Son nato scemo e morirò cretino – Sessant’anni di Goffredo Fofi
Goffredo Fofi rappresenta una delle figure più complesse e affascinanti, sfaccettate e rappresentative della cultura italiana. In apparenza, è un critico cinematografico che col tempo e con una crescente decisione si è andato collocando come intellettuale tout court e a tutto tondo, come coscienza sferzante e moralista – in senso buono – del nostro Paese. In realtà, chi ne conosce la biografia sa che i suoi esordi, al fianco di Danilo Dolci, vanno collocati nel mondo dell’attivismo, del pedagogismo e del meridionalismo degli anni cinquanta; il cinema, che pure occupa una parte importante delle sue pubblicazioni con alcuni titoli come L’avventurosa storia del cinema italiano o Totò. L’uomo e la maschera che sono dei veri e propri classici della cultura italiana, sarebbe arrivato solo negli anni sessanta, allo scoppio delle Nouvelle Vagues, anche grazie a un provvidenziale soggiorno parigino e alla collaborazione con Positif, la storica rivista cinéphile se vogliamo eterna rivale dei Cahiers du Cinéma di Bazin, Truffaut, Godard & co.
Dagli anni cinquanta ad oggi, Goffredo Fofi ha sempre occupato la paradossale posizione di protagonista marginale della cultura italiana, nel complesso ruolo di chi ha scelto di essere intellettuale (per necessità) contro gli intellettuali (di professione), più attivista sul campo che uomo da redazione, instancabile talent scout che ha contribuito alla scoperta di giovani talenti inclusi nomi non da poco come Paolo Mereghetti o il premio Strega Nicola Lagioia. Benché quella di Fofi sia stata una presenza ininterrotta nelle pagine culturali, nelle recensioni cinematografiche e in generale nella coscienza civile e politica d’Italia, negli ultimi anni c’è stata una sorta di Fofi reinassance che ha portato da un lato a riedizioni di vecchi libri ormai storici (L’avventurosa storia del cinema italiano ripubblicato dalla Cineteca di Bologna in un unico volume, Vittorio De Seta. Il mondo perduto ri-edito dalla CuePress), dall’altro alla pubblicazione di raccolte di articoli che abbracciano svariati decenni della cultura italiana. Solo nell’ultimo anno ne sono uscite tre: innanzitutto, Cari agli dèi (edizioni e/o), una raccolta meditata di “necrologi” dedicata da Fofi a intellettuali e attivisti suoi coetanei o più giovani di lui, come Alessandro Leogrande, geniale reporter e animatore culturale stroncato da un infarto a quarant’anni; in seconda battuta, presentato allo scorso Salone del Libro di Torino, Son nato scemo e morirò cretino (Minimum Fax), che raccoglie scritti usciti in sette diversi decenni di storia italiana, tra il 1956 e il 2021; da pochissime settimane, anche Per Pasolini (la prima coedizione tra la Nave di Teseo e il CSC), una testimonianza del suo contraddittorio rapporto con P.P.P. che comprende storiche recensioni d’epoca ma anche un denso saggio autobiografico che più che una “resa dei conti” con il solo Pasolini sembra essere un’amara riflessione sulla storia della Sinistra italiana tutta.
Se anche Per Pasolini e Cari agli dèi si rivelano essere dei contributi importanti per saggiare la vastità e la fermezza del percorso intellettuale di Fofi, nessuna raccolta presente o futura potrà competere per completezza con Son nato scemo e morirò cretino, non per nulla ideata, curata e prefata da Emiliano Morreale, un tempo suo “allievo”, adesso un altro dei più influenti critici cinematografici italiani. Come chiarisce Morreale sia nella prefazione sia nella nota ai testi che chiude il corposo volume (quasi cinquecento pagine), Fofi è voluto intervenire pochissimo sull’antologia, se non per suggerirne il titolo, e si è volontariamente astratto dalla selezione dei circa ottanta articoli che compongono il libro.
Raccolta ambiziosa e dichiaratamente incompleta, tanto più che, come scrive Morreale in prefazione, “il centro dell’attività di Fofi sta anche fuori e a fianco alla pagina scritta, come corollario di un’attività di animatore, osservatore partecipante, militante sui generis”, Son nato scemo e morirò cretino raccoglie, in ordine cronologico, quasi solo scritti sull’attualità, politica, letteraria o cinematografica che fosse, rinunciando quindi programmaticamente tanto a interviste a registi e altri personaggi celebri, quanto ad altre riflessioni di taglio più storico-retrospettivo che pure meriterebbero una riscoperta. Tanto per fare un esempio extra-silloge, i due volumi che Fofi ha dedicato a Fellini, il libro-intervista L’arte della visione co-realizzato con Gianni Volpi, e il volume quasi pamphlettistico del Fellini anarchico, rappresentano alcune delle cose più interessanti mai prodotte sul regista riminese, ed è solo la punta dell’iceberg.
Nonostante i molti e inevitabili tagli, l’antologia curata da Morreale segna un appassionante affresco del cinema e della cultura italiana ed europea dagli anni cinquanta ad oggi, raccontando “a caldo” episodi e personaggi oggi anche dimenticati. Non mancano dei veri e propri capisaldi della critica cinematografica à la Fofi, un tempo noto per le sue stroncature: le affermazioni violentemente tranchant sul conto di Woody Allen, “insopportabile coglione”, l’analisi più ponderata, ma comunque essenzialmente critica, anche di Ultimo tango a Parigi di Bertolucci, un film-scandalo giudicato da Fofi “figlio di affrettatissime letture freudiane e batailliane”, così rappresentativo di un retorico “mid-cult internazionale” che il critico gli preferisceil parodistico Ultimo tango a Zagarol con Franco Franchi. Se più volte si ribadisce, nei vari articoli raccolti nel volume, l’ammirazione di Fofi per le opere di Elsa Morante, non mancano stroncature pesanti e a tratte inaspettate ad opere tarde di scrittori come Italo Calvino o Alberto Moravia, a film pure significativi come Allonsanfàn dei fratelli Taviani, a intellettuali e personaggi pubblici allora in ascesa, adesso più che consacrati, come un giovane Walter Veltroni. Parallelamente alle stroncature a personaggi e opere “al di sopra di ogni sospetto”, Son nato scemo e morirò cretino testimonia anche dell’accorata attenzione di Fofi per alcuni personaggi e maschere che venivano generalmente giudicati troppo “popolari” o “di serie B” dalla critica ufficiale del tempo: per Totò, per Mario Bava, per Maciste… Imprevedibile mix anzi maquillage tra popolare e politico, tra visionario e grottesco, il cinema di Ciprì & Maresco è al centro di uno degli ultimi articoli presenti nell’indice di Son nato scemo e morirò cretino, a testimoniare l’importanza che i giudizi critici di Fofi, e i giudizi critico-televisivi di enricoghezzi, ebbero nel far conoscere all’intellighenzia italiana i nomi dei due siciliani, forse tuttora la più duratura e ricordata scoperta cinematografica fofiana – accanto alla (ri)scoperta di De Seta.
“L’arte è il più svenduto, diffuso, opinabile, generico e infine equivoco degli alibi del regista. Forse il male peggiore del nostro cinema è proprio nell’inflazione di ‘artisti’”, tuonava Fofi in uno dei più importanti e lunghi articoli presenti nel volume, Il cinema italiano: servi e padroni, vero e proprio state of art dell’industria cinematografica italiana. Il testo risale al 1971, quando il cinema italiano era dominato dalla trinità Fellini-Antonioni-Visconti, ma gran parte delle considerazioni risultano tuttora fin troppo attuali, soprattutto quando attacca i mistici del cinema, i cinefili di professione e/o di troppa passione: “gente che vive davvero solo quando assiste a un film o quando filma, e che sa – quello che sa – attraverso i film: il resto, la realtà, non è silenzio ma pretesto; il mezzo si è trasformato in un fine, la cultura loro è quella del cinema, talvolta quella dei quattro autori indicati dal regista che ‘amano’”. Ecco, in questa costante esigenza di trascendere il cinema, nella perenne ricerca e attenzione da un lato per la vita reale, ben al di là della macchina da presa, dall’altro lato per le altre arti e linguaggi, dal teatro alla letteratura fino peraltro alle graphic novel in tempi recenti, si può identificare il maggiore lascito di Goffredo Fofi come critico e come intellettuale. Son nato scemo e morirò cretino diventa così non solo la testimonianza di sette decenni di storia italiana, ma anche un’inaspettata palestra di pensiero, un inno alla curiosità, il ritratto multisfaccettato di un uomo che le precedenti raccolte, più monografiche, non avevano saputo restituire altrettanto bene.
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[…] tra quelli apparsi nell’anno di questo sfortunato centenario è il Per Pasolini di Goffredo Fofi (coedizione CSC & La Nave di Teseo), anch’esso una raccolta di scritti d’epoca […]
[…] e come personalità geniale e fuori da qualsiasi schema. Poi ci fu l’intervento determinante di Goffredo Fofi, alla cui rivista Lo straniero avevo proposto un saggio su Pasolini che credo gli fosse piaciuto. […]
[…] regista e fondatore del Teatro delle Albe di Ravenna, con il critico teatrale e saggista Goffredo Fofi, con lo sceneggiatore Maurizio Braucci, ma anche con Roberto Saviano prima del successo editoriale […]