
Intervista a Simone Bardoni | Concorto Film Festival 2020
La nostra intervista a Simone Bardoni, il direttore di Concorto Film Festival: abbiamo parlato delle novità di Concorto 2020, della condizione della forma cortometraggio in Italia e in Europa, del ruolo della donna nello scenario cinematografico contemporaneo, e del focus Lituania.
intervista di Maria Francesca Mortati e Luca Mannella
Volevamo partire più che con una domanda, con una sorta di auto-presentazione: quali sono le novità del festival di quest’anno, quali gli obiettivi di questa diciannovesima edizione di Concorto, anche in relazione agli ostacoli imposti dalle contingenze esterne, a tutti note.
Intanto siamo molto contenti di essere riusciti a fare questa edizione, nonostante la situazione, anche per il fatto che Concorto è un evento quasi totalmente all’aperto. Ci tenevamo molto a garantire un evento-cinema come quello di Concorto Film Festival, sia per il territorio sia per la continuità dell’edizione. Non volevamo andare online, perché crediamo che il festival sia questo, ovvero vedere i film sul grande schermo in collettività; i festival online hanno tutto il nostro rispetto ma sono un’esperienza diversa: esserci è stata la cosa più importante. Poi siamo contenti perché il lavoro di selezione è stato lunghissimo ed intenso e il fatto di accaparrarsi ben ventinove prime, anche di film proiettati per la prima volta sullo schermo, è stato un successo; volevamo restare attaccati al contemporaneo, restare aggiornati.
Un mesetto fa su Kontainer16 è uscito un articolo-pamphlet di Carlo Griseri (direttore del Seeyousound) che, tra l’altro, quest’anno ha partecipato al Concorto Film Festival scegliendo insieme a Matteo Pennacchia alcuni film della rassegna Music Riot. I punti essenziali del suo discorso sono due: in primo luogo Griseri si pone il problema della ghettizzazione della forma “cortometraggio” e, di conseguenza, della marginalizzazione che subiscono i festival che eleggono come protagoniste questo tipo di opere. In secondo luogo propone, forse provocatoriamente, di abolire la stessa parola “cortometraggio” dal vocabolario cinematografico. Tu come ti poni rispetto a questa questione, e che posizione assume in questo scenario il Concorto Film Festival?
Allora, il “cortometraggio” come oggetto in Italia è ancora relativamente di nicchia, perché fuori dal circuito festivaliero non vengono praticamente visti o vengono considerati come film minori, mentre la terminologia «short film» in uso all’estero, come diceva anche Griseri nell’articolo, va già verso una direzione di valorizzazione. Sono comunque dei film, semplicemente hanno una durata inferiore, è un’altra forma espressiva, come il racconto rispetto al romanzo; non credo che i racconti di Raymond Carver abbiano meno valore di altri romanzi. I cortometraggi che proiettiamo qui a Concorto Film Festival sono grandi produzioni, non sono corti low-budget, la nostra selezione è abbastanza impegnativa e deve essere vissuta come un certo tipo di narrazione, come un certo tipo di esperienza e su una certa durata. Nei grandi festival che raggruppano tante sezioni, il corto è quasi sempre una categoria laterale, minoritaria; il festival dei cortometraggi hanno un po’ il compito di valorizzare il film-breve come contenuto di cinema con la “c” maiuscola. Le opere che ospitiamo e che abbiamo ospitato sono opere cinematografiche indipendenti a tutti gli effetti, come per esempio Electric Swan di Konstantina Kotzamani dove siamo al confine tra cortometraggio e lungometraggio. Molti registi prendono il cortometraggio come primo passo verso un futuro lungometraggio, altri si fermano a fare solo opere brevi, sempre più professionali e con produzioni più importanti. Diciamo quindi che è un’industria, un circuito che ha una sua specificità e delle sue qualità, e soprattutto non è morto, come ogni anno si cerca di far passare. Anzi le produzioni ogni anno aumentano e progressivamente acquistano un’idea di cinema, uno stile e una visione registica a sé stanti, non si assomigliano tra di loro. Un’altra cosa ottima riguarda il fatto che il mondo del cortometraggio è molto legato al contemporaneo, dunque a sperimentazioni narrative e a nuove idee di racconto. Non deve essere pensato come qualcosa di amatoriale.
Durante l’incontro con l’Associazione “Non una di meno” è stato affrontato il discorso delle quote rosa, un termine decisamente antipatico; si è fatto però presente come – nel tentare di passare da una situazione di disparità ad una di parità – siano alle volte necessari provvedimenti “dall’alto” che “forzino” l’attuazione dei cambiamenti in atto. Sicuramente qualcosa sta cambiando: la selezione dei corti in concorso e la stessa giuria di Concorto ne sono la dimostrazione. Proprio un contesto come quello del festival riesce a dare il giusto spazio senza forzature. Quanto, però, nel mondo del cinema “mainstream”, questa cosa risulta ancora “una sorpresa”? Ci sono prospettive oltre le cosiddette “quote rosa”?
Il termine quote rosa è abbastanza spiacevole, ma è diventato nuovamente necessario perché nel 2020 ci sono ancora degli squilibri tra partecipazione maschile e femminile talmente grandi da porre la questione. Dovrebbe essere tutto più naturale. Quest’anno a Concorto abbiamo una giuria composta da sole giurate donne, rappresentanti di importanti festival europei: sono delle professioniste, che dovrebbero essere considerate in quanto tali, e non in quanto “quota rosa”. Nei corti in concorso c’è parità totale tra registe e registi: è stato un caso, però ne siamo molto contenti. La disparità è spesso data non tanto dai selezionatori dei festival, ma dallo stesso mondo del cinema, nel senso che le produzioni valorizzano meno il percorso di registe donne, anche per via di un retaggio del passato; al contrario, nell’ambito dei cortometraggi le distribuzioni e le produzioni sono gestite in maggioranza da donne. Nel cinema mainstream risultano quindi effettivamente minoritarie le donne conosciute.
Concorto è un festival molto attento alla rappresentazione della cinematografia internazionale, inclusi i Paesi la cui produzione è meno nota. Hai curato difatti il focus Lituania, ce ne parli un po’?
Concorto da tanti anni ha riservato uno spazio ai film fuori concorso, legato a una nazione estera. Negli ultimi anni ci siamo concentrati molto sull’Europa, soprattutto per valorizzare il cinema europeo in relazione al percorso che Concorto ha fatto con il circuito dei festival di cortometraggi europei. Lituania e Irlanda – i focus di quest’anno – hanno due cinematografie completamente diverse, a loro modo da riscoprire. Il cinema irlandese ha una storia di riconoscibilità molto più marcata e ha un suo elenco di registi affermati. Il cinema lituano in Europa, e soprattutto in Italia, è poco conosciuto fuori dal circuito festivaliero. In collaborazione con Lituania Shorts, che è un’agenzia che si occupa della distribuzione di questi corti, ci siamo soffermati sulla Lituania anche perché è una cinematografia interessante dal punto di vista dell’approccio sulla satira sociale, su questo mondo che – dalla caduta del Muro – ha vissuto varie vicissitudini storiche. È un Paese che ha una cinematografia giovanissima, molto prolifica e molto legata alle ricerche visive. Senza scomodare “gli dei” come Mekas, la Lituania ha avuto un percorso molto eterogeneo, da fiction a film sperimentali. Si tratta di una cinematografia legata al contemporaneo: con questo intendo che è un cinema fresco, nuovo, che vuole dirci qualcosa di diverso. Mentre l’Irlanda è più legata alla tradizione e all’identità del popolo, la Lituania si rivela sperimentatrice. Si nota la differenza con gli altri Paesi che hanno un cinema più “classico”.
Possiamo dire che Concorto sia un festival che si inserisce nel panorama cinematografico come una minoranza (forma cortometraggio) che parla delle minoranze?
In un certo senso sì. Minoranza perché in Italia i festival esclusivamente di cortometraggi sono pochi, e rimane un ambito poco riconosciuto. In Europa siamo partner di festival come quello di Amburgo, Interfilm a Berlino, Short Waves a Poznań, in cui il cortometraggio è molto più consolidato, non è considerato qualcosa di minoritario ma cinema a tutti gli effetti. La nostra è un po’ una battaglia: ci manteniamo identitari sul cortometraggio, perché non vogliamo perdere di vista la nostra identità e la nostra mission.
A maggior ragione, proprio perché tratti di minoranze – abbiamo detto che il cortometraggio è considerato di nicchia in questo Paese – devi dedicare spazio a determinate tematiche. Il cortometraggio è il mezzo cinematografico che trovo più incollato al nostro presente. È il cinema più contemporaneo, che vuole raccontarci qualcosa del mondo che viviamo e fare da piede di porco a tutte le faccende in sospeso: questioni di genere, ambientali, sociali. Sono film impegnativi per il pubblico, che aprono delle finestre: questo è fondamentale.
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