
Kantemir Balagov – L’astro nascente del cinema russo
Se c’è qualcosa che colpisce lo sguardo alla prima visione di Tesnota (2017) e de La ragazza d’Autunno (2019) – ora su CHILI – è il rigore della messa in scena. Quello che impressiona del giovanissimo Kantemir Balagov, discepolo di Aleksandr Sokurov e astro nascente del cinema russo, è infatti la sua maturità stilistica. Entrambe le opere, premiate a Cannes in Un Certain Regard, vantano una forma coesa e coerente e costruiscono, a dispetto dell’età di Balagov, una poetica già chiara per temi e contenuti. E La Ragazza d’Autunno, che forse non avrà la travolgente potenza espressiva di Tesnota, – realizzato quando il regista di anni ne aveva solo ventisei -, ne conferma comunque il talento.

Balagov è infatti un regista per il presente e per il futuro, destinato a far parlare di sé e dei suoi film perché capace di condensare in una messa in scena fatta di spazi angusti e desolati molteplici livelli di conflitto. C’è la storia, che non è solo cornice del racconto, ma concorre attraverso le immagini a problematizzare lo sguardo. Così accade in Tesnota, ambientato nel 1998 nella regione caucasica del Cabardino, sperduta terra d’origine del regista dove le esecuzioni dei soldati russi durante la prima guerra cecena venivano trasmesse in tv tra un programma musicale e l’altro; e La Ragazza d’autunno con gli strascichi di un’altra guerra, meno recente ma più conosciuta, nella Leningrado del 1945, uscita profondamente segnata da un assedio durato anni. C’è la famiglia, che riproduce in scala quella società in cui i protagonisti di Balagov faticano a ritagliarsi un posto. E infine, alla base di questa piramide, ci sono le donne, il vero perno della sua drammaturgia: donne dalla statura tragica, che lottano e si difendono come possono dagli urti di una società corrotta, cinica e violenta.

Questa densa stratificazione dei contenuti trova perfetta corrispondenza nella forma adottata da Balagov. La sua regia è quella di un veterano del cinema. Non è un demiurgo, ma un regista consapevole della drammaticità degli spazi e della loro messa in scena. Spazi che possono essere ricostruiti, come nel caso della Leningrado della Ragazza d’Autunno, ma anche spazi trovati e ri-trovati, come in Tesnota. C’è nell’occhio di Balagov la capacità di esprimere attraverso l’immagine il conflitto represso che si instaura tra l’uomo e i luoghi che occupa. E così, angoscia ed inquietudine delle figure che abitano questi spazi si riflettono sulla macchina da presa, quasi incapace di sopportare la staticità di certe inquadrature. Nel cinema del giovane russo non c’è quindi solo crisi (delle relazioni umane, dell’identità, del rapporto fra storia e individuo) ma soprattutto coscienza della crisi, restituita nell’unione tra il rigore della forma e la densità semantica della messa in scena.

Kantemir Balagov è l’astro nascente del cinema russo (e forse non solo) perché si pone delle domande inattuali e per questo eternamente contemporanee. Il giovane regista eredita dal macrocosmo letterario slavo, geograficamente vago ma così coerente per temi e poetiche, quella che Virginia Woolf definiva l’anima russa. L’allievo di Sokurov raccoglie questa eredità spirituale e lo fa con un cinema che inchioda i personaggi in uno spazio e, di conseguenza, in un’immagine. Si ricongiunge spiritualmente a Dostoevskij, Tolstoj e Čechov per riversare sui suoi personaggi, umiliati e offesi, quel vitalismo sacro che li rende più grandi dell’angusta realtà che li circonda.

I personaggi di Balagov desiderano qualcosa che non possono avere, che per arcani motivi gli è preclusa e che forse potranno raggiungere solamente scontrandosi con la catena di poveri diavoli che ulula famelica alle loro spalle. Ma è proprio sullo sfondo di questo ricatto sociale che il regista sfugge alla lezione dei maestri e alla retorica della passione e del castigo: come può esserci redenzione per Iya, Maša e Ilana se ciò che vivono è un castigo senza delitto, se sono chiamate a espiare colpe indipendenti dal proprio agire?
Seguendo questo filo rosso, Balagov si interroga sull’origine di una tragedia, su ciò che non siamo disposti a fare quando la casualità degli eventi ci pone davanti a una scelta. Possiamo ritenerci assolti se la colpa è nella Storia? La risposta, forse, non può che essere un’altra domanda: dove nasce la mia colpa?
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