
I nostri antenati – Calvino e tutte le forme della parola
Sanno riempire magistralmente la scena a prescindere da come questa si presenti le parole di Italo Calvino che, nell’anno del centenario dalla nascita, è protagonista attraverso la sua Trilogia degli Antenati del trittico realizzato da Teatro della Tosse, in scena fino al 26 novembre: tre registi differenti per tre romanzi che appaiono a un tempo distanti e contigui tra loro; tre visioni di messa in scena lontane, differenti, chiamate ad evocare tre personaggi – Visconte, Cavaliere e Barone, con i rispettivi aggettivi – radicati nell’immaginario nazionale eppure ancora liberi da eccessi di rappresentazione, quindi disposti a farsi raccogliere dallo sguardo autoriale di Emanuele Conte (firma di tutte le scene con Luigi Ferrando), Giovanni Ortoleva e Laura Sicignano. Il tutto solleticando nuovamente la capacità del Teatro della Tosse di restituire unità a momenti scenici potenzialmente inconciliabili, creando per gli spettatori percorsi di fruizione che diventano modi di abitare gli spazi in cui questi prendono vita.

I nostri antenati è un trittico di scene che vivono e funzionano autonomamente, ognuna forte di una visione registica definita, personaggi dall’impatto coinvolgente e soprattutto interpreti decisamente convincenti, chiamati a dare corpo a fiumi di parole la cui importanza è centrale per la riuscita dell’intero spettacolo la cui tenuta, al di là delle differenze, è data dalla messa al centro del potenziale immaginifico della parola come tassello luminoso di un mosaico narrativo, capace di evocare l’invisibile, di ricucire il distante e di popolare l’immenso. Il testo del trittico si fa infatti tutt’uno nell’intessere l’eterogeneità delle visioni teatrali che scandiscono i momenti dello spettacolo, guidando gli spettatori non tanto nel cercare un’unità di senso nel tutto – il pretesto degli Antenati è più che sufficiente – bensì nell’abitare al meglio i densissimi racconti.

Così, dopo un prologo interpretato da Enrico Campanati che, in perfetta continuità con i lavori del Teatro della Tosse, unisce il gruppo di spettatori e li rende un corpo unico pronto a contribuire con la propria presenza attiva alle scene, si entra negli spazi che danno vita a Mal Visconte mezzo gaudio, il primo spettacolo del trittico a firma di Emanuele Conte, costruito attraverso assi di simmetria rappresentativa costanti, in un dialogo tra il senso manifesto – un Visconte diviso in due – e il modo in cui lo si fruisce, da una parte all’altra dello spazio scenico; qui, circondati da una scenografia curatissima, densa di effetti visivi e di codici rappresentativi, i tre interpreti – Pietro Fabbri, Antonella Loliva e Matteo Traverso, tutti con un carisma eccezionale – danno vita ai personaggi che popolano Il Visconte dimezzato, andando a spingere con forza sui punti emotivamente più delicati di un racconto dichiaratamente morale immerso in un contorno bellico, di conflitto costante. Il risultato, tra momenti esilaranti e avvincenti, è solidissimo, dando al trittico un ottimo slancio iniziale.

L’estrema perizia scenica del primo spettacolo è immediatamente contrastata dal secondo, Pagina, di Giovanni Ortoleva, il cui spazio è costituito da un palco aperto come un libro dalle pagine bianche su cui si muove una portentosa Valentina Picello nei panni della suora che ne Il Cavaliere inesistente insegue e incarna le parole che danno vita a situazioni invisibili eppure presentissime, spettri di rappresentazione evocati dal corpo e dalla voce sulla scena. In un intenso monologo dalla densissima potenza espressiva, gli spettatori sono rapiti da un tessuto sensoriale – fatto anche di suoni e luci – che immerge tutta la situazione nelle pagine di un libro che come si riempie torna bianco, esprimendo, con l’inesistenza del suo Cavaliere, l’immaterialità delle parole che più si cercano di fissare più si svuotano e si dissolvono. Il lavoro di Ortoleva mostra il lato più sperimentale del trittico, regalando all’intero spettacolo una nota di inaspettata sottrazione del rappresentato che riesce a risuonare luminosa al centro dell’intero progetto.

L’ultima tappa del percorso di cui è composto il trittico – Il Barone – è un eroico esempio di macchina scenica in cui ogni angolo della rappresentazione – che ribalta il tradizionale rapporto tra spettatore e scena – diventa meccanismo narrativo, con un impianto scenografico sorprendente e perfettamente abitato da un Alessio Zirulia capace da solo di guidare sguardo e immaginazione del pubblico lungo i tanti eventi che addensano questo capitolo dedicato a Il Barone Rampante. Qui le parole sono foglie che adornano i tronchi degli alberi dove la presenza e la voce del Barone/Zirulia evocano situazioni, personaggi e immaginari interi, creando prospettive, vertigini e orizzonti per uno sguardo sulla scena che aggiunge profondità a quella che già materialmente è data dalla scenografia. Qui la scelta di Laura Sicignano – anche ideatrice del trittico – è di lasciare che le dense parole infoltiscano le fronde dello spazio vastissimo, dando appoggio al solo interprete che regge perfettamente il compito di muoversi con agilità tra i rami e le situazioni.

La proposta del Teatro della Tosse col suo trittico degli Antenati è quindi quella di osservare come le parole di e da Calvino possano prendere posto in scena, farsi loro stesse spazio scenico, con approcci alla rappresentazione che sono a un tempo lontanissimi eppure radicalmente ancorati a ciò che il romanzo di partenza sa evocare nella sua costruzione: aggettivi come “dimezzato”, “inesistente” e “rampante” diventano nei tre capitoli le chiavi di lettura con cui apporre lo sguardo spettatoriale nello spazio teatrale, una sorta di indice per permettere al pubblico di abitare al massimo i luoghi in cui tre idee diverse di adattamento scenico si concatenano in uno spettacolo che è, in definitiva, discorso sul discorso, evocazione di ciò che nell’umano è l’unico strumento dell’evocazione stessa. La parola di Calvino è quindi qui disegno, colore, oggetto, strumento e talismano, tessuto unificante di un terreno della rappresentazione eterogeneo e ricchissimo in cui, da spettatore, lasciarsi trascinare accompagnati dal carisma di personaggi/interpreti capaci di dare alle parole corpo, carisma e, profondamente, azione.
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