
Il Teatro corale di Serena Sinigaglia
Quando assisti ad uno spettacolo di Serena Sinigaglia c’è sempre un momento in cui ti chiedi come abbia fatto a fregarti: un oggetto può comparire magicamente nelle mani di un attore, un personaggio può nascondersi senza abbandonare la scena e puoi ritrovarti a piangere anche se conosci a memoria il testo della pièce. Eppure non si tratta soltanto di un trucco; il fatto è che un regista deve sapere cosa guardare e cosa far guardare al suo pubblico. Poi può arrivare a raffinare la sua tecnica fino a manipolare anche gli sguardi più attenti. “Sorpresa”, letteralmente è tutto ciò che ci prende e che proviene da un luogo che non possiamo vedere, solitamente piuttosto in alto: in questo senso il lavoro del regista non differisce molto da quello del marionettista, con la differenza che il primo tiene con i suoi fili anche quelli seduti in platea. Un incantesimo del genere diventa possibile solo quando il teatro ritorna alle sue origini, al rito collettivo.
Serena Sinigaglia, regista del gruppo ATIR Teatro Ringhiera, ha fatto dell’aspetto collettivo e sociale del teatro la sua vocazione e il coro è la sua cifra stilistica precipua. Nella maggior parte dei suoi spettacoli assistiamo ad un evento corale, anche quando in scena c’è per tutto il tempo una sola attrice. Spettacoli come Qui città di M. o Fame mia sono monologhi, ma le attrici protagoniste, vestendo i panni di diversi personaggi, evocano un mondo intero, un tessuto di rapporti sociali e familiari, e sulla scena sembra di percepire decine di corpi che parlano e agiscono, discutono e litigano, in un caos perfettamente ordinato. Il discorso non cambia particolarmente se aumenta il numero degli attori: in 32”.16 sono tre, ma si muovono come un corpo unico, tenuto insieme da fili invisibili, un corpo le cui membra possono divergere o congiungersi; alcune di esse possono essere confinate sull’ultima isola del mondo senza per questo recidere il filo con la terraferma.
Nel teatro greco il coro aveva un ruolo fondamentale, era un personaggio vero e proprio, spesso più importante dei vari Oreste, Antigone o Pisetero, in quanto incarnazione della collettività che assiste a vicende crudeli o grottesche e vi partecipa attivamente per compiere il suo rito di purificazione o semplicemente per prendere coscienza della realtà. Il coro della Sinigaglia ha una funzione non dissimile, ma non si manifesta solo come “voce comune”: qui si tratta di una vera e propria comunione dei corpi. In Alla mia età mi nascondo ancora per fumare, in scena al teatro Carcano nel mese di novembre, l’approccio corale diventa tangibile: sul palco si muovono nove attrici, nove donne che raccontano le loro storie, e le raccontano col corpo, con il loro e con quelli di tutte le altre. Fondamentale diventa quindi l’ascolto: se una delle attrici parla con un’altra o racconta un aneddoto, le altre non si limitano a fare di sì con la testa o a commentare con una smorfia, ma partecipano fisicamente, in un movimento continuo e collettivo intorno al centro dell’azione, senza mai spostare l’attenzione, come se a parlare fosse sempre un corifeo, un capo del coro. In questo modo quelle che sono le storie di alcune donne in breve diventano storie che appartengono a tutte le donne.
Non a caso il lavoro della Sinigaglia ha in Shakespeare la sua stella polare. Con Romeo e Giulietta si è diplomata in regia alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi e da allora ha instaurato con il bardo un rapporto quasi simbiotico, fino alle ultime produzioni, Le allegre comari di Windsor (dal 22 al 27 febbraio 2019 al Teatro Carcano di Milano) e Macbeth (fino al 2 dicembre al Teatro Stabile di Bolzano). Il teatro di Shakespeare è collettivo, ci riguarda tutti, e la sua grandezza si misura soltanto con la varietà umana presente in tutte le sue opere. I suoi personaggi uccidono, impazziscono, fuggono in tutte le direzioni ma non si allontanano mai definitivamente dal centro propulsore del dramma. Il principio del coro della Sinigaglia è esattamente questo. Immaginatevi un formicaio, o uno stormo di uccelli: possono separarsi ed esplorare tutte le direzioni, ma poi si ritrovano in un punto, come governati da un magnete. Questo centro è l’urgenza, quello che la regista sente di dover comunicare, quello che dal suo punto di vista davvero ci riguarda.
Serena Sinigaglia con il teatro Ringhiera ha creato un ambiente, cioè un luogo in cui non ci si limita a mettere in scena uno spettacolo, ma dove un gruppo di persone può lavorare di concerto attorno all’arte immortale del teatro, quella cosa in cui attori e spettatori vivono insieme un pezzo di vita, e ridono e piangono insieme. Come in un coro.
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