
In-vulnerabilità di Carmelo Bene – Intervista a Luisa Viglietti
Luisa Viglietti, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Napoli e con una carriera nel cinema, nel teatro e nella televisione, è stata per otto anni costumista e assistente per gli spettacoli di Carmelo Bene, nonché sua ultima e lealissima compagna di vita. Dal 2002 al 2005 ha ricoperto il ruolo di Segretaria Generale della Fondazione “L’immemoriale di Carmelo Bene”. I suoi ricordi degli anni trascorsi accanto a Bene scorrono sostenuti da una penna che onorerebbe quella del Maestro e ci consegna, puntuale, al lavorìo della fucina beniana. Nell’attesa di dare alle stampe l’autobiografia Cominciò che era finita, Luisa Viglietti ci ha così raccontato il suo rapporto con C.B., dalla disamina della lavorazione di Hamlet Suite, In-vulnerabilità d’Achille, Pinocchio a scorci di una quotidianità senza quotidiano.
Come è iniziato il suo rapporto con Carmelo Bene? Il vostro primo lavoro insieme è Hamlet Suite, giusto?
Giusto. Ci siamo incontrati la prima volta il 27 giugno del 1994, stava preparando l’allestimento di Hamlet suite e aveva bisogno di una costumista. Conoscevo poco Carmelo Bene, l’avevo visto in Lectura dantis molti anni prima a Napoli e avevo letto la sua autobiografia Sono apparso alla Madonna. Un incontro singolare, benché fossi abituata, visto il mio mestiere, a relazionarmi con personalità particolari. Quel primo incontro con Carmelo è stato di sicuro bizzarro. Mi fece accomodare in una stanza piccola quadrata, con un tavolo di marmo rosa al centro e delle sedie tutt’intorno, alle pareti su tre lati delle specchiere gigantesche. Era poco dopo l’ora di pranzo per i comuni mortali, ma per lui era mattina presto. Tutta la stanza era avvolta dall’ombra, seduti uno di fronte all’altro una fioca luce da una lampada a stelo illuminava solo le nostre mani e i fogli che erano sul tavolo. Aveva un modo di parlare veloce articolando al minimo le labbra, e per riuscire a seguirlo e non perdere nemmeno una parola dovevo aver assunto l’espressione di una pazza. Ci siamo fermati a parlare poco più di un’ora, veramente parlava solo lui, io prendevo appunti e annuivo. Mi parlava di armature e corazze (che rientravano nelle mie competenze) ma poi anche mi diceva: «come tu saprai in questo Amleto ci sarà da Macbeth la musica di Giuseppe Verdi e cigolii sinistri degli armadi; da Lorenzaccio i fuori sincrono e le armature insonorizzate; da La cena delle beffe le denudazioni impossibili; da Achilleide, la musica/acqua per i reiterati annegamenti d’Ofelia; dalle vecchie edizioni degli Amleto i bauli del viaggio-fermo… Sigmund Freud… il personaggio di Fortebraccio…». Alla fine mi disse: «Scrivi come ti dico io: N.B. Amleto somma degli altri spettacoli. Il titolo forse sarà Hamlet Suite». Non mi guardava, i suoi occhi correvano oltre a fissare la sua faccia nella specchiera alle mie spalle. A me quello lì mi sembrava proprio matto. Misi insieme le sue richieste oggettive, rimandando la comprensione a data da destinarsi.
Ad Hamlet Suite seguono Macbeth – horror suite (II edizione), Adelchi (II edizione), Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza (IV edizione). Pinocchio in particolare accompagna C.B. fin dai primi anni: come è stata la lavorazione dello spettacolo del 1998 rispetto a quella delle edizioni passate?
Non si può parlare di Pinocchio in Carmelo Bene senza parlare di tutto il suo percorso teatrale. La prima edizione di Pinocchio è del 1962 e l’ultima del 1998, percorso che ho cercato di sciogliere in un capitolo di un mio scritto autobiografico, Comiciò che era finita, che sarà presto pubblicato. Trovo che dall’opera di riscrittura di Carmelo non se ne esce facilmente, e che tutti i suoi lavori sono legati tra di loro, il burattino di legno lo segue per tutta la vita. È il riassunto delle puntate precedenti, la somma del suo pensiero. Per quanto ho visto, Pinocchio non descrive una parabola, con all’apice la splendida edizione del 1981, e a precipizio l’ultima edizione, ma un cerchio perfetto, il giovane Pinocchio anarchico e ribelle fa i conti con la vita, studia Schopenhaur e Nietzsche mentre il mondo va avanti, dopo il ‘68 arrivano gli “anni di piombo”, e la ciliegina sulla torta dell’italico edonismo socialista, e altri “guasti” a lui arrivano studiando Lacan e Deleuze, è un cammino che lo porterà direttamente a ripensare il suo concetto di teatro. Ed ecco Lorenzaccio, La cena delle beffe e Pentesilea i progetti principali degli anni ottanta, rappresentano il vertice del suo percorso. Azioni e linguaggio affondano le radici nel non-detto.

Importanti studiosi italiani e francesi hanno scritto pagine partendo da questi spettacoli, teorizzando sulla phoné, sull’atto e l’azione, sul fuori sincrono, il playback, la voce e la macchina attoriale, che avevano determinato la fine della scrittura scenica. Nell’ultimo Pinocchio tutto il lavoro che Carmelo ci ha chiesto era relativo esclusivamente al funzionamento ad orologeria del meccanismo scenico. Lo spettacolo è stato provato per mesi, tutti gli oggetti, i costumi, le maschere sono stati modificati numerose volte, fino a quando non si trovava esattamente quello che lui stava cercando. Cosa cercava? Voleva ridurre tutti gli elementi scenici, compresi i due attori ad oggetti. La scatola dei giochi della Provvidenza.
Con In-vulnerabilità d’Achille C.B. tocca forse la massima rarefazione teatrale. Che cosa ci può dire della sua realizzazione?
Il testo di In-vulnerabilità è una libera versione dall’Iliade di Omero, dall’Achilleide di Stazio e dalla Pentesilea di Kleist, che si avvale inoltre della partecipazione di altri illustri autori come Dino Campana, Shakespeare e Emily Brontë. La colonna sonora è frutto di un’accurata ricerca musicale e di un montaggio minuzioso di effetti ereditati da altre opere di Carmelo e rielaborazioni elettroniche di brani d’opera e musica classica.
Il ciclo che riguarda il mito di Achille si conclude nel 2000 con la sua ultima opera teatrale, In-vulnerabilità d’Achille Impossibile Suite tra Ilio e Sciro, dedicato a Maurizio Grande. Lo spettacolo prende forma poco tempo dopo la pubblicazione del poema ‘l mal de’ fiori, che ha molti tratti in comune con In-vulnerabiltà. Il primo che salta all’occhio è proprio lo stile e il ritmo del verso. Carmelo usa per scrivere il suo poema lo stesso impianto grafico e timbrico che aveva adoperato per la scrittura del testo teatrale di In-vulnerabilità, elimina la punteggiatura, scrive direttamente il suono delle parole. Di seguito aveva iniziato la stesura di un nuovo poema, rimasto inedito e la sua riduzione teatrale: Leggenda. In-vulnerabilità si chiudeva con un suo brano. Insomma, trentaquattro anni dopo Nostra Signora dei Turchi, la resa al nulla che manca. Ovvero, in Nostra Signora dei Turchi il cretino finisce per morire ai piedi di un altare (su cui si erge una Madonna di carne): chiuso nella sua armatura cade a pezzi come una marionetta invocando una «Signorina». In teatro Achille muore ai piedi di Pentesilea (cadavere/manichino) con l’ultimo filo di voce è cosciente di parlare da solo e dice: «Signorina… Signorina è così che si chiama il non è», e il cerchio si chiude.
In-Vulnerbilità resta tra i momenti più alti dell’intera produzione di Carmelo, la somma che non fa quadrare i conti, e fa sospendere ancora una volta, e fosse per sempre, ogni giudizio.
Scrisse Maurizio Grande: «L’Achilleide è una partitura polifonica scritta per un solista multiplo, e la polifonia del solista è il virtuosismo dell’automatico che diviene autentico nella performance.»
Come collaboravate lei e C.B.? Le lasciava carta bianca o dava indicazioni molto dettagliate sui costumi?
Quando ho iniziato a lavorare con Carmelo Bene facevo la costumista da sette anni. Avevo trent’anni un lavoro ben avviato, passavo da una produzione all’altra senza problemi, mi era capitato di lavorare all’estero, avevo una preparazione teorica, avendo concluso i miei studi all’Accademia di Belle Arti con il massimo dei voti e successivamente avevo lavorato per quasi cinque anni in una sartoria teatrale.
Per le scene e i costumi, ma anche per tutto il resto compreso luci e fonica Carmelo dava delle indicazioni molto dettagliate, all’interno delle quali ti muovevi con la tua creatività. Personalmente non credo molto in quelli che ti lasciano carta bianca, mi danno l’idea che non hanno l’idea.

Il teatro come il cinema è un lavoro corale con un unico punto di vista. Il lavoro più completo che ho fatto con lui è stato proprio il Pinocchio, per i costumi mi chiese di ripetere quelli dell’edizione dell’81, e partendo da quella base ho ricreato con le mie competenze i costumi di Pinocchio e della Fata e tutti i travestimenti. Era un lavoro molto complesso, bisognava progettare le sovrapposizioni degli abiti e gli incastri delle maschere. Insieme a Tiziano Fario abbiamo lavorato per molti mesi perfezionando ogni dettaglio. Il debutto fu al Teatro dell’Angelo e nella locandina io ero la costumista e Tiziano lo scenografo. Alcune recensioni avevano parlato bene e a lungo delle scene e dei costumi, forse troppo a lungo, tanto da strappargli un commento ad alta voce: «Non li ho forse pensati io!?» Così nei titoli del video si attribuì scene e costumi, e declassò Tiziano e la sottoscritta a “realizzatori”. Tutto questo in totale omissione. Io poi l’ho scoperto pochi anni fa, impossibilitata quindi a chiedergliene ragione.
Scrive Giancarlo Dotto in Vita di Carmelo Bene: «La rimozione è il grande motore delle nebbie. Dove rimuovere non significa cancellare, ma omologare, affibbiare un nome». Insomma omologazione, risibili riduzioni a bignami scolastico: a questo giungono spesso i riconoscimenti. Per non parlare dei clamorosi fraintendimenti. C’è per esempio chi si ostina a fare di C.B. un provocatore. Questa cosa mi stupisce sempre perché lui certi strabismi ha cercato di scansarli ripetendosi fino alla nausea. Perché secondo lei, che è stata anche Segretaria Generale della Fondazione “L’immemoriale di Carmelo Bene”, ancora oggi serpeggiano così tanti luoghi comuni, soprattutto da parte dei sedicenti stimatori di Bene?
Perché è facile, e il contrario richiederebbe uno sforzo eccessivo. Eccessi e paradossi fuorvianti hanno creato il mito del mito, dell’eterno dissidente, dell’Uno contro tutti. Un esercizio di copia e incolla ha ridotto il suo pensiero unico in mille coriandoli in forma di aforisma, tutti rigorosamente demolitivi. Nell’immaginario collettivo Carmelo è identificato con una serie di slogan contro il teatro, la famiglia, la donna, lo Stato, la chiesa, e qualche altra cosa che ora mi sfugge.
De Gaulle aveva risposto a chi gli diceva che non poteva governare la Francia senzaprima fucilare tutti gli imbecilli: «Vaste programme», a cui lui aggiungeva: «l’umanità è bella perché avariata!». Vedi le iniquizie politiche e giudiziarie che hanno messo fine al programma della Fondazione testamentaria che doveva preservare e diffondere le sue conoscenze. Aveva lasciato la sua eredità all’unica famiglia che riconosceva, a quelli che erano ancora da venire, istituendo in sostanza un centro studi aperto a chiunque avesse l’esigenza di studiare. Nel 2005 una sentenza del Tribunale di Roma dichiara decaduta la Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene”, per avere presentato oltre i termini stabiliti dalla legge l’inventario dei beni di sua proprietà. Sottratto per sempre alle sue volontà il progetto Immemoriale, che doveva essere a disposizione della comunità e punto di riferimento per studiosi del teatro, si è dissolto nelle aule dei tribunali. Si può discutere sulle scelte di vita di un uomo, però l’opera non dovrebbe pagarne le conseguenze. Nei confronti di Carmelo Bene applicando la legge si è cancellata parte della sua arte. Con la liquidazione della Fondazione le iniziative dedicate a Carmelo Bene si rifanno a risorse e fondi dispersi qui e là, seguendo un principio di conservazione e valorizzazione poco coeso e lasciato un po’ andare a sé stesso. Come una nefasta profezia contenuta nel nome: l’infondata fondazione Immemoriale è affondata.
Cosa rimane nel teatro di oggi della ricerca di C.B.?
Poco o niente. Allestimenti di rappresentazioni della rappresentazione, dove il gioco critico, la scommessa di sangue, la piaga, la ferita aperta nella carne viva non è neanche una promessa lontana.

Questi fenomeni alla peggio, per mantenersi tali, si compiacciono di tanto in tanto di causare qualche fraintendimento tale da trasformarsi in evento mediatico, ed ecco gli handicappati in scena, i malati di mente, gli animali, il circo al completo, insomma. «Hanno scambiato l’essere con l’esserci» diceva. E la burocratizzazione del teatro italiano ha legato definitivamente le mani e i piedi alla creatività. I più importati centri teatrali sono guidati da manager, comunicatori e quando va meglio da docenti universitari che seguono le regole dei finanziamenti pubblici e degli sponsor privati: e allora per fare uno spettacolo di successo abbiamo bisogno di un attore famoso, possibilmente televisivo e un testo all’avanguardia, possibilmente sociale, o quantomeno educativo. Insomma questo è lo Stato dell’Arte.
Lei è stata la persona più vicina a C.B. negli ultimi anni di vita. Com’era il quotidiano con un uomo che, come diceva, non aveva quotidiano?
Non rispondeva mai al telefono, non apriva mai la porta, non andava a fare la spesa, non andava a buttare i rifiuti, non andava a fare una passeggiata, non era disponibile al disimpegno e allo svago. Non si è mai perso di vista. Di sicuro era un grande attore, non aveva tempo per l’ordinario e allora di riflesso ripiegava sulle abitudini e le esistenze degli altri. Il quotidiano riferito al solo lavorìo, le relazioni umane limitate ai collaboratori, si relazionava con il resto del mondo come il legale rappresentante di se stesso. E dato che il mondo è la rappresentazione che ognuno ha del mondo stesso, non erano ammessi suggerimenti al suo spettacolo.
Il suo ricordo più affettuoso?
Mi chiamava Luisina, e io avevo per lui un nomignolo al quale non si è mai ribellato: Topone. Il tentativo di restituire la nostra storia è nel libro Cominciò che era finita, la nostra relazione era basata su una stima reciproca. Nella biografia ultima scritta con Giancarlo Dotto, elencando i disastri delle sue relazioni amorose dichiara che la mia lealtà doc non è paragonabile a nessun’altra figura femminile da lui frequentate. Di me si potrà dire come del povero Laurana di A ciascuno il suo, ovvero che se l’era cercata perché era un cretino.
Di seguito le nostre esclusive dedicate a Carmelo Bene:
– Per Carmelo Bene: autografie di un ritratto
– “Sono apparso a Carmelo Bene” – Intervista a Vittorio Sgarbi | VIDEO
– Pierpaolo Capovilla legge Carmelo Bene per «Birdmen Magazine» | VIDEO
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