
Christo – Walking on Water | Le burrasche, l’arte, la riflessione imperdibile
In occasione dell’anteprima italiana tenutasi a Bologna nell’ambito del quindicesimo Biografilm Festival, abbiamo chiesto al regista Andrey M Paounov se per scegliere le scene adatte a raccontare la preparazione di The Floating Piers si sia ispirato ai film di guerra, in particolare nella rappresentazione di Christo, che come Nelson a Trafalgar solcava il lago d’Iseo per coordinare l’allestimento di una delle opere che ha inseguito per tantissimi anni. E sì, l’ispirazione, ci ha detto, è stata proprio quella, perché per lui quest’opera ha avuto più a che fare con la guerra che con l’arte, ed è facile capirne i motivi, grazie a un documentario che è solo apparentemente il racconto di un evento, quando è invece il ritratto di un gigante minuto, burrascoso, autoironico e fin ingenuo come un bambino: Christo, che voleva camminare sulle acque e ci è riuscito, ma senza la sua amata Jeanne-Claude. Di seguito la recensione di Christo – Walking on Water.
Christo – Walking on Water, nelle sale italiane fino al 19 giugno, è un documentario che stupisce, forse anche per la maniera classica con cui è stato presentato, salvo poi rivelarsi molto più di quello che un trailer poteva far presagire, risultato: l’ho visto due volte in due giorni al Biografilm Festival di Bologna, e non mi è pesato. Ne ho invece apprezzato sempre di più la formidabile scelta di immagini e momenti di contatto con Christo e le sue idee, tra i silenzi del suo studio, gli stridii del pastello che ritocca le tele preparatorie, le grida ai suoi assistenti su Skype, il vento, la pioggia, gli elicotteri sul Lago d’Iseo. Quello che poteva essere il classico racconto posato e pulito di un’impresa artistica, di un evento, è invece opera a sé, un vero additivo all’idea che si può avere di Christo a partire dalle sue opere su larga scala.

700 ore di girato che, condensate, raccontano preparazione, realizzazione e chiusura di un pezzo di land art tra i più grandi e contestati di sempre. Uno sguardo capace di esaltare non solo il grande artista – depositario di valori antichi fatti di vera materia, vera aria, quelle real things che si oppongono al mondo virtuale – ma anche i suoi assistenti, sempre presenti al suo fianco, pronti a contrastarlo dove necessario, a calmarlo e gioire con lui, quasi fosse un bambino entusiasta e lunatico. In particolare è Vladimir Yavachev, peraltro nipote di Christo stesso, a sembrare nato per stare davanti a una macchina da presa e diventare subito un punto di riferimento per lo spettatore. Come lo sono le musiche di Saunder Jurriaans e Danny Bensi, capaci di accrescere il piacere della visione al punto da entrare immediatamente nelle mire delle playlist più rilassanti in circolazione.
Dunque un film fortunato, che ha trovato nel gruppo ristretto dei suoi protagonisti quasi tutto ciò che gli serviva per funzionare, ampiamente aiutato dai momenti fortuiti, dagli imprevisti, dalla macchinosa burocrazia italiana, dalle false carinerie interessate di ricchi finanziatori e ammiratori arricchiti, accorsi al party di inaugurazione quasi a riassemblare il cast de La grande bellezza, in questo caso ancora più incisivo perché completamente reale. E in mezzo a tutto questo, il sorriso di un uomo felice di vedere la sua immaginazione prendere forma, dopo aver tentato di realizzarla prima in Argentina e poi in Giappone, senza ottenere mai i permessi. Una storia d’amore, in un certo senso, anche se non rappresentata direttamente su schermo, perché in ogni gesto di Christo è presente Jeanne-Claude, l’amata compagna di mille avventure scomparsa nel 2009.
Un documentario che ci aiuterà a capire molti problemi dell’arte ai tempi del digitale e degli smartphone, per riappropriarsi il prima possibile della riflessione, degli affetti veri, delle esperienze vere, dei sogni che si realizzano ancora nella realtà.
Una cura per l’anima, non perdetelo.
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Il trailer:

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