
Good Omens 2 – Piccola apocalisse di quartiere
Quattro anni fa pensavamo non accadesse; no, non la fine del mondo, ma la stagione 2 di Good Omens, serie Prime Video inizialmente basata sull’omonimo romanzo di Neil Gaiman e del mai dimenticato Terry Pratchett con protagonista l’esplosiva coppia formata da David Tennant e Michael Sheen, rispettivamente il demone Crowley e l’angelo Aziraphale impegnati nel fermare l’arrivo dell’imminente Armageddon. Pensavamo non accadesse perché del romanzo un vero e proprio sequel – solo ipotizzato – non era mai stato realizzato e perché la penna di Gaiman, privata del genio comico di Pratchett, può non bastare a rendere giustizia a quella brillante e scoppiettante chimica che dalle pagine degli anni ’90 si è tradotta in una delle migliori miniserie del 2019.

Eppure il successo del prodotto Prime Video è stato troppo allettante per non lasciarsi scappare l’opportunità di un rinnovo, ufficialmente annunciato nel 2021 e rischiosamente basato sulle forze di Neil Gaiman e aiutato dall’acume dello sceneggiatore comedy John Finnemore, non coinvolto nella stagione precedente; com’è prevedibile, la riuscita del progetto viene totalmente demandata all’elemento più forte e solido di Good Omens fuori dal romanzo, ovvero l’esplosiva capacità attoriale e relazionale di David Tennant e Michael Sheen, diventati in questo quattro anni oggetto di fan fiction, meme, cosplay e di qualsiasi altro tipo di contaminazione che facesse evolvere la ship tra due personaggi perfettamente caratterizzati e amati dagli stessi attori, che più volte nel tempo hanno ammiccato al proprio fandom.

Proprio nel rapporto tra i due si consuma il meglio di questa seconda stagione, decisamente più piccola sia nel racconto che nello spazio narrativo, dalla dimensione quasi teatrale e dal respiro unitario. Quel che accade lungo i sei episodi di Good Omens 2 si sarebbe facilmente tradotto in pochi passaggi della stagione precedente, tanto da far sembrare questo seguito uno spin-off tutto incentrato sugli Ineffable Husbands – così uno dei nomi dato dai fan alla ship – sia nel presente quanto lungo la Storia dell’Umanità, in un paio di episodi ambientati nel passato che risultano senza dubbio i momenti migliori della stagione, in perfetta continuità con la precedente.

Eppure, portando avanti la visione, se ci si discosta dalla chimica perfetta tra Tennant e Sheen non si possono ignorare alcuni evidenti difetti di scrittura che sottolineano come l’esistenza di questa seconda stagione sia sostanzialmente opportunistica e ben poco ancorata su necessità narrative, anzi: dove non era stato possibile adattare dettagli brillanti del romanzo – uno su tutti la trasformazione di qualsiasi album lasciato in macchina abbastanza a lungo in una compilation dei Queen -, questi vengono qui riciclati come twist narrativi capaci di far sentire ancora più profondamente la mancanza di Pratchett nel tessuto del racconto. A tutto ciò si aggiunge un’improvvisazione generale nel worldbuilding – specialmente demoniaco – che si realizza in un pessimo servizio nei confronti dei fan, spesso invece capaci di estrema cura nella ricostruzione dei meccanismi interni dell’universo narrativo.

Chiaramente non tutto è perduto e questa stagione riesce comunque a non essere la fine del mondo. Gran merito va ad un tessuto estetico (visivo e sonoro) sempre riuscitissimo, cucito addosso ai suoi (pochi, molti meno della stagione precedente) protagonisti, sempre portatori di una queerness godibilissima ed entusiasmante indossata al meglio dagli interpreti. Come non sono da buttare alcune neanche troppo sottili stoccate al facile manicheismo morale, dove il concetto di “bene” viene qui più volte ribaltato nei suoi risvolti più pericolosamente classisti e normativi, tenuto a distanza da un libero arbitrio che si vorrebbe necessariamente più sfumato. Inoltre, liberandosi dagli stringenti confini della fonte letteraria, questa seconda stagione, in coda ad una sequenza che farà accendere il fandom un po’ ovunque, apre le porte a possibili seguiti che, se meglio calibrati sulla nuova dimensione ridotta, potrebbero essere decisamente auspicabili.

Certamente il consiglio è di vedere questa stagione 2 di Good Omens per quello che è: il ritorno di una coppia di personaggi ed interpreti – David Tennant, per altro, tornerà a brevissimo anche in Doctor Who – troppo amati per essere limitati nella loro esistenza narrativa, che si misurano con un racconto che ha poco più della fan fiction, ma che almeno restituisce agli schermi di Prime Video un po’ di quella scoppiettante energia queer di cui si sente già la mancanza finiti i titoli di coda, almeno fino alla prossima apocalisse.
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