
«Dev’esserci un altro mondo» – Su “The Good Place” di Michael Schur
Dev’esserci un altro mondo, al di là di questa palude in cui tutto è buttato alla rinfusa. Difficile immaginare come possa esser fatto, questo paradiso di cui sognano gli uomini.
H. Miller, Tropico del Cancro.
Una “parte buona” e non un Paradiso, in realtà, al centro della serie di Michael Schur (garanzia di comicità, basti pensare a The Office). E che effetto l’incipit di primissimo piano sugli occhi della protagonista Eleanor Shellstrop (Kristen Bell) che si aprono, intercettata dall’architetto Michael (Ted Danson), in sintesi il “responsabile” del progetto di paradiso nel quale Eleanor vivrà eternamente (non a caso c’è omonimia col creatore della serie). L’impressione positiva si genera a partire da una considerazione: al pari di alcune rappresentazioni post-moderne dell’aldilà, rappresentazioni comunque nuove e cioè banalmente non-banali, il risveglio post-mortem avviene in un ufficio tirato a lucido, e non sulle nuvole, con pareti di colori rassicuranti e scritte motivazionali. L’ufficio di un dirigente. Qualcosa di simile (e più vero risulterà alla seconda stagione) in Dylan Dog: nel fumetto di Sclavi sembra non esistere il paradiso ma solo un’eternità casuale e frammentaria, nonché altamente interferente con la “realtà” narrata – con a governo degli orrendi burocrati, nella meraviglia dell’altromondo per cui la bruttezza interiore coincide finalmente con quella d’epidermide; tutto all’interno di un ufficio anni ’60 (ampissimo, all’americana) altamente burocratizzato.
Everything is fine. You are in the Good Place, recita l’ambiente. Tutt’altro che un «altro mondo» alla Miller, cioè «un paradiso di ranocchi, certo. Miasma, feccia, ninfee e acqua stagnante. Sedersi sopra un cespo di ninfee, indisturbato, e gracidare tutto il giorno. Una cosa così, immagino [sia il paradiso]» (leggo dalla traduzione di Bianciardi). No, assolutamente. Eleanor si trova in un quartiere da sogno, quasi da atollo, dove vige l’ordine, la pulizia, la pace e il frozen yogurt, che nella tinta di bianco leggermente inclinato al panna s’abbina all’azzurro del cielo e ai colori tenui purché caldi di tutta la scenografia (abiti, mezzi, elementi architettonici e di design).
Everything is fine. Davvero, eppure da subito (non è spoiler, già nella sinossi di Netflix e a due minuti di inizio dell’episodio ciò che diciamo è detto) Eleanor rivela a Chidi Anagonye (William Jackson Harper), sua soul-mate, di non appartenere al posto, di essere vittima (o beneficiaria) di un errore, per cui, a rigor di logica, una persona buona sta subendo torture potenzialmente eterne in sua vece. Il casus belli dell’intera serie è lanciato e ha un altissimo potenziale. La partita si gioca su direttive contro-/con- correnti: da un lato Eleanor finge d’essere buona, dall’altra cerca di apprendere come diventare buona grazie agli insegnamenti di Chidi, professore di Etica during his lifetime. Fingere d’essere tentando d’essere quel che si finge di essere – «oh, my stomach ache!».
Il clima di tensione che emerge dalle due direttive (entrambe a rischio rovina) si riversa sull’esperienza dello spettatore, che viene soprattutto chiamato a completare, elaborare, ingranare, muovere tutte le situazioni sia narrativamente complesse sia a livello meta-narrativo (cioè oltre la narrativa e qui si intende l’Etica). La complementarità dell’esperienza seriale in questione è fondamentale per la piena intellegibilità del prodotto. Di fatto la figura retorica predominante è l’allegoria, una “metafora continuata” (Aristotele) e soprattutto una metafora i cui termini risiedono entrambi nella rappresentazione vigente, cioè nel complesso di esistenti, ambienti, concetti messi in gioco; e che fonda la propria riuscita sul tentativo (qui essenziale ma in generale non necessario) di empatia con l’oggetto d’allegoria da parte del lettore-spettatore. Una allegoria “totale”, realizzata “visivamente”.
Ovviamente, anzi: dantescamente non può mancare la regola del contrappasso (che ha un’operatività oltremondana sì, non però “divina” – non si procede oltre per evitare spoiler): se Eleanor, ubriaca, comportandosi male impugna dei gamberi da cocktails, il giorno dopo un conato di Apocalisse si scatenerà proprio nella forma di un’invasione di gamberi volanti. Un contrappasso che, fra le altre cose, si sa allusivamente, viene rispettato anche nella parte cattiva (tutti i filosofi sono nella parte cattiva, e alcuni di loro sono sottoposti ad un test a sorpresa – tornati alunni – che non possono in alcun modo superare).
In America la serie è trasmessa da NBC. In Italia, Netflix ha ottenuto le prime due stagioni. Dove la terza? Distribuita tra Infinity, Premium Play… insomma, non disponibile (oppure…). S’aspetterà l’acquisizione! Ma che tortura! C’è da precisare, concludendo, con gran piacere, che la serie ha una tenuta fuori dal comune, dovuta probabilmente al cambio radicale dello scenario (delle sue condizioni di realizzazione), delle variabili in gioco e della posta da stagione a stagione, come se l’autore fosse consapevole della fragilità della sceneggiatura – una fragilità non certamente “negativa”, più apparente come la tela di un ragno.
Chiudendo davvero, Michael per qualche motivo ricorda il Virgilio di questo canto III del Purgatorio, chi m’avria tratto su per la montagna?:
[…] i’ mi ristrinsi a la fida compagna:
e come sare’ io sanza lui corso?
chi m’avria tratto su per la montagna?
El mi parea da sé stesso rimorso:
o dignitosa coscienza e netta,
come t’è picciol fallo amaro morso!
Quando li piedi suoi lasciar la fretta,
che l’onestade ad ogn’atto dismaga,
la mente mia, che prima era ristretta,
lo ‘ntento rallargò, sì come vaga,
e diedi ‘l viso mio incontr’al poggio
che ‘nverso ‘l ciel più alto si dislaga.
Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,
rotto m’era dinanzi a la figura,
ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio.
Io mi volsi dallato con paura
d’essere abbandonato, quand’io vidi
solo dinanzi a me la terra oscura;
e ‘l mio conforto: «Perché pur diffidi?»,
a dir mi cominciò tutto rivolto;
«non credi tu me teco e ch’io ti guidi?
Vespero è già colà dov’è sepolto
lo corpo dentro al quale io facea ombra:
[…].
Qui le candidature di The Good Place agli ultimi Golden Globe.
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[…] aspiranti giocatrici, composto da Greta (la straordinaria D’Arcy Carden, indimenticabile Janet di The Good Place) e Jo (Melanie Field). Ai provini cercherà invano di partecipare anche Maxine Chapman (Chanté […]