
Il Drago Riluttante – Il sogno di ribaltare i pregiudizi | Disney+ Revisited
Con il rilascio di Disney+ e la messa a disposizione di tutti gli abbonati di un vastissimo catalogo di prodotti marchiati Disney, i Classici d’animazione senza tempo che hanno accompagnato diverse generazioni di spettatori si trovano ora immersi nell’eterno presente delle piattaforme digitali. Con Disney+ Revisited analizziamo che effetto fanno oggi questi film, a cui viene restituita una nuova vita commerciale.
Vola silente, senza incendiare paesi, ma sorvolando le città per avvolgerle in un manto di crescente paura. È il fumo di una guerra iniziata da lontano, ora giunto in territorio americano, sospinto dalla forza di correnti provenienti da confini stranieri. Soffia con potenza, brucia la gola, fa tremare di paura, ma in quel 1941 negli Stati Uniti lo spettro della Seconda guerra mondiale resta un’ombra da esorcizzare con la potenza delle risate. Ridono gli spettatori, e lo fanno con la buffa figura di un drago riluttante. Quel drago era lo spirito americano, quello di una nazione decisa a non sottomettersi al fragore delle bombe e delle esplosioni. È un drago, l’America, che volge le spalle al proprio destino, senza sapere che da lì a qualche mese le poesie avrebbero lasciato spazio alle lettere di soldati al fronte, e di fotografie da tenere strette a sé mentre il mondo cade a pezzi per rinascere di nuovo.
C’è molto di più dietro la simpatica avventura de Il drago recalcitrante (o Il Drago Riluttante), classico Disney a tecnica mista ispirato all’omonimo testo di Kenneth Grahame. Il mediometraggio del 1941 è un’opera a cui aggrapparsi, una favola in cui credere, nella speranza che l’incapacità di morire in nome di un odio animalesco espanso a livello mondiale, cessi per magia. Ma così non fu. L’attacco a Pearl Harbour fu la miccia di una bomba pronta a esplodere già da mesi.
Come è poetico, dunque, riguardare a posteriori questo piccolo gioiellino, così fanciullesco e ingenuo, e proprio per questo intriso di fantasia e speranza? Ben venga allora la cornice introduttiva che vuole Robert Benchley in carne e ossa (giornalista e sceneggiatore dall’umorismo pungente) farsi guida involontaria e privilegiata dell’immaginazione pronta a trasformarsi in realtà. Con la scusa di vendere a Walt Disney la storia de Il drago riluttante, il buffo protagonista varca i cancelli dei Walt Disney Studios addentrandosi nel magico meccanismo della fantasia. Con fare curioso visita ogni reparto creativo, da quello degli effetti sonori, a quello dell’animazione. Come un bambino nel paese dei balocchi, il signor Benchley è un Dante della fantasia: scruta con ammirazione e meraviglia modellini da seguire, e disegni da animare. Ogni piccolo dettaglio in scena è rivelazione di un mondo da tenere nascosto allo spettatore, e allo stesso tempo un trampolino di lancio di progetti futuri (si pensi allo studio dell’elefante in carne e ossa in vista della realizzazione di Dumbo).
Quante volte ignoriamo senza volerlo un prezioso contributo come quello dei documentari sui “dietro alle quinte” di un’opera cinematografica? Quella qui immortalata è a tutti gli effetti una creazione divina, la nascita dal nulla di un intero universo attraverso il volere e la fantasia di centinaia di uomini, ingranaggi imprescindibili al buon funzionamento di quella macchina immaginifica chiamata “cinema”. Un mondo, quello del “behind the scenes”, oggi fatto di schermi, software e processori, ma una volta composto da mani sporche di acquerelli e gessetti, di getti d’acqua pronti a tramutarsi in sbuffi di un treno in partenza, e di migliaia di disegni preparatori colti nell’attesa di prendere vita. E la bellezza de Il drago riluttante sta anche e soprattutto qui. In questa scoperta di eserciti composti da trovate geniali, figlie di una tecnologia ancora agli albori che lasciava spazio a una creatività pronta a straripare superando la realtà.
C’è una tempesta nostalgica a travolgere lo spettatore nel riguardare questi filmati. Si deposita in bocca un gusto malinconico di un’arte concepita come opera di artigianato. In questa cornice metafilmica Walt Disney si fa mago che non ha paura di mostrare i propri trucchi coinvolgendo ancor più intensamente i propri spettatori per fidelizzarli e renderli partecipi dello straordinario spettacolo dell’animazione. Non solo spettatori, o abitanti di paesi pronti a essere toccati dall’orrore della guerra; il suo pubblico è ora parte integrante, e osservatore onnisciente, di un atto divino. Come il signor Benchley, lo spettatore assiste ammaliato alla creazione di mondi che da semplici idee diventano prima bozzetti, poi disegni, infine corpi animati. Passaggi magici che in questo caso portano alla realizzazione de Il drago riluttante.
Walt Disney era molto più che un uomo d’affari. Conosceva bene la mentalità umana e sapeva dove ritrovare quel fanciullino nascosto in ognuno di noi, richiamandolo a sé con il canto dell’infanzia e dei sogni pronti a divenire realtà. E in un momento come quello immediatamente antecedente all’entrata in guerra degli Stati Uniti, c’era quanto mai bisogno di sentire quel canto per tornare a sognare, cullati con amore dai colorati disegni animati di Walt Disney. L’inserto animato è dunque da interpretarsi come una meta finale di un viaggio emozionante, la cui bellezza risiede nei suoi passaggi intermedi e non nel suo epilogo. Una potenza di svelamenti magici che si affianca a quella degli abbattimenti di pregiudizi quanto mai attuali.
Già, perché nelle sue molteplici letture, un’opera così breve e semplice, può colpire la mente e stuzzicare ogni forma di riflessione. È la bellezza di un’opera classica, quella di superare le barriere spazio-temporali per continuare ad abbracciare realtà sempre così diverse, eppure sempre così uguali. Copia di una copia di un libro riprodotto all’infinito, la storia dell’umanità brulica di pregiudizi e stereotipi che ci appannano la mente tramutandosi in conflitti. Il drago riluttante tenta di spostare con la forza dei suoi graziosi movimenti e dolci poesie la polvere dell’odio umano, così da mostrarci quanto anche dietro l’aspetto più terribile si possa nascondere un’anima nobile. E così dietro l’ipotesi di una guerra può celarsi la realtà di un’amichevole alleanza.
Se solo più spesso lasciassimo che il nostro fanciullino interiore si approcci a tali opere chissà quante guerre potremmo evitare, diventando un po’ tutti riluttanti alle sfide e più attratti dalla complice empatia.
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