
Che fatica la performance! Il Superpaesaggio di Chiaravalle
Il Superpaesaggio di Chiaravalle ci ricorda la fatica delle performance, che ci smuovono dalla nostra pigrizia di sguardo e di percezione, mostrandoci alternative possibili, nuovi percorsi, nuove visioni. Questa fatica è anche fisica: invece di trascinarci sul consueto marciapiede che da Cadorna costeggia Parco Sempione, per abbandonarci sulle poltrone del Teatro della Triennale, FOG ci porta a sud-est di Milano, nel borgo-quartiere di Chiaravalle.
Il 16 aprile è una domenica calda e assolata, perciò noi pigri spettatori ci sediamo all’ombra sul prato dell’Arci di Chiaravalle mentre Nicola Ratti, Attila Faravelli, Enrico Malatesta ci introducono rapidamente a Superpaesaggio, performance sonora che, ci dicono, realizzeremo tutti insieme, camminando per questo luogo di confine tra i palazzi di Corvetto, le case di ringhiera e l’abbazia di Chiaravalle, e le campagne del Parco Agricolo Sud Milano. Troviamo una soglia per collocarci tra questi spazi: un prato, tra le case e la ferrovia dismessa, è il nostro teatro in cui, in quanto soglia, non c’è confine tra la platea e il palcoscenico, tra spettatori e attori. Prendiamo confidenza con i suoni dell’ambiente a cui unire i nostri per sentire di più: i performer ci vengono in aiuto con i loro strumenti musicali, casse e amplificatori bluetooth, diapason, minuscoli microfoni portatili, ghiaia, tegole rotte.

Il rombo del motore di un aereo da Linate, le campane dell’abbazia, lo sferragliare di un treno verso Rogoredo, il gracchiare di un pavone. I suoni elettronici ci fanno percepire di più e tutto insieme; ci fanno concentrare sugli elementi spaziali di una domenica pomeriggio in un quartiere a metà tra città e natura addomesticata: calpestando il verde, riconosciamo il profumo dell’erba menta e ci ricordiamo che lo spazio odora. La drammaturgia è aperta all’imprevedibile: tutti noi performer tracciamo una drammaturgia personale nello spazio del prato, con la libertà di dirigerci verso un albero cavo che ospita una cassa o verso i sassolini lasciati cadere a pioggia sulle tegole. Le nostre guide, sparpagliandosi per il prato, ci incoraggiano a disegnare una nostra traiettoria nello spazio, lasciandolo risuonare, seguendo istintivamente i suoni: un microfono viene calato nella roggia della Vettabbia e improvvisamente lo scroscio dell’acqua viene amplificato mentre tutti noi ci disponiamo intorno, in attesa che accada l’imprevedibile, come la caduta nella roggia di uno degli strumenti dei musicisti, una piccola capsula vibrante. La partitura sonora viene improvvisata partendo da una base comune: la sonorità dell’ambiente, su cui Ratti, Faravelli e Malatesta compongono la loro partitura attraverso strumenti elettronici e naturali.

Se all’inizio muovevamo passi incerti, come se temessimo di sbagliare direzione e ascolto, poi abbiamo compreso di non essere costretti in uno schema prestabilito in partenza: siamo anche noi parte della drammaturgia dell’imprevedibile che si fonda su un elemento spesso dato per scontato, cioè la libertà. Il percorso sonoro che ognuno di noi ha seguito nel prato è stato tracciato dalla libertà di gesti non programmati, il camminare e l’ascoltare, che siamo stati resi liberi di mettere in atto, guidati da Ratti, Faravelli e Malatesta.
Siamo stati performer? Esploratori? Studiosi dei luoghi, capaci di azioni delicate e profonde con cui penetrarne gli strati di suoni, immagini, odori, cogliendo un insieme che unisce più voci diverse in un unico coro. Porsi tra i luoghi con pazienza e fatica. È questa la fatica della performance: saper stare in silenzio, ascoltare, camminare oltre. Oltre le comodità di percorsi noti, prestabiliti e costrittivi, per arrivare alla fine a sederci accaldati e sudati, come gli attori stanchi e affaticati alla fine dello spettacolo: l’esito della fatica di darsi all’altro, di contribuire con una parte di sé alla realtà a cui ci abbandoniamo spesso pigramente, quando non proviamo più a vederla e a capirla, ma la lasciamo aperta all’imprevedibile, all’evento nel suo significato letterale di accadimento. La performance ci chiede: «Siete ancora disposti a fare fatica?».

Progetto di e con Nicola Ratti, Attila Faravelli, Enrico Malatesta
In collaborazione con Terzo Paesaggio
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