
#Top10Criterion: i 10 film preferiti di Xavier Dolan
Criterion Collection è un’azienda statunitense che immette sul mercato alcuni dei migliori prodotti home-video attualmente in circolazione, riesumando anche classici perduti o fin troppo poco considerati. In questa rubrica Birdmen Magazine ripropone per voi le top 10 che una serie di grandi registi, attori e sceneggiatori hanno stilato per il sito di Criterion. Hanno potuto scegliere i loro film preferiti da un catalogo immenso. Ciascuna scelta è corredata da una nota, più o meno lunga, che, in parte riportata, è piacevolmente disponibile sul sito d’origine, a questo link. Ecco la top 10 del regista canadese Xavier Dolan.
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1. Il bandito delle 11 (Jean-Luc Godard, 1966)
L’ultima forma di libertà. Libertà nelle parole, libertà nelle immagini, libertà nei colori e libertà di amare. Questo è Godard all’apice della sua espressione artistica, l’apogeo della sua opera. Un cinema che non si nega nulla.
2. Sussurri e Grida (Ingmar Bergman, 1972)
Recitazione straordinariamente impressionante, quasi intimidatoria. Tecnica strabiliante. Approfondito e sensibile ritratto di un dolore, malattia, sofferenza e solitudine tangibili. E sfuma nel rosso.
3. Giochi proibiti (René Clément, 1952)
Nella mia lista delle tre storie d’amore che preferisco. La leggendaria colonna sonora di Narciso Yepes conferisce a questo romanticismo giovanile la sua forma e contribuisce alla sua magia, ma è il film ad essere, nella sua interezza, perfetto. La direzione artistica è ispirata e meticolosa; c’è uno sguardo onirico e avanguardista al film. Brigitte Fossey ci offre una performance accattivante e incredibilmente matura, incarnando l’epitomo della bellezza, nonostante i suoi soli sei anni di età. Meravigliosa è la sequenza di apertura raffigurante l’esodo dei francesi dall’occupazione nazista, nel 1940. Ci sono altri studi razionali e genuini sulla giovinezza, tramite una rappresentazione creativa di tutto l’universo dell’infanzia con una grazia e poesia mozzafiato. La scena di partenza è straziante: amo questo film, mi fa desiderare di essere un critico più pretenzioso.
4. I quattrocento colpi (François Truffaut, 1959)
La prima volta in cui mi sono innamorato e sentito ricambiato: fondamentalmente, la mia infanzia (con alcune sfumature, ovviamente). Sono sicuro di non essere l’unico che si chiede dove fossero nascoste le telecamere nella mia casa. Léaud all’apice della sua carriera: ha creato, con il tempo, le regole della sua attorialità, una vera scuola nella sua mente, aprendo la strada a molti attori e attrici. Nessuno ha mai detto: “Léaud è stato davvero terribile in quel film.”No. È Léaud e questo basta. Inoltre, è impossibile pensare a qualcuno che possa rimpiazzarlo, mai. Questo film giustifica chiaramente il suo titolo, ci spazza via. Non mi sento molto originale quando dico che questo film mi ha fatto venire voglia di girarne uno. E mi ha ricordato in ogni minuto di quanto ci sia ancora da imparare.
5. Il sapore della ciliegia (Abbas Kiarostami, 1997)
Un viaggio potente attraverso la disperazione ed il silenzio. Una riflessione grandiosa sul significato della morte ed il significato della vita, ai modi in cui la vita può rivelare la sua bellezza: la dice lunga sul sapore delle ciliegie che cadono da un albero, un albero scosso da un uomo che sta pianificando di impiccarsi su uno dei suoi rami ma che si ricorda, quando assaggia quei frutti prelibati, che la vita vale la pena di essere vissuta. Lunghe riprese singole, scene con l’auto (per cui Kiarostami è giustamente famoso). Un gioiello. Da vedere. Ora, per cortesia.
6. Quando volano le cicogne (Michail Kostantinovic Kalatozov, 1958)
Di nuovo un film avanguardista, 1957. Una grande storia d’amore, ma soprattutto un impressionante lavoro di virtuosità tecnica. Carrellate mozzafiato, sequenze da brividi nella foresta (con una memorabile inquadratura da una bassa angolazione degli all’alberi, inquadratura che si dissolve in un’altra poco dopo), un’incredibile e rapida ripresa in viaggio, catturata da un tram in movimento, nella quale l’attrice principale si immerge nella folla in cerca dell’uomo che ama. Noi la seguiamo finché non viene fermata da una staccionata, quando veniamo fluidamente tirati su dalla macchina da presa e la scena termina con un’inquadratura generale. La direzione artistica è stata superba, così come l’utilizzo delle luci con le tende mosse dal vento e nascondendo la faccia dell’attrice, colpita solo parzialmente dai raggi luminosi. Un vero capolavoro. Tatyana Samojlova, che ha vinto un premio a Cannes per questa parte, è brillante e toccante con la sua messa in scena di una performance minimalista per la sua epoca.
7. Arrivederci ragazzi (Louis Malle, 1987)
Malle è uno dei miei registi preferiti. Lui flirta coi generi: li prova tutti viaggiando per il mondo, rifiutandosi di lasciar andare il documentario, il suo primo amore, sebbene le sue pellicole siano un successo. Questo film, così vicino alla sua esperienza e al suo passato, è un lavoro del raggiungimento della sua maturità, ambientato in Francia sotto Vichy. Spesso penso alle scene di Arrivederci ragazzi durante le mie giornate, come ai momenti di grazia delle sequenze del ristorante o della madre. Trovano un vecchio signore ebreo che cena tranquillamente al suo tavolo e iniziano a vessarlo, domandandogli se sia in grado di leggere: quel posto è vietato agli ebrei, ovviamente, come dice il giovane ufficiale francese. Improvvisamente ogni cliente del ristorante inizia a gridare agli ufficiali, insultandoli (“Collabo!”), insistendo affinché se ne vadano. Così, tra tutta la clientela, i generali tedeschi si alzano e chiedono ai primi di uscire: un punto di svolta cruciale. Contrasto, antagonismo, sensazioni ed emozioni brutali. Il resto è arte e maestria. Questo è ciò cui punta: e questo è ciò che ci arriva.
8. La bella e la bestia (Jean Cocteau, 1946)
Com’è possibile che questo film sia del 1946? Tutta la tensione, le dissolvenze, gli effetti tecnici che oggi sarebbero scontati (“passé”), per il tempo erano rivoluzionari. E questo è esattamente ciò che fu Cocteau: rivoluzionario. Tutte le piccole e geniali invenzioni: candelabri sostenuti da alcune braccia tramite le pareti, i poteri dello specchio, le perle magneticamente attirate nella mano, il loro volo nel finale. Millenovecentoquarantanove! Amare questo film è probabilmente un’affermazione radicale d’identità sessuale. Lo so. Comunque: 1949. Sì, avete capito bene.
9. Mala Noche (Gus Van Sant, 1985)
Van Sant è il mio eroe: questo film è un concentrato di tutte le cose che amo di lui. Giochi di camera brillanti, amori silenziosi e inappagati, meravigliose scene in macchina. Il voice-over è vero ed emozionante, mai superficiale o inutile. È autentico, intimo, universale e senza età.
10. Il fascino discreto della borghesia (Louis Buñuel, 1972)
Una deliziosa incursione nella borghesia. Performance gustose, sorprendenti punti di svolta, finale incredibile e, come sempre nel cinema di Buñuel, una scrupolosa attenzione ai dettagli. Ognuno di essi contribuisce alla magia del film, creando un insieme armonioso. Un particolarmente divertente, strano e intellettuale gioco sulla classe benestante.
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