
10 ritratti di personaggi felliniani | Fellini 100
Pensando alla figura di Federico Fellini, alla sua vasta cinematografia e al contributo che i suoi film hanno apportato alla cultura internazionale, l’attenzione non può che soffermarsi sulla cura con cui il Maestro ha sempre confezionato e raccontato i propri personaggi. In occasione del centenario dalla nascita di Fellini, all’interno delle nostre iniziative targate Fellini 100, con questo articolo dedicato a 10 personaggi figli dell’onirica immaginazione del regista riminese, i redattori di Birdmen Magazine provano a restituire quella sensazione di coralità, di mosaico sfaccettato, che la brulicante vita racchiusa in ogni pellicola felliniana fa trasparire, in un collage di ritratti che a tutto diritto si conquista il titolo di polifonico, nel senso che Bachtin leggeva nei romanzi di Dostojevski. N. Villani
Moraldo
Film: I Vitelloni | Anno: 1953 | Interprete: Franco Interlenghi
Tra i personaggi più emblematici del primo Fellini, Moraldo Rubini è l’anima pura dei Vitelloni. Buono e generoso, è il giovane sconfitto ma non ancora vinto da quel microcosmo di languore e amarezza stanca che era, è e sempre sarà la provincia italiana.
Provincia che per Fellini è un regno immaginifico, dove, se interrogata, la notte risponde con la voce di Guido, piccolo ferroviere conosciuto da Moraldo durante una delle sue gite notturne. Un’apparizione che anticipa un altro angelo laico del cinema felliniano, Paola, la ragazzina che sul finale de La Dolce Vita cerca inutilmente di comunicare con un disilluso Marcello, bloccato sull’altro lato della spiaggia.
Moraldo è la coscienza critica di questo mondo scanzonato ma malinconico, in cui le azioni si ripetono come rituali, giorno dopo giorno, e i conflitti si placano con la stessa facilità con cui sono nati. Il più giovane dei Vitelloni non assomiglia ai suoi amici, trascinati dal vento di una vita circolare, è un personaggio moderno, un anticonformista che non può adattarsi alla realtà che lo circonda e tradisce un’inquietudine che sarà sempre motivo di disagio in una cittadina di provincia. E una volta che il cerchio si chiude e la giovinezza è già un ricordo, non gli resta che fuggire a bordo di un treno, lontano da quell’inverno terribile che non passa mai, verso la primavera di sogni e incertezze che era l’Italia del dopoguerra. M. Toso
Gelsomina
Film: La Strada| Anno: 1954 | Interprete: Giulietta Masina
Gelsomina è una ragazza buona, gentile ed ingenua che sua madre, per racimolare un po’ di denari, vende al giocoliere girovago Zampanò. Nonostante il suo padrone la picchi, la maltratti e la sfrutti, Gelsomina resta al suo fianco anche quando le si propone l’opportunità di andarsene insieme agli artisti di un circo. Quando Zampanò finisce con l’uccidere, davanti a Gelsomina, il Matto, un acrobata che da tempo lo “sfotteva”, la ragazza ha uno shock che la porta all’abbandono e poi alla morte. Gelsomina è un personaggio grottesco, uno straordinario connubio di comicità e drammaticità. La dignità della sua miseria e del suo dolore – fisico e dell’anima – è commovente e lascia intravedere, sotto un abbondante strato di povertà, il candore di un’elegante purezza innata. È una bambina rinchiusa in uno corpo che non le rende giustizia – per cui è facile chiamarla “testa di carciofo” –, ma sono i suoi occhi, a tratti impauriti, a tratti stupiti dalla meraviglia che si trovano davanti, a farsi specchio dei sentimenti che a parole non sa esprimer, se non goffamente. Quello che prova per il suo padrone è una forma di amore, e di devozione, che le permette, nonostante le ingiustizie di cui è vittima, di sentirsi realizzata, di “servire a qualcosa”. Con le sue movenze da Commedia dell’Arte, e il suo cuore da eroina coraggiosa, il personaggio portato sullo schermo da un’allora poco conosciuta Giulietta Masina dà volto alla solitudine e all’incomprensione di chi per tutta la vita è stato l’immeritato regalo che non ci si è mai presi il tempo di ammirare. B. Pallavidino
Cabiria
Film: Le Notti di Cabiria| Anno: 1957 | Interprete: Giulietta Masina
La protagonista del film più neo-realista del regista romagnolo è Maria Ceccarelli, in arte Cabiria, di professione “una che fa la vita” (ruolo all’epoca incredibilmente problematico da portare su uno schermo). L’interpretazione che valse la palma di Cannes a Giulietta Masina è tra le più malinconiche, tragiche e struggenti del campionario di personaggi partoriti dalla mente di Fellini. Il candore di Cabiria contrasta con lo squallore dei luoghi nei quali è costretta a vagabondare per guadagnarsi da vivere; la sua personalità forte, esuberante, stride con la sua insicurezza, la paura di essere lasciata ad un destino di solitudine e indigenza. La mimica vivacissima della Masina diventa la maschera perfetta per un personaggio che, pur a più ondate sopraffatto dall’amarezza, non perde mai la propria dignità e anzi la rivendica coraggiosamente. Con i suoi gesti caricati, la corporatura gracile, il dialetto marcato e la voce squillante, Cabiria si manifesta in tutta la sua buffa genuinità. Di fronte agli interni della villa di un ricco attore romano, i suoi occhi si spalancano e si colorano di uno stupore fiabesco; durante lo spettacolo del varietà a cui partecipa sono invece socchiusi, in un’atmosfera sognante e delicata. Cabiria fa parte a pieno titolo della categoria degli sconfitti: è un’anima fragile, che annaspa per mantenersi a un livello di povertà non assoluto e degradante, come lo sono tanti dei protagonisti del neorealismo italiano. Ciò che tuttavia la contraddistingue è un’aura di purezza permanente, una sorta di ingenuità di fondo che si traduce in una fiducia (malriposta) verso il prossimo. S. Bresciani
Marcello
Film: La Dolce Vita | Anno: 1960 | Interprete: Marcello Mastroianni
Marcello – interpretato da Marcello Mastroianni – è uno scrittore e giornalista disilluso, in un momento critico della propria vita. La narrazione si concentra a lungo sui fantasmi psichici del protagonista e ne esalta l’intero carattere introspettivo. Degno erede degli sfaccendati Vitelloni (1953), Marcello è ancor più scettico, il suo atteggiamento nei confronti della vita è di totale sfiducia e abnegazione. Anche per questo La dolce Vita diviene lo specchio di un’epoca di contrasti, marcata da grande euforia e voglia di fare, con una perdita di valori progressiva e totalizzante. Così Marcello si pone come punto di fuga di questo particolare momento storico: durante l’intera narrazione egli è un protagonista negativo, ai margini della caduta di un intero sistema sociale. Subisce ogni cosa che gli accade, dai suoi numerosi e grotteschi incontri tra le mura di Roma (che contribuiscono a dividere la pellicola per episodi), nei quali spesso si immerge per noia. Il tormentato incedere del protagonista arriva ad un punto di leggero mutamento solamente quando incontra Steiner, che risulta avere un atteggiamento completamente opposto rispetto al suo. Il successo di Steiner è deleterio per il dissidio di Marcello, il quale dopo il loro confronto attuerà un cambiamento radicale nei confronti di se stesso: si darà vinto ai vizi, alla dissolutezza, divenendo il soggetto perfetto che il suo io giornalistico avrebbe ritratto in un articolo. Nel marasma della Roma del 1960, Marcello diviene l’artefice di un cambiamento tragico, che non riserva sconti a nessuno. R. Ricciolo
Guido Anselmi
Film: 8 ½ | Anno: 1963 | Interprete: Marcello Mastroianni
Guido Anselmi, protagonista di 8 ½, è il perfetto esempio dell’alter-ego Felliniano; innanzitutto ad avvicinarlo al suo creatore è il suo stato di artista affermato: Guido è un regista, come Fellini; un regista quarantenne che vuole fare un film ma che deve fare i conti con una crisi d’ispirazione, a cui si accompagnano le profonde contraddizioni e i sensi di colpa del protagonista. Nel personaggio di Guido Anselmi, si intersecano passioni amorose e crisi coniugali con un caos tutto interiore e psichico, dato dalla consapevolezza stessa del proprio egoismo, e una natura costantemente in bilico tra realtà e invasione dei ricordi. Guido Anselmi è un artista di cui il delirio privato, il passato e i sogni che si confondono con la realtà (su cui Fellini incentra gran parte della struttura filmica) permeano ogni lato dell’esistenza, compreso il lavoro, rendendo quella di Guido l’esperienza di un’incapacità di muoversi nel reale, di divincolarsi dai propri mostri e di autodeterminarsi attraverso reali decisioni, prese di posizione, scelte (anche riguardo la presenza femminile a cui accompagnarsi). Guido Anselmi è un procrastinatore perso nel proprio lucido delirio, un artista che forse non ha più nulla da dire perché non è più in grado di scegliere una linea da seguire, dilaniato dalla variabilità delle opzioni, delle possibilità e dei fini da perseguire; una molteplicità che causa l’annullamento di tutti i fattori in gioco. Guido resta quindi un sedicente disilluso, bugiardo verso sé stesso e gli altri, supponente ma che sostanzialmente non sa più verso quale “altrove” volgere lo sguardo. F. Defendenti
Giulietta
Film: Giulietta degli Spiriti | Anno: 1965 | Interprete: Giulietta Masina
Giulietta è una donna dell’alta borghesia romana che si accinge a festeggiare insieme al marito Giorgio e agli amici più cari il suo anniversario di matrimonio. Nonostante non voglia darlo a vedere, qualcosa si è rotto nella relazione con il marito. Giulietta è combattuta, non è sicura di voler sapere la verità, ma neppure di poter continuare a vivere con la sensazione che Giorgio le stia nascondendo qualcosa. La donna partecipa, dunque, a sedute spiritiche nella speranza che siano gli spiriti a darle delle risposte. Facendo pedinare il marito scopre l’esistenza di un’amante. Giulietta finisce con il lasciar andare Giorgio senza renderlo partecipe della sua consapevolezza, e sperando di poter ritrovare la felicità. È un dramma borghese quello che vive Giulietta, un peso che prova a tenere per sé, con cui tenta di convivere pacificamente per omologarsi a quella famiglia a cui appartiene, superficiale e legata alle apparenze, di cui le sorelle sono la massima espressione. La profondità di Giulietta è incompresa, come lo è il suo bisogno di verità. Combattuta tra il suo lato naif e quello rigoroso, vive una battaglia interiore che la porta a scegliere un percorso che la sballotta tra visioni oniriche, ricordi che si impongono prepotentemente e ossessivamente – il nonno che fugge con la ballerina –, e un dramma latente che scivola nel grottesco. Giulietta è uno dei personaggi femminili più sfaccettati e complessi della produzione felliniana, una donna per cui il tempo non passa, e anche oggi risulta tremendamente attuale. B. Pallavidino
Toby Dammit
Film: Toby Dammit (episodio di Tre passi nel delirio) | Anno: 1968 | Interprete: Terence Stamp
Toby Dammit è decisamente l’episodio più incisivo di Tre passi nel delirio, film collettivo che, fra i tre autori coinvolti, restituirà alla storia solo il segno di Fellini. Toby Dammit è un attore alcolizzato e nichilista giunto a Roma per recitare nel bizzarro “primo western cattolico”, attraversando una disturbante sequela di situazioni opprimenti che lo porteranno a una folle evasione. Terence Stamp veste perfettamente i panni di questo disgraziato personaggio consumato da ogni tipo di droga, incorniciato (aggredito) da una galleria delirante di umani soffocanti e vuoti. Toby rigetta la Roma dei party e della mondanità fin da prima di incontrarla: un solo assaggio lo nausea, costringendolo a una fuga tragica sulla Ferrari promessagli dalla produzione del film. Chiave dell’esperienza di Dammit è la distorsione, dapprima con filtri allucinatori in aeroporto, poi per mezzo del cinema, dispositivo di alterazione tipico del mondo felliniano. Si aggiunge anche la visione onirica di una bimba con un pallone e altre citazioni al maestro del cinema horror Bava. Il risultato è probabilmente il più cupo incubo girato da Fellini, che tratteggia la discesa agl’inferi di un individuo già dannato in partenza. I 43 minuti di durata non comprimono il potenziale artistico dell’episodio, rendendo ancora più evocativo e profondo questo personaggio plasmato sui dettagli, ma per sottrazione, e sul sarcasmo. L. Botta Parandera
Titta
Film: Amarcord| Anno: 1973 | Interprete: Bruno Zanin
Scegliere un solo personaggio che possa rappresentare Amarcord è impresa ardua. La pellicola mostra, difatti, una galleria di tipi felliniani: gli abitanti di un paesino riminese degli anni Trenta, in pieno regime fascista. Qui è dove il Fellini più onirico si getta nella “concretezza”, seppur mediata, del ricordo. La nostalgia che permea l’opera non è, chiaramente, nostalgia del fascismo; piuttosto, rievoca la spensieratezza e la goliardia del periodo dell’adolescenza. In questo senso, il personaggio di Titta (Bruno Zanin) – ispirato all’amico d’infanzia di Fellini, Titta Benzi – si rivela emblematico. Emblematico sia di quell’idea di adesione al fascismo che vede un popolo sinceramente estraneo, seppur partecipe ai riti, alle questioni politiche, sia della “leggerezza” giovanile. Titta è infatti un ragazzo alle prese con la scuola, gli amici, il conflitto con il padre, le prime (inevitabili) attrazioni per le donne… e le manifestazioni fasciste. Così, tra ironia e goliardia, Fellini dipinge un ritratto del giovane “tipico” scevro da giudizi di sorta.
Titta vive le sue esperienze adolescenziali circondato da una famiglia quantomeno pittoresca: la protettiva madre Miranda, l’irascibile (e antifascista) padre Aurelio, lo zio Teo (Ciccio Ingrassia) rinchiuso in un ospedale psichiatrico, il fannullone zio Pataca, il nonno con le sue fantasie sessuali. Anche gli altri personaggi che lo circondano sono tipicamente felliniani: la tabaccaia, la prostituta Volpina, don Balosa… Tra questi, fondamentale è la sensuale Gradisca (Magali Noël), desiderio erotico di Titta: il suo matrimonio segnerà la fine del tuffo nei ricordi. Ricordi nostalgici, sì, ma di una nostalgia amara, consapevole della mutevolezza delle cose. Come scriveva Cesare Pavese in La luna e i falò, “un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. M.F. Mortati
Casanova
Film: Il Casanova di Federico Fellini| Anno: 1976 | Interprete: Donald Sutherland
Se Don Giovanni era destinato all’Inferno, il Casanova di Fellini vive invece in un limbo perenne. Non ha bisogno di un convitato di pietra che ne decreti la dannazione perché la sua vita, quella che crede o immagina di aver vissuto, è già di per sé una condanna. Punto cieco, corsa matta verso il punto di partenza. Fagocitato dalla voracità di un ego immortale ma costretto a confrontarsi con la mortalità del corpo, spinto alla copula in amplessi mancati o mostruosi, Casanova si aggira nel più cupo degli incubi felliniani a metà tra presenza ectoplasmatica e automa dal meccanismo demente. Sotto la cipria e i parrucconi fantascientifici si celano il volto e il cranio di Donald Sutherland, qui trasfigurato in maschera mortuaria, immagine deformata e putrescente di un secolo, il Settecento, e delle sue ossessioni. Ma soprattutto apice artistico di quella pulsione di morte, quel senso di decadimento e lutto presente anche nel Fellini più insospettabile (I vitelloni). Tutto il contrario dunque di una visione positivista che leggerebbe nella figura di Casanova prodromi progressisti. Il libertinaggio non è sinonimo di avventura e scoperta. Il sesso non libera ma imprigiona, diventa mezzo per un appagamento impossibile e perciò destinato alla reiterazione. Dell’età dei lumi non restano che le ombre. Casanova, così reinventato, non è solo il personaggio più funereo del circo felliniano ma anche quello più elevato per senso del tragico e proporzioni filosofiche. Grottesco, patetico, spesso ridicolo e sempre eccedente, vittima di sé. Un condannato a morte. O a dover vivere per sempre. E anche per questo, forse, uno dei più teneri e degni di pietas. R. Bellini
Amelia
Film: Ginger e Fred| Anno: 1986 | Interprete: Giulietta Masina
“Il vero artista è come un lupo che sente il richiamo della foresta”. E Amelia (Giulietta Masina) e Pippo (Marcello Mastroianni) nonostante gli anni che corrono inesorabili, le rughe che segnano i loro volti stanchi, e le giunture doloranti, si sentono ancora due lupi affamati della polvere del palcoscenico. Quarant’anni dopo le loro prodezze come emuli di Ginger Rogers e Fred Astaire, grazie a una trasmissione televisiva i due potranno ritrovarsi, abbracciarsi, schernirsi e, insieme, tornare a sognare a passi di tip tap.
In Ginger e Fred (1986) Federico Fellini ricostruisce ancora una volta un set (adesso televisivo) come isola apparentemente felice di due vecchi sognatori. Filtrato dalla tagliente ironia felliniana, il film è un caustico ritratto di una società assuefatta dall’avvento del piccolo schermo, dove tutti possono diventare celebri anche se per pochi secondi. Una galleria di personaggi caricaturali in cui a spiccare è lei, Amelia, pura e ingenua creatura (i suoi vestiti non a caso spiccano per le tonalità argentee e candide) nata in seno a un sogno fattosi mera illusione. Nei suoi occhi profondi, e in quei fanciulleschi atteggiamenti resi immortali dalla performance di Giulietta Masina, la donna rivendica la posizione di outsider all’interno di un circo televisivo generalista e commerciale dove “tutti sono divi a loro modo”.
Portavoce di quel ritratto preveggente firmato dallo stesso Fellini che vuole l’avvento del tubo catodico come un’ondata bulimica di immagini e annunci pubblicitari, Amelia tenterà – con la complicità di Pippo – di scacciare i fantasmi di morte a passi di danza, lasciando i rimorsi al di fuori di uno studio televisivo. E. Torsiello
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