
La Timidezza delle Chiome – Le immagini del coming of age
In occasione della vittoria del Premio Speciale – Premio “Valentina Pedicini” agli ultimi Nastri d’Argento e della selezione nella decina dei documentari candidati ai David di Donatello 2023, vi parliamo di La Timidezza delle Chiome di Valentina Bertani. Quest’opera, scelta tra gli “scenari” del nostro ultimo cartaceo Brucia Tutto, è uno dei racconti audiovisivi più sorprendenti e innovativi dell’ultima annata italiana, perché è capace di far tremare lo schermo con un coming-of-age che sosta tra finzione e documentario, specularità e sottili differenze identitarie.
Prima che approdasse al lungometraggio con La Timidezza delle Chiome, le forme espressive più frequentate da Valentina Bertani sono state il video-clip, il fashion movie e l’advertising. Qualcosa di apparentemente antipodico rispetto a questo semi-documentario dalla materia narrativa così vera e palpitante. Sono formati in cui, per veicolare efficacemente un prodotto, un’idea, un immaginario, è necessaria una certa masticabilità visiva, un approccio compositivo sensorialmente affascinante.

Le sue immagini giocano con le componenti materiche del colore, con l’estetica da GameBoy, con la separazione scultorea e glam tra corpo e ambiente e si lasciano profanare da interventi e scenografie digitali dall’immaginario anni ’90. Sono peculiarità che straordinariamente non perde nel racconto del vero, a partire dal sorgere dell’idea, nata proprio da un’immagine folgorante ed esteticamente accattivante: un incontro fortuito sui Navigli, con due gemelli omozigoti dal volto ipnotico: allora solo passanti, poi protagonisti di un progetto durato cinque anni. Joshua e Benjiamin, giovani nemesi fraterne, gemelli inseparabili che solcano la suburbia milanese come i Die Antwoord nel videoclip di Harmony Korine, fantasticano sul futuro, ora annoiati, ora euforici, sono speculari nelle sembianze e complementari nelle differenze, ma sopratutto condividono tutto: l’immaginario musicale, il nucleo domestico, la console, la J nel nome, gli amici, i passatempi e infine la stessa disabilità cognitiva. Da una parte, La Timidezza delle Chiome si innesta nel solco già tracciato di altri coming of age indipendenti come Short Skin o L’Estate di Giacomo, per il suo approccio documentario a un racconto di formazione leggero, dall’altra propone un approccio espressivo audace, dialetticamente legato al contenuto.
In fondo, “Adolescenza” – etimologicamente “che si sta nutrendo” – è un’azione che si sta svolgendo adesso, in attesa di approdare a una matura e sviluppata sazietà. Quell’adesso, ne La Timidezza delle Chiome (che è stato presentato in Notti Veneziane alle ultime Giornate degli Autori), è narrato con un linguaggio che si lascia contagiare dall’instabilità incendiaria della fase esistenziale che sta raccontando.

Inserti d’archivio, visioni micro e macroscopiche, strappi d’immagini storiche, vertiginosi atterraggi su google earth, verticalità formato instagram, soggettive digitali di chat e schegge di filmati di famiglia profanano il racconto cronologico di un anno di vita, rendono visibile la giuntura nera del montaggio, il solco esistenziale tra passato e futuro in cui versano i protagonisti. È una grammatica visiva conscia del qui e ora in cui sono immersi i suoi soggetti e in questo senso puramente documentaria. L’iconosfera, la costante relazione tra GenZ e la proliferazione di immagini, idoli, modelli fanno sì che quasi ogni scena si dissolva nella cesoia euforica e velocizzata di questi flussi. L’immagine insomma domina tutto e influenza il racconto del vero. Da una parte dissacra la purezza del documento in quanto tale, dall’altro ne restituisce la verità dei suoi soggetti, in tutta la loro vibrante apprensione di vivere. In questo senso, La Timidezza delle Chiome è un affresco dello sguardo al futuro, un mosaico di immagini centrifughe paradossalmente unito e solido nel suo restituire l’immediatezza di un tratto di vita così significativo.

Oltre alla natura condizionabile di questi protagonisti così spontanei, bambineschi, irriverenti davanti all’oggetto macchina da presa, la frequenza con cui Bertani scrive e mette in scena, avvicina questo semi-documentario ad Atlantide di Yuri Ancarani. Anche qui ritroviamo l’attenzione all’estetica, l’iper centralità dei volti e una polpa narrativa vera, guidata e messa in scena da uno scheletro drammaturgico che guarda al reenactment. Ma la crucialità de La Timidezza delle Chiome sta nel suo documentare i sogni e i pensieri, nel suo mettere in scena il potenziale, il desiderio e la paura, divaricando il racconto documentario oltre sé stesso, usando la finzione dove l’occhio meccanico non può sondare il reale. Insomma, questo documentario affettivo e riflessivo, prosegue un nuovo modo di racconto del reale che non rifiuta il controllo compositivo e la manipolazione narrativa, in cui la realtà recita ed esprime sé stessa.
Potremmo definirlo un delitto perfetto, l’ineluttabilità di una riproduzione, di un’immagine che surclassa ciò che documenta. Ma è anche un’intelligente prospettiva da cui guardare chi questo delitto lo vive ogni giorno. Perché la manipolazione e lo svelamento non indeboliscono l’immediatezza di queste due giovani armonie spesso dissonanti ma sempre ritmicamente a tempo.
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