
Solo per i tuoi occhi – Ian Fleming al tavolo di gioco
Latin lover fedele solo a sua maestà, nato dalla penna di uno scrittore che aveva un autentico passato da membro dell’intelligence della Marina britannica negli anni della Seconda Guerra Mondiale, 007 è uno dei miti letterari e cinematografici più duraturi del Novecento. Se i romanzi di Ian Fleming su 007, pubblicati tra il 1953 e il 1965, abbracciano un intervallo editoriale di appena dodici anni, la saga cinematografica, iniziata con 007 – Licenza di Uccidere con Sean Connery, tuttora perdura.
Potrebbe essere illuminante tentare una lettura storiografica e sociologica di questi film, che illustri non solo come cambia la percezione dello status quo globale in un fenomeno di narrativa di massa che abbraccia gli ultimi sessant’anni, ma anche i mutamenti che ha subito la figura dell’eroe nel passaggio da XX a XXI secolo. Tuttavia, come pionieristicamente ribadito da Umberto Eco, anche la scrittura di Ian Fleming e i suoi moduli narrativi hanno non pochi motivi di interesse, soprattutto quando si smarcano dai loro cliché usuali: proprio per questo è particolarmente interessante leggere Solo per i tuoi occhi, recentemente edito in Italia dall’Adelphi.
Ian Fleming, dopo le esperienze nell’intelligence britannica e come giornalista, aveva trovato un metodo di scrittura cartesiano, che gli permetteva di scrivere, puntualmente, un romanzo all’anno, non uno di più, non uno di meno. Nei due mesi che trascorreva in Giamaica, a inizio anno, lavorava ininterrottamente quattro ore al giorno per sei settimane, senza correggersi, fino a concludere il romanzo: poi per un’ultima settimana faceva la correzione delle bozze e qualche piccola aggiunta. Se il mito di 007 come eroe letterario di massa nasce sul corpus di una dozzina di romanzi, Fleming negli anni si dilettò anche a scrivere alcuni racconti sul suo protagonista più celebre, che furono messi assieme in due raccolte: For Your Eyes Only, per l’appunto, appena ripubblicato, contenente cinque racconti, e il postumo Octopussy, più coinciso.

“Una magnifica macchina”. Con queste parole, l’agente Mathis definiva 007/James Bond già in Casino Royale, libro d’esordio della saga di Fleming. Ad un livello di simmetria raro tra le parti, la personalità di un protagonista viene pienamente riecheggiata, nei romanzi della saga di 007 di Fleming, dallo stile, dalle strutture narrative, dalla concezione stessa del racconto. I romanzi e ancor di più i film di 007 non mancano di peripezie di ogni tipo, folli inseguimenti, colpi di scena formidabili, sequenze narrative al cardiopalma, eppure lo schema di fondo – il basso continuo – è sempre lo stesso, e per quanta suspense si provi al momento del climax il lettore o lo spettatore di turno già sapeva sin dall’inizio che alla fine 007/James Bond sarebbe riuscito vittorioso.
Una simile struttura iterativa non è priva di connotati metanarrativi, e, senza andare a rinvangare le riflessioni freudiane sull’ambiguità mortifera della ripetizione, apre a implicazioni non solo strutturali o strutturaliste, ma anche, se vogliamo, sociologiche. Si tratta, a ben vedere, di uno schema fondamentale nella narrativa popolare e di genere tutta, che Ian Fleming a metà del Novecento ha saputo portare brillantemente al parossismo. Come argomentava Umberto Eco ne Le strutture narrative in Fleming, il saggio che non per nulla concludeva il magistrale Il superuomo di massa, il giallo è una “macchina narrativa” il cui tratto caratterizzante “non è la variazione dei fatti, quanto piuttosto il ritorno di uno schema abituale nel quale il lettore possa riconoscere qualcosa di già visto cui si era affezionato. Sotto l’apparenza di una macchina che produce informazione”, suspence, colpi di scena, “il romanzo giallo è invece una macchina che produce ridondanza; fingendo di scuotere il lettore, in realtà lo riconferma in una sorta di pigrizia immaginativa, e produce evasione non raccontando l’ignoto ma il già-noto”. Questo è vero, argomentava Eco, in modo particolare per i romanzi di Fleming, che lui paragona a una partita di calcio di cui si sa già con assoluta sicurezza il vincitore: il “piacere del lettore” di Fleming consiste nel “trovarsi immesso in un gioco di cui conosce i pezzi e le regole, e persino l’esito, traendo piacere semplicemente dal seguire le variazioni minime attraverso le quali il vincitore realizzerà il suo scopo”.

Ecco, se i romanzi di 007 di Ian Fleming tendono a seguire questi binari già in partenza calibrati, i racconti dello scrittore inglese sulla sua spia più celebre, o almeno quelli contenuti in Solo per i tuoi occhi, continuamente violano alcuni dei canoni fondativi di questa saga letteraria. In un caso, nel racconto La rarità Hildebrand, vediamo addirittura Bond in una mezza specie di vacanza, a bordo di uno yacht, anche se ovviamente non può mancare il nemico da sconfiggere, un miliardario sadico e brutale; e lo stesso racconto La rarità Hildebrand sorprende anche per il finale semi-aperto, che vede Bond non riuscire a scoprire con certezza assoluta chi materialmente ha ucciso il suo para-antagonista. “Se Bond è l’eroe, e quindi possiede qualità eccezionali, M rappresenta la Misura, intesa come valore nazionale”, era, a detta di Eco, un’altra delle regole canoniche dei romanzi di Fleming: e infatti, non per nulla, nel racconto che dà il titolo alla raccolta Solo per i tuoi occhi si trova per la prima volta in un momento di parziale debolezza o scavalcamento del carattere istituzionale del suo ruolo. Un suo vecchio amico è stato ucciso, chiede a James Bond quale sarebbe secondo lui la cosa giusta da fare in condizioni oggettive, in realtà gli sta assegnando una missione in cui, senza neanche il placeat di Sua Maestà, 007 deve concretamente fare da Angelo Vendicatore.
Un fattore da non sottovalutare, nel successo che ha riscosso la saga di 007 anche su un pubblico adulto, sta nel fatto che James Bond è l’eroe pragmatico per eccellenza: e non solo perché fa sempre, grazie a un istinto analitico, la scelta giusta al momento giusto sia che si tratti di sparare alla cieca sia che si tratti di scegliere in un batter di ciglia da che parte stare. James Bond è un eroe pragmatico anche perché tutto ciò che fa in termini di acrobazie, corpo a corpo e scontri a fuoco richiede ovviamente una bella dose di sospensione dell’incredulità, ma non viola mai le leggi della fisica. “In realtà Bond non è così eccezionale come una lettura affrettata dei libri può far pensare”, rimarcava Umberto Eco nel già citato saggio al termine de Il superuomo di massa. “Fleming stesso afferma di averlo pensato come personaggio assolutamente comune ed è dal contrasto con M che emerge la reale statura di 007, dotato di prestanza fisica, coraggio e prontezza di spirito. È piuttosto una certa forza morale, una ostinata fedeltà al compito che gli consentono di superare prove inumane senza esercitare facoltà sovrumane”. Al termine del racconto Bersaglio mobile, che apre la raccolta,assistiamo Bond in un interessante rovesciamento dei suoi abituali rapporti con il gentil sesso: ovviamente la spia inglese flirta e rimorchia tutto il tempo, ma, nel finale, viene salvato da morte certa proprio da una collega donna dell’intelligence, da lui poi immancabilmente portata a cena e anzi a vedere “un bel nido”. In un periodo in cui da più parti e forse pretestuosamente si è arrivati a chiedere che col passaggio di consegne da Daniel Craig a un nuovo interprete 007 sia interpretato da una donna, è curioso scoprire che Fleming già nel 1960 aveva consegnato alle stampe un racconto che si concludeva in un inatteso chiasmo tra tradizione e futurismo, in termini di ribaltamento dei rapporti di genere.

Il vero gioiello di Solo per i tuoi occhi è tuttavia il racconto al centro della raccolta, Quantum of Solace. Non c’entra nulla con il film di una quindicina di anni fa, che si limitava ad omaggiarne il titolo con una trama completamente diversa. Il racconto Quantum of Solace è sicuramente il più “eversivo” di tutta la raccolta, tanto in termini di struttura narrativa quanto in termini di contenuto e tematiche. È il dialogo, o quasi più il monologo, che si svolge una sera a Nassau, dove Bond, già impegnato in una soporifera missione, viene invitato a cena dal governatore locale. Accorgendosi che Bond si sta annoiando, il governatore gli inizia a raccontare una lunga e apparentemente inconcludente storia dei tempi della sua giovinezza: lo sfortunato matrimonio di un suo collega di accademia, che in preda a un colpo di fulmine aveva sposato una hostess destinata presto a deluderlo.
Se il governatore esordisce il suo racconto dicendo a Bond che “per un uomo che ha spesso a che fare con il lato oscuro della vita forse questa storia le sembrerà più noiosa che oscura”, il colpo di scena del finale, plot twist che forse in un caso unico in tutto l’immaginario bondiano è un colpo di scena esplicitato solo a livello di dialoghi senza nemmeno un grammo di azione, dà al lettore un brivido degno di Joseph Conrad. Fleming stesso si sente in dovere di citare l’alta letteratura nel paragrafo che segue alla sprezzante chiusa del racconto del governatore: “Bond rise. Di colpo, tutta la violenza teatrale della sua vita gli sembrò vuota e vana. Ribelli castristi e yacht in fiamme erano roba per fumetti d’avventura in fondo a qualche giornalaccio”, auto-ironizza Fleming. “Durante una cena scialba, una frase buttata lì gli aveva aperto il libro della vera violenza: della comédie humaine dove le passioni umane sono crudeli e reali, dove il destino gioca una partita più autentica di qualunque complotto ordito da servizi segreti e governi”. Quasi una palinodia del genere da parte di Fleming stesso, o piuttosto un asintotico movimento verso i grandi maestri della prosa europea, verso Conrad o Balzac per l’appunto? Proprio la lezione di Eco da un lato, e la pubblicazione delle storie di 007 da parte di un editore come l’Adelphi dall’altro, lasciano intendere che Fleming stesso non è affatto distante dall’alta letteratura in certi suoi frangenti, ammesso abbiano ancora senso i discorsi sulla haute culture.

Il racconto poliziesco, nei suoi primordi, era sintomatico di un determinato stato di cose, nella cultura europea dell’Ottocento: “la nascita di nuove discipline applicate alla società e all’uomo può spiegare l’emergere del racconto poliziesco”, si leggeva nell’Universo letterario del probabile, un’altra interessante novità editoriale degli ultimi mesi targata Bollati & Boringhieri e scritta da Francesca Romana Capone con una prefazione di Lucio Russo. L’investigatore, argomenta la Capone nel saggio, nei racconti e nei romanzi di Arthur Conan Doyle era il contrario di un teologo: è lui “il soggetto capace di far emergere una logica dietro al mistero”, e il suo eroe Sherlock Holmes non si stanca mai positivisticamente di ripetere che “una volta eliminato l’impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev’essere la verità”. Sarebbe interessante vedere come evolve la figura del detective attraverso i personaggi più popolari di ogni generazione, da Arthur Conan Doyle ad Edgar Allan Poe, passando per il Poirot di Agatha Christie non meno che per gli incauti protagonisti dei racconti di Lovecraft, il più esplicito nel muovere una polemica nel suo caso anti-positivistica. Non sarebbe una forzatura riconoscere in questi mutamenti letterari un interessante barometro delle variazioni nella concezione del mondo e nella percezione dello status quo anche geopolitico, di decennio in decennio dall’Occidente fino ad arrivare a noi.
Il mondo in cui lo 007 di Fleming mosse i suoi passi è ancora molto simile al nostro. Indirizzato da M, James Bond si limita giorno dopo giorno ad affrontare una nuova missione, all’interno di equilibri geopolitici sempre più fumosi e sfuggenti, di cui non gli importa molto, se non le informazioni necessarie per portare al termine il suo obiettivo e, possibilmente ma non necessariamente, sopravvivere. Per quanto astuto, energico e istintivo, Bond non è che una pedina atomizzata, e anche quando di fatto salva il mondo – una situazione più presente nei film che nei romanzi, a dire il vero – ne è quasi inconsapevole. Forse è questo il motivo per cui, contrariamente ad altri personaggi delle spy stories di quegli anni, James Bond è tuttora molto popolare, come dimostra il successo del recente No Time To Die, arrivato al cinema da poco più di un anno – e a maggior ragione leggendo Solo per i tuoi occhi si coglie la grandezza nascosta di Fleming, che in questi racconti arriva a sfiorare un gesto che pochissimi scrittori hanno saputo cogliere: sfiorare l’abiura, per ridestare il mito.
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