
Il Maestro e Margherita – A teatro il diavolo inganna e seduce
Se Il Maestro e Margherita è un romanzo sul diavolo in cui infuriano personaggi improbabili e accade tutto e il contrario di tutto, cosa succede quando questo racconto prende vita in teatro, luogo del trionfo dell’arte effimera e ingannevole per eccellenza?
Il Maestro e Margherita, realizzato a partire dall’adattamento di Letizia Russo per la regia di Andrea Baracco, raccoglie senza timore la sfida di portare in scena il capolavoro di Michail Bulgakov (drammaturgo, regista teatrale e librettista, oltre che medico e romanziere) e ci ricorda che a teatro il compromesso non esiste. La bellezza di questo allestimento nasce proprio dalla schiettezza con cui dà vita ai molti paradossi evocati da una vicenda tanto nota e più volte ripresa: la verità e la vita non sempre coincidono, una storia allucinata e folle può rivelare con estrema consapevolezza gli aspetti più restrittivi della società in cui è ambientata, la giustizia trionfa e un’infanticida può ottenere il perdono. Il teatro è il luogo in cui ogni cosa si rivela per quello che è e ogni inganno illusorio è permesso.
La vicenda – funambolica, cupa, intricata e spiazzate – è la stessa raccontata da Bulgakov (ad eccezione del finale, apocrifo anche nel romanzo pubblicato postumo). In una Mosca asfissiata dal caldo (e dalla censura sovietica) il diavolo, incarnato nel principe degli inganni Woland (Michele Riondino), porta lo scompiglio con l’aiuto del suo seguito: il gatto Behemoth (Giordano Agrusta), Korov’ev (Alessandro Pezzali, ipnotico e diabolicamente convincente in questo ruolo) ed Hella (Carolina Balucani). Questo arrivo inatteso sconvolgerà soprattutto l’esistenza infelice di due innamorati: il Maestro, autore di un solo romanzo su Ponzio Pilato respinto dalla critica e mai pubblicato, e Margherita (Federica Rosellini), figura sfaccettata e complessa che trionfa nel finale.
La maggior parte degli attori interpreta più personaggi, avvertiti spesso come complementari e dunque indispensabili l’uno all’altro. Esemplare la scelta di affidare a Francesco Bonomo sia il ruolo del Maestro (alter ego dello stesso Bulgakov che diede alle fiamme il primo manoscritto del «romanzo sul diavolo») sia quello di Ponzio Pilato, logorato dalla responsabilità di dover scegliere il destino del “filosofo” Jeshua (un convincente Oskar Winiarski che interpreta anche il poeta Ivan, discepolo del Maestro).
Michele Riondino dà vita a un unico personaggio – Woland, l’esperto di magia nera, il diavolo in persona – e ci si dedica completamente: il corpo, la voce, il ghigno, l’inquietante risata e i movimenti sincopati danno concretezza a questa figura diabolica e multiforme, a tratti bestiale, a tratti seducente. Riondino domina sulla scena grazie a una connotazione fisica del personaggio davvero riuscita, capace di rendere il paradosso di una figura che realizza lo «smascheramento finale» e al tempo stesso si prende gioco degli uomini, mettendoli di fronte alla spiazzante ed esaltante imprevedibilità della vita.
Una scenografia rigida ed essenziale si presta a improvvise sparizioni, epifanie ed entrate in scena e uno spazio asettico si trasforma (grazie al raffinato gioco di luci di Simone De Angelis) di volta in volta in un fiume, in un ufficio, in un elegante salone, in un cielo notturno, in un manicomio, in un monte sperduto nei pressi di Gerusalemme. Il Maestro e Margherita arriva a teatro volutamente senza inganni e senza trucchi tecnici (infatti non utilizza alcun supporto multimediale) eppure ha una grande forza evocativa capace di ricreare l’atmosfera cangiante del romanzo, complice un primo tempo meno narrativo del secondo, in cui il ritmo iniziale, serrato e quasi diabolico, in parte si perde.
L’incanto di questo allestimento si realizza soprattutto grazie ad alcune scelte registiche particolarmente efficaci, tra tutte le scene iniziali del tram e del fiume e l’utilizzo della sfera specchiata prima dell’episodio del ballo (che forse avrebbe meritato qualche sfavillio in più, nonostante la sua essenzialità riveli la preparazione fisica del cast).
Il romanzo di Bulgakov prende vita durante lo spettacolo e ci inganna, ci seduce: una miriade di personaggi bizzarri in frenetico movimento affolla la scena, il racconto procede per suggestioni e rimandi evocativi, lo sguardo s’incanta su quadri fissi dalle accese tinte caravaggesche. Cosa resta di questa intricata vicenda ad uno spettatore che non ha mai letto il romanzo? Oltre ad una certa curiosità che potrebbe portarlo ad approfondire la storia, indubbiamente la sensazione di aver preso parte, per un istante, a un vorticoso mondo entusiasmante e ingannevole mentre nelle orecchie echeggia la risata diabolica di Woland.
Per leggere la recensione dello spettacolo recentemente tratto da un altro celebre testo di Bulkagov – Cuore di cane – clicca qui!
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