Nanni Moretti, Italia
Il 6 dicembre esce nelle sale Santiago, Italia nuovo film di Nanni Moretti e – come sempre accade con i registi che non amano blandire il pubblico – non si sa bene che cosa aspettarsi. Sappiamo che la nuova opera di Moretti è un documentario che racconta del golpe cileno del 1973 e, in particolare, dell’operato dell’ambasciata italiana che all’epoca riuscì a mettere in salvo centinaia di dissidenti politici.
Insomma, nulla di più lontano apparentemente dalla filmografia morettiana a cui siamo stati abituati finora (con alcuni colpi di scena). Quando si pensa a Nanni Moretti, infatti, facilmente tornano alla mente la scontrosità di Michele Apicella, la successiva stravaganza del Nanni personaggio e la sorprendente preveggenza di Il Caimano (2006) e Habemus Papam (2011). Un mondo vario e a prima vista difficile da decifrare in tutte le sue componenti, quello di Moretti, ma indubbiamente vicino e familiare. Molto poco cileno.
Per i primi 10 anni in cui i film di Nanni Moretti fanno discutere e dividono pubblico e critica, protagonista assoluto sullo schermo è il regista stesso nei panni del suo personaggio caricaturale più amato: Michele Apicella. Comparso già in Io sono un autarchico (1976) decisamente dubbioso (resta il celebre “Forse ho sbagliato ideologia”), Michele-Nanni raggiunge il successo con Ecce Bombo (1978), così commentato successivamente dal regista “Pensavo di aver fatto un film doloroso per pochi, poi uscì il film e mi resi conto di aver fatto un film comico per molti”.
Sta di fatto che di un film che si schiera per un “sessualità aperta e sudaticcia” in cui si dice “Penso che sbagliamo quasi tutto”, restano scene e frasi celebri: dalla più inflazionata “Faccio cose, vedo gente”, alla sempre valida “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”, fino alla “bestemmia” su Alberto Sordi.
https://www.youtube.com/watch?v=-Dul0FfGorQ
Michele Apicella torna anche in Sogni d’Oro (vincitore del Leone d’Argento 1981) reclamando – se non il potere- “almeno l’affetto” e definendosi “un uomo finito”. In parte pare così perché il pubblico accoglie in modo davvero tiepido questo film che regala comunque scene indimenticabili.
https://www.youtube.com/watch?v=1YOFkMweZGY
Nel 1984 esce Bianca e questa volta, dopo aver ironizzato sul potere della psicoanalisi e della figura paterna mostrando una famiglia sempre più disgregata, Moretti arriva a toccare la questione dell’impotenza dell’istituzione scolastica. Così Michele Apicella è un insegnante di matematica davvero insolito e incerto. Altrettanto incerto è il Don Giulio di La messa è finita (1985): giovane parroco (sempre interpretato da Moretti) che mostra la stessa scontrosità di Michele, rivendicando la scelta di confrontarsi con la comunità sempre in maniera oppositiva e svelando così la propria fragilità e l’incapacità di accettare la realtà con la sue profonde imperfezioni.
La difficoltà del confronto con la realtà – vacua e inafferrabile – è il tema centrale del successivo Palombella Rossa (1989), interamente ambientato in un’evanescente piscina nel tentativo di seguire le vicende di cui è protagonista Michele pallanuotista e funzionario del PCI che ha perso la memoria. Moretti immortala così una politica ormai tendente a proiettare il senso della partecipazione su un piano puramente ideale, slegato dalla realtà e incapace di fare i conti con la concretezza. E non basta Battiato in sottofondo ad addolcire questa amara verità.
https://www.youtube.com/watch?v=qtP3FWRo6Ow
Dopo il documentario politico La Cosa (1990), Moretti giunge a un punto di svolta con una coppia di pellicole a episodi Caro Diario (1993 premiato per la miglior regia l’anno successivo a Cannes) e Aprile (1998). Ancora viene concesso ampio spazio alla riflessione politica e all’importanza del linguaggio, ma – con Roma sempre presente, tanto quanto la musica italiana in sottofondo – Nanni (nuovo protagonista autobiografico) non ha paura di raccontare la vita privata: l’esacerbata speranza di un cambiamento, la malattia, la nascita di un figlio, la delusione politica.
Il 2001 con la Stanza del figlio (vincitore della Palma d’oro) è una sorta di colpo di scena: sullo schermo non abbiamo più né Michele, né Nanni, ma Giovanni e questa volta la storia è assai differente dalla precedenti. Con estrema e dolorosa delicatezza Moretti racconta la vicenda di una famiglia (in cui il padre da lui interpretato porta il suo stesso nome) che perde un figlio e deve fare i conti con un’assenza concreta e lacerante ben diversa da quella politica di cui sopra. Analogamente Mia Madre (2015) racconta la storia di una perdita e nuovamente sulla scena appare Giovanni che – con la sorella regista Margherita (Buy), vera protagonista del film – assiste la madre negli ultimi istanti della sua vita.
Tra questi due film, che potremmo quasi considerare come degli “a parte”, svettano – nella loro inquietante preveggenza – Il Caimano (2006) e Habmus Papam (2011) in cui Moretti torna sulla questione del potere in maniera più netta che mai narrando un’Italia dove il potere ha bisogno di maschere (a volte addirittura grottesche) per rendersi visibile (e invidiabile) o altrimenti è sfuggente e fatica a riconoscersi tale: necessita di essere reificato. In questo quadro a tinte fosche non mancano il gioco paradossale (e regressivo) e i riferimenti al cinema italiano e, tantomeno, manca Nanni Moretti che inaspettatamente arriva a dare corpo al Caimano stesso.
Finora questo è ciò che Nanni Moretti ci ha regalato, tra mille difficoltà di lettura, mille fraintendimenti possibili e un protagonismo innegabile del suo corpo stesso in tutti i suoi film. Adesso esce Santiago, Italia e gli interrogativi sono molti. Il Bel Paese, con tutte le sue contraddizioni attuali, riuscirà a comparire anche in un documentario sul Cile? In parte sappiamo già la risposta dal titolo, ma resta da capire come Moretti giocherà questa carta. Forse troveremo meno musica italiana in sottofondo, meno Vespe e torte Sacher, ma è inevitabile che sia così.
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[…] Nel cinema di Nanni Moretti, La stanza del figlio rappresenta infatti uno snodo centrale, una sorta di “risultante di quel momento di rifondazione costituito da Caro diario e dal suo pendant Aprile“1. È il film con cui Moretti si fa padre – in tutti i sensi – dismettendo la prospettiva angosciante e irrisolvibile dell’eterno ragazzo che non trova la quadra tra il suo posizionamento nel mondo, il mondo stesso e la critica di esso alla quale non può e non deve rinunciare. Il film con cui Moretti, in un certo senso, approda alla serietà dell’età adulta. La maturità che si può raggiungere solo attraversando il dolore, purché esso sia reale e non più celato, simulato o raccontato ricorrendo ora al dramma comico (e tragicomico), ora al racconto diaristico, ma a una narrazione cinematografica che è prima di tutto scrittura. […]
[…] lo immaginiamo così l’incipit del nuovo film di Nanni Moretti, e non sarà, di fatto, un Moretti qualsiasi quello che vedremo presto al cinema, bensì un autore […]