
Frozen 2 – Il passato è una terra ghiacciata
Attraversare l’ignoto, superare una barriera di nebbia che ti limita lo sguardo e andare così oltre ciò che non si vede per (ri)scoprire se stessi e le verità su un passato dimenticato. È questo il perno iconico su cui si costruisce tutto il mondo di Frozen 2 – Il segreto di Arendelle. Come acqua a contatto con il freddo che si solidifica, trasformandosi in mille e più forme, così la vita di Elsa e Anna subisce una nuova virata verso altre avventure. Nessun cielo limpido a rischiarare il proprio cammino, ma elementi naturali da sottomettere o da cui scappare tra i confini di una foresta incantata che, come un luogo di trasformazione, riaccenderà dal buio di antri nascosti verità e ricordi solo apparentemente perduti.
È una montagna russa fatta di alti e (forse troppo bassi) Frozen 2. Se l’opera precedente poneva le proprie solide fondamenta su una struttura narrativa lineare e fluida, questo sequel segue una strada tortuosa, accidentata, progettata per sorprendere gli occhi dei propri spettatori, tralasciando così il peso e la potenza emotiva delle parole. Perfino le canzoni sembrano colpire meno intensamente il cuore degli spettatori (fa forse eccezione Into the Unkown, eseguita nella versione originale dai Panic! At The Disco, in quella italiana da Giuliano Sangiorgi dei Negramaro), attecchendosi a fatica tra gli strati più superficiali del proprio corpo senza arrivare mai a insidiarsi nei ricordi e auspicare così al ruolo di tormentoni.
Doppiare il successo del primo Frozen era una sfida ardua, difficile, accolta dal team di Chris Buck e Jennifer Lee con intrepido coraggio e fantasia, lo stesso coraggio e la stessa fantasia che non solo cullano le giornate dei bambini in sala, ma che richiamano a sé il fanciullo interiore nascosto nell’animo dei numerosi adulti accorsi in nome di Arendelle. L’impianto costruito è tutto elevato all’ennesima potenza. Gli effetti speciali, quelli sonori, la psicologia dei personaggi, tutto sembra essere più grande, più imponente. Eppure, a volte, il troppo stroppia.
Alternando momenti commoventi ad altri di più debole presa emotiva, i registi paiono consci dell’inferiorità narrativa di questo secondo capitolo e cercano di colmare questo gap realizzativo puntando su una resa tecnica quanto mai precisa e avanzata. E così in Frozen 2 – Il segreto di Arendelle la straordinarietà dei vestiti, il realismo dei capelli bagnati o la spettacolarità di certi personaggi (si pensi al cavallo d’acqua) perdono di meraviglia quando a supportarli viene meno un altrettanto ingegnoso e coinvolgente comparto dialogico e narrativo.
Frozen 2 è una modella bellissima, esteticamente perfetta, vestita da un abito scintillante e su misura, ma incapace di sorprendere il pubblico non appena apre bocca. Il suo successo si limita pertanto a poche, determinate scene chiave sugellate da una sottile ironia che, a fatica, si fa largo tra il ghiaccio di un intreccio freddo e a tratti sbrigativo innescando una risata contagiosa e una sincera soddisfazione per chi, tra il pubblico, coglie i diversi (auto)riferimenti pop sparsi qua e là nel corso del film. Dalla sintesi del capitolo precedente a cura del pupazzo Olaf, all’insofferenza per una canzone divenuta tormentone (e per molti incubo impossibile da rimuovere) come Let it go, fino al brano di Kristoff, vero omaggio tra split-screen e sovrimpressioni ai videoclip musicali a cavallo tra anni ’80 e ’90 (da quelli degli Spandau Ballet, a George Michael passando per i Queen) le avventure di Elsa e Anna (in italiano doppiate da Serena Autieri e Serena Rossi) trovano numerosi punti di lancio attraverso cui spingere la propria opera verso vette altissime, finendo però per cadere presto al suolo, o tra le acque più gelide, dopo pochi, brevi, attimi in volo.
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