibili e altrettanto inverosimili.
C’è da dire, in ogni caso, che dalla visione di Origini Segrete si possono ricavare alcuni interessanti elementi di riflessione su un genere – il supereroistico – che ormai ha affinato e codificato un linguaggio produttivo e narrativo ben riconoscibile: innanzitutto è chiaro che le origini dei personaggi Marvel sono più iconiche di quelle degli eroi DC (nel film vincono cinque a uno), che Batman resterà sempre il metro di paragone per qualsiasi supereroe a venire e che Netflix, a modo suo, fa di tutto per poter espandere i fili della rete che si dipana attraverso i propri contenuti, regalando allo spettatore quel senso di appagamento che si ha nel trovarsi sempre e comunque in un contesto di familiarità.
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Stranamente nell’articolo non si fa menzione dell’evidente somiglianza con inquadrature, mood e trama che ricorda Seven (un elemento su tutti, la vittima imbalsamata di nome Victor). Al punto che l’elemento fumettistico pare quasi un tentativo di distrarre lo spettatore.
Grazie Max dell’attenta segnalazione! Il film è in effetti una stratificazione di citazioni e rimandi (pensiamo al cattivo sfigurato o a tutto lo svolgimento della scena finale) che però rischia troppo spesso di scadere nell'”edonismo citazionista”, perdendo un’unità linguistica di fondo.