
Il fantasma del presente – Intervista a Roberto Chiesi | Pasolini Déluge #9
Roberto Chiesi, critico cinematografico e responsabile del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, è membro del comitato direttivo della rivista internazionale Studi pasoliniani e del comitato di redazione periodico Cineforum. Collabora inoltre con il programma radiofonico di Rai Radio3 Wikiradio, e con i periodici Segnocinema e Cinecritica. Considerato uno dei più importanti studiosi di Pasolini a livello internazionale, è stato autore e/o curatore di numerose pubblicazioni in tema tra cui Pasolini, Callas e Medea (FMR, 2007), Cristo mi chiama ma senza luce. Pier Paolo Pasolini e il Vangelo secondo Matteo (Le Mani, 2015), il collettaneo Tutto Pasolini (Gremese, 2022) e il catalogo delle mostre Folgorazioni figurative e Pasolini e Bologna. Gli anni della formazione e i ritorni, organizzate quest’anno del centenario dalla stessa Cineteca. In occasione della pubblicazione per Vallecchi del suo saggio Pasolini. Il fantasma del presente (1970-1975), lo abbiamo intervistato anche per fare un punto su quest’anno di celebrazioni pasoliniane.

Come è nato in lei l’interesse per la figura e l’opera di Pier Paolo Pasolini? Da quale momento della sua vita e per quali circostanze ha iniziato a specializzarsi su di lui?
Il mio interesse per Pasolini è iniziato molto presto, quando avevo dodici anni e rimasi folgorato dalla visione di Uccellacci e uccellini, trasmesso in televisione. Rimasi affascinato dalla mescolanza di realismo e fantastico fiabesco, dall’asprezza e dalla dolcezza, dalla crudeltà del finale. Ma ho iniziato a leggere i suoi testi qualche anno dopo, dai sedici anni in avanti, sempre più voracemente, ed ebbi la fortuna che a Bologna, dal 1982, venissero regolarmente organizzate delle retrospettive dei suoi film, che seguivo assiduamente. Fu quindi una passione spontanea, che all’epoca conviveva in me con quella per cineasti molto diversi da Pasolini, come Visconti, Bergman, Fellini, Losey e Melville. Dal 1995, poco prima dei trent’anni, ho iniziato a leggere sistematicamente tutte le sue opere letterarie, che già avevo letto in parte, soprattutto la poesia e la narrativa.
Come è stato coinvolto nel Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna? In cosa si differenzia l’archivio della Cineteca da quello custodito a Casarsa?
Non dimenticherò mai la telefonata di Laura Betti che, una mattina dei primi del 2004, mi chiese, con la sua voce romanzesca, impressionante, se fossi interessato a lavorare per il Centro Studi – Archivio Pasolini, che aveva appena trasferito a Bologna. Conoscevo Laura Betti perché le avevo fatto un’intervista per una rivistina con cui collaboravo e soprattutto perché l’avevo invitata a un paio di incontri a Bologna, da cui ero uscito miracolosamente vivo, anzi in un certo senso mi aveva “adottato”. Credo che la Betti fosse rimasta colpita dalla passione che avevo per Pasolini e per la stessa Betti, che io ammiravo e amavo moltissimo come attrice e come personalità geniale e fuori da qualsiasi schema. Poi ci fu l’intervento determinante di Goffredo Fofi, alla cui rivista Lo straniero avevo proposto un saggio su Pasolini che credo gli fosse piaciuto. Fofi frequentava spesso la Betti in quel periodo e quando seppe che cercava qualcuno per lavorare al Centro Studi appena trasferito, le fece il mio nome e lei si ricordò di me. L’archivio della Cineteca è una creazione di Laura Betti, quindi è un unicum che non somiglia a nessun altro, con una documentazione di molte migliaia di saggi e articoli in tutte le lingue, comprese quelle orientali, che nessuno possiede. Anche la biblioteca è senz’altro la più ricca di volumi su Pasolini esistente in assoluto.
Dei molti collaboratori di Pasolini – Ninetto Davoli, Laura Betti, Tonino Delli Colli, Vincenzo Cerami, Graziella Chiarcossi – con quali si è confrontato più spesso circa le modalità di conservazione dell’eredità pasoliniana?
Con Laura Betti i contatti telefonici erano quasi giornalieri, anche perché non usava il pc e quindi neanche le mail, ma purtroppo morì molto presto, nel luglio del 2004, appena pochi mesi dopo l’inizio del mio lavoro. Fu una perdita tristissima, grave. In seguito ho potuto consultarmi spesso con Graziella Chiarcossi, con Ninetto Davoli, Nico Naldini, Dacia Maraini, ho avuto la fortuna di incontrare Sergio Citti, Dante Ferretti, Tonino Delli Colli e anche con molti studiosi di Pasolini.

Lei ha già scritto o curato numerose pubblicazioni sulla figura e sull’opera di Pasolini, con una particolare attenzione per la sua produzione filmica. Da cosa Le è nata l’esigenza di scrivere il saggio Il fantasma del presente?
Questo libro riunisce saggi inediti e saggi rielaborati da pubblicazioni in riviste ma il filo rosso è dato dalla dialettica tormentata e drammatica di Pasolini con il presente. Ho tentato di analizzare come avesse espresso nei suoi film – e anche nelle poesie e nella narrativa coeve degli ultimi cinque anni di vita, il sentimento doloroso che lo legava al passato, un sentimento che mi ha sempre affascinato profondamente. Che non si può ridurre ad una semplice “nostalgia” o “rimpianto”, è un sentimento più complesso e contraddittorio.
Il fantasma del presente si apre con una prefazione di Dacia Maraini, una delle amicizie più durature di Pasolini nonché sua collaboratrice alla sceneggiatura de Il fiore delle Mille e una notte. Al termine della prefazione, la Maraini afferma che “la contraddizione di Pasolini stava nel fatto che mentre col cuore e coi sensi si trovava dalla parte della madre, e quindi anche delle Furie contro Oreste l’assassino, dall’altra politicamente e culturalmente voleva spingersi dalla parte di Apollo e delle nuove leggi patriarcali”. Quanto condivide questa lettura critica?
In Pasolini agiva anche un senso di pragmatismo, soprattutto in ambito sociale e politico, che poteva anche entrare in contraddizione con i suoi sentimenti. Criticava alcune scelte, alcuni compromessi del PCI ma questo non gli impediva di continuare a votarlo e di rivendicare il suo voto al PCI. La Maraini ha voluto sottolineare questo. In effetti non è un caso che Pasolini, nell’Orestiade, insista più su Atena che su Apollo, su una divinità femminile più che su una maschile. È un modo per suggerire che sentimentalmente era legato alla dimensione materna. Ma dicendo questo, bisogna riconoscere che l’identità femminile veniva riconosciuta da Pasolini solo in quanto materna, in quanto madre…
Il fantasma del presente si distingue da altri studi sulla seconda metà della filmografia di Pasolini per l’attenzione tributata, accanto a film canonici come la Trilogia della Vita o Salò, anche ad alcuni episodi apparentemente “minori” del suo cinema, quali l’incompiuto Appunti per un romanzo sull’immondezza, La forma della città e gli Appunti per un’Orestiade africana. Quanto crede siano importati queste sperimentazioni di P.P.P. con la forma documentaristica per comprendere gli ultimi sviluppi del suo pensiero su tematiche quali il Terzo Mondo o le trasformazioni dell’Italia a seguito del boom economico?
Credo che siano film di fondamentale importanza, di grande libertà espressiva. Purtroppo di Appunti per un romanzo sull’immondezza non è stato ritrovato il sonoro che era determinante perché una buona parte del film era basato su interviste, quindi le uniche sequenze che possiamo apprezzare sono quelle che mostrano i netturbini al lavoro ai mercati generali di Roma. Gli altri film confermano la ricchezza delle sperimentazioni pasoliniane: Appunti per un’Orestiade africana è un film-laboratorio dove Pasolini sperimenta varie forme di film per parlare delle trasformazioni dell’Africa dopo la decolonizzazione, La forma della città è un film-saggio, l’equivalente audiovisivo di uno scritto “corsaro”. Questi e altri sono film che affrontano direttamente, concretamente ma anche elaborando una forma originale, alcuni fenomeni della realtà del presente.
Il titolo del suo saggio Il fantasma del presente accenna a un’affascinante ambiguità: il presente come fantasma, il presente del 1970-1975 criticato negli articoli e tagliato fuori dagli ultimi quattro lungometraggi di P.P.P., come indagato nel corpo del volume, ma anche, se vogliamo, Pasolini stesso come fantasma del nostro presente. Quale delle due letture le sembra più vera?
In fondo sono vere tutte e due. Il senso più letterale è senz’altro il primo: il presente escluso dal cinema di finzione pasoliniano degli ultimi anni che però incombe su ogni immagine, su ogni inquadratura come uno spettro, un contraltare negativo. Ma al tempo stesso è anche vero che Pasolini è un fantasma del nostro presente.

In occasione del centenario dalla nascita di Pasolini, siamo stati inondati di pubblicazioni, mostre, articoli e iniziative varie sulla figura di un poeta, intellettuale e cineasta che del suo carattere scandaloso e della polemica con la cosiddetta cultura ufficiale aveva fatto uno stendardo. Pensa che le celebrazioni del centenario siano state in linea con lo spirito dell’opera e della figura pubblica di P.P.P.?
In effetti già la parola “celebrazione”, che è stata usata e abusata così spesso quest’anno – ma per la verità ricorre ogni decennale dalla morte, dalle istituzioni di ogni tipo, è la negazione dello spirito pasoliniano, del pensiero pasoliniano che non celebrava nulla e nessuno e detestava le celebrazioni. Da un punto di vista pratico, però, se tutte queste, anche inflazionate, iniziative avranno avuto l’effetto di indurre i giovani a leggere anche soltanto una pagina di Pasolini – ma io spero almeno un libro – allora non saranno state inutili.
Sin dalle prime pagine il suo saggio evidenzia la componente nostalgica della sensibilità pasoliniana, che arriva a bollare il suo presente come “tutto senza rilievo, tutto grigio, tutto malinconico, tutto già accaduto, certo”, eppure proprio la sceneggiatura incompiuta del Porno-Teo-Kolossal, su cui si conclude Il fantasma del presente, nel denunciare l’inganno dell’utopia si apriva a schegge inavvertite di futuro. In conclusione, quali intuizioni politico-profetiche di Pasolini si sono effettivamente avverate nell’Italia venuta dopo di lui?
Il sentimento di Pasolini per il passato era sempre accompagnato da una coscienza critica, talvolta acuminata, come quando rinnega il passato nell’Abiura della Trilogia della vita, perché lo interpreta come correo del presente, come alveo da cui è nato il presente. Senz’altro una delle intuizioni più acute è stata quella della perdita di differenze identitarie, l’omologazione come livellamento dei caratteri specifici di un popolo, di un paese, di intere classi sociali, appiattite nella conversione a massa. È stata un’intuizione basata sull’analisi di una serie impressionante di microfenomeni, descritti con “le armi della poesia”, della poesia di un visionario che quindi, riflettendo sulle premesse di alcuni fenomeni, “vede” quale sarà la loro crescita.
Qual è stato invece, secondo lei, il più grande abbaglio di Pasolini?
Pasolini purtroppo si è sbagliato nelle sue considerazioni sul ruolo delle televisioni private nella società italiana: le sue parole sul fenomeno delle tv private e la loro dialettica con la tv di stato sono tutte sbagliate, perché pensava alle piccole tv private indipendenti e non aveva immaginato che un fenomeno aberrante e mostruoso come le tv di Berlusconi le avrebbe fatte sparire per imporsi come un unico Moloch di degrado sociale, civile e culturale.
Scopri lo speciale Pasolini 100!
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista