
Giocando con i generi – “L’innocente” di Louis Garrel
Louis Garrel, celebre attore francese noto per il ruolo in The Dreamers (2003) di Bertolucci, torna dietro la macchina da presa firmando la sua quarta pellicola cinematografica, L’innocente, da lui scritta, diretta e interpretata. Il titolo gioca ironicamente con il soggetto del film che racconta con un tono leggero e scanzonato le disavventure di Abel, giovane vedovo alle prese con una madre (Anouk Grinberg) sopra le righe che si innamora di un ex galeotto (Roschdy Zem). Trasformatosi, a causa delle circostanze, in un maldestro investigatore privato, Abel ci trascina in un susseguirsi di intercettazioni, appostamenti e improbabili pedinamenti, ricco di colpi di scena e genuinamente esilarante.
Garrel costruisce una commedia che strizza l’occhio al Polar d’oltralpe, da cui riprende gli stilemi tipici del genere noir e poliziesco, che vengono ammantati di una comicità sottile, mescolati al romance e guarniti con qualche scaglia di dramma. Il risultato è un pastiche sapientemente costruito, nel quale Garrel dimostra di padroneggiare consapevolmente il mezzo cinematografico, riuscendo a passare da un genere all’altro con sorprendente fluidità e naturalezza, senza apparire mai forzato.

Lo spunto di partenza, come ha raccontato il regista all’anteprima milanese del film al Cinema Beltrade, arriva dal vissuto del regista, la cui madre è tuttora fidanzata con un ex carcerato. L’elemento autobiografico si conferma dunque sostanziale al suo fare cinema; non è infatti un caso che Garrel stesso decida di interpretare i suoi protagonisti, una sfilza di personaggi privi di volontà e iniziativa, disillusi e incapaci di partecipare appieno alla vita che li circonda. Questi personaggi hanno tutti lo stesso nome, “Abel”, la cui etimologia dall’ebraico rimanda al concetto di evanescenza e, a ben guardare, sono tutti lo stesso personaggio, l’alter ego del regista.
Se Garrel attinge a piene mani dal proprio vissuto e modella i suoi protagonisti a partire dalla sua esperienza personale, il suo cinema non ha però nulla a che fare con un cinema della realtà. Partendo da questo motivo biografico, il regista francese costruisce un film di pura finzione, in cui il linguaggio cinematografico appare centrale e la sperimentazione sui diversi generi è gestita con equilibrio. Altrettanto importante appare il ruolo rivestito dagli attori: Garrel ha lavorato sulle coppie attoriali, cercando interpreti che avessero un’intesa particolare davanti alla macchina da presa. Come protagonisti troviamo dunque Abel (Louis Garrel) e Clémence, interpretata da una bravissima Noémie Merlant (Ritratto della giovane in fiamme) che si cimenta qui per la prima volta in un ruolo cabarettistico, confermando il proprio talento anche in veste comica. Abel, scosso da un grave lutto personale, vive bloccato in un presente apatico e malinconico, è diffidente verso il prossimo e legato in maniera eccessivamente protettiva alla madre e alla migliore amica, Clémence, una ragazza vivace e solare, ma intimamente insoddisfatta. A far da contraltare a questa coppia di giovani inibiti e con tratti nevrotici (specialmente lui), troviamo l’esplosivo duo costituito da Anouk Grinberg e Roschdy Zem, che portano in scena una genitorialità sensuale ed eccentrica, che dà libero sfogo alle proprie pulsioni, al di là di ogni moralismo.

A ribadire la centralità della recitazione all’interno del film, alcune delle scene meglio riuscite, e tra le più divertenti, sono quelle in cui la recitazione stessa viene messa in scena e diventa funzionale alla trama e allo sviluppo dei personaggi. Proprio nel momento in cui Abel e Clémence sono chiamati a fingere, recitando una parte, riescono a dire e a dirsi reciprocamente la verità; lontani dal palcoscenico della propria vita e indossando una maschera diversa si sentono finalmente liberi di esprimere una parte di loro stessi. Realtà e finzione si mescolano in alcuni pezzi di metacinema molto riusciti a cui sottende una riflessione trattata con leggerezza, ma non con banalità, sulle dinamiche umane. Quest’ultime sembrano infatti le parole più adatte per parlare dell’Innocente, un film divertente e leggero, ma mai frivolo, che attraverso la costruzione di quattro personaggi ben caratterizzati e ottimamente interpretati, suggerisce, senza troppe pretese, una riflessione sulla natura umana e i rapporti personali, lontana da considerazioni di carattere morale, al contrario di quanto potrebbe far pensare il suo titolo. Molto buono anche il finale circolare, che riesce a chiudere in maniera non scontata la vicenda.
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