
Si può solo dire nulla – Intervista ai curatori Luca Buoncristiano e Federico Primosig
Si può dire solo nulla è il titolo della monumentale raccolta di interviste a Carmelo Bene – artista teatrale e artista tout court tra i protagonisti della cultura italiana del secondo Novecento – recentemente pubblicata da Il Saggiatore per la curatela di Luca Buoncristiano e Federico Primosig, tra i maggiori studiosi beniani del nostro paese. Da un’intervista per Il Messaggero di gennaio 1963, arrivata dopo lo scandalo di Cristo ’63 ai tempi delle cosiddette cantine romane, fino ad ultime testimonianze apparse anche postume come la Conversazione su Dio rilasciata a Goffredo Fofi, Si può dire solo nulla offre uno spaccato omnicomprensivo della proteiforme attività scenica ed extrascenica di Carmelo Bene, costantemente tentato a cimentarsi anche sul campo del cinema, del romanzo, dell’opera, della radiofonia. Abbiamo intervistato i due curatori Luca Buoncristiano e Federico Primosig sulla realizzazione del volume, e, in generale, sull’eredità di Carmelo Bene a vent’anni dallla morte.

Nella sua prefazione Luca racconta di aver conosciuto Carmelo Bene a 17 anni, grazie alle sue apparizioni televisive di metà anni novanta, e di averlo amato “subito, d’istinto, di pancia, e mi feci carmelitano”. Federico, tu come sei venuto in contatto la prima volta con l’opera di Carmelo Bene? E quali altri autori nutrono i vostri interessi di studiosi?
L.B.: Non ho una formazione da studioso e nella lettura sono piuttosto disordinato. Posso dire che la frequentazione della casa di Bene è stata una grande palestra formativa. Ho affinato la conoscenza con certa letteratura romantica o tardo romantica, quella gotica in particolare. Tra i tanti letti o riletti in quelle stanze posso citare Hoffmann, Walpole del Castello di Otranto, l’Henry James de L’altare dei morti, Villiers De L’Isle-Adam, Bataille, Masoch, e via dicendo. Ho scoperto lo splendido La Gana di Jean Douassot che ho fatto ripubblicare quest’anno. Tra gli italiani invece, Tarchetti, Landolfi, Manganelli, Savinio.
F.P.: A gennaio del 1994 il Teatro Vascello organizzò una rassegna di cinema italiano. Io avevo 15 anni e attraversavo Roma in autobus per andare a vedere questi film. Durante la giornata dedicata al cinema “sperimentale” proiettarono Nostra Signora Dei Turchi. Io rimasi sbalordito, avevo la sensazione di essere atterrato su un altro pianeta. Poi quell’estate ci fu il Costanzo Show. Già dal liceo in poi ho studiato moltissima filosofia, soprattutto francese, a partire da Foucault e Deleuze, ma solo rivedendo il Costanzo Show molti anni dopo mi resi conto che stavo inconsapevolmente approfondendo molti dei riferimenti di C.B. già allora. Oggi i dibattiti più rilevanti mi sembrano legati alla questione dell’antropocene e alla fisica.
A Carmelo Bene sono state dedicate numerose monografie e saggi critici, soprattutto quest’anno che ha segnato il ventennale dalla morte, ma il vostro Si può solo dire nulla spicca per l’ampiezza del periodo trattato e per l’attenzione filologica a restituire ai lettori quante più interviste possibili rilasciate da C.B. nell’arco di quarant’anni. Quando è nata l’idea di raccogliere la maggior parte delle interviste a Carmelo Bene in un unico volume?
L.B.: Nel 2012 ho curato la pubblicazione di un numero monografico della rivista PANTA edita da Bompiani su Carmelo Bene. Il volume raccoglieva le migliori interviste rilasciate da Bene ed era frutto del lavoro di catalogazione del lascito artistico dell’attore che avevo effettuato allora per conto della Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene, insieme a Luisa Viglietti e Francesca Rachele Oppedisano. In particolare, per la curatela del libro mi ero dedicato alla schedatura della rassegna stampa. Chiaramente PANTA rappresentò un “best of” delle interviste, mentre la schedatura ne riportava molte ma molte di più. Negli anni poi, attraverso un ulteriore lavoro di ricerca, il numero è aumentato ancora più vertiginosamente fino a essere completato insieme a Federico per questo nuovo progetto.
F.P.: Nella mia mente questo è stato per molti anni il libro che avrei voluto possedere ma che nessuno aveva fatto. Poi le interlocuzioni tra l’associazione L’orecchio mancante, dicui sia Luca che io facciamo parte assieme a molti studiosi e collaboratori di Bene, e l’editore Il Saggiatore hanno portato ad un punto di svolta che ha messo in moto l’operazione. La catalogazione di Luca è stata imprescindibile, integrata da elementi che avevo raccolto io in maniera più casuale nel tempo e soprattutto il lavoro di scavo di questo ultimo anno che ha fatto emergere altre perle.

Quanto tempo ha impiegato il processo di recupero delle interviste e di dialogo con gli aventi diritto?
L.B.: Gran parte delle interviste erano già in mio possesso ma c’era una fetta comunque consistente che invece era solo schedata cui va aggiunta un’ulteriore parte di materiali “sommersi”. Per cui da quando il progetto è stato accolto, un anno fa, a oggi abbiamo smesso di cercare praticamente un mese prima dell’andata in stampa. Per le liberatorie, invece, molti giornalisti li conoscevo e con altri autori si è dovuto superare alcune reticenze. C’è anche chi non ha autorizzato la pubblicazione.
F.P.: Per me sarebbe corretto contare i venti anni di ricerca di Luca e i dieci in cui anche io ho accumulato materiali. È una benedizione che questo libro abbia dato una forma ad una mania.
All’interno del volume da voi curato c’è qualche intervista poco nota che vi sembra importante per comprendere l’immaginario beniano?
L.B.: Le prime sicuramente, dove si può constatare che il discorso di Carmelo Bene è già ben definito, chiuso ma nel senso circolare. Non ci sarà una progressione lineare nella poetica e l’arte di Bene. Essa è già contenuta e conclusa negli esordi. Quello cui si assisterà per 40 anni sarà un processo di affinamento e di sintesi estrema e rigorosa.
F.P.: L’intervista di Gigi Livio e Ruggero Bianchi, la più lunga intervista a Bene mai realizzata. La qualità degli interlocutori unita a questa volontà di approfondimento la rende unica. Non era mai stata ristampata dalla prima pubblicazione del 1976.
Nelle due introduzioni che precedono l’ampio corpus di interviste, da un lato ponete l’attenzione a un’affermazione di C.B. contenuta in un’intervista di metà anni ottanta – “oggi il testo è morto, io lo dico come Nietzsche diceva ‘Dio è morto’” – dall’alto lato deplorate anche come dalle interviste emerga poco l’aspetto letterario, a volte tout court romanzesco, sia pure sperimentale, della produzione di C.B. Testualità e oralità, logos e phoné in che modo si sono articolate, secondo voi, nella figura di Carmelo Bene come personaggio pubblico?
L.B.: È stata la stessa esistenza di Carmelo Bene ad azzerare la separazione tra scritto e orale, tra il detto e il dire. Il corpus della sua produzione è sempre parlante in quanto egli si è assunto il compito di farsi voce in un continuum spazio-temporale. Si tratta di diversi modi dire e farsi dire. Prendiamo Nostra Signora dei Turchi, vi è un romanzo, uno spettacolo teatrale, un film, una versione radiofonica e uno spettacolo teatrale ancora. Pinocchio, Amleto, la stessa cosa e fuori Pinocchio e Amleto c’è ancora Carmelo Bene che è tutte queste cose perché tutte queste cose sono Carmelo Bene. Carmelo Bene è l’opera. Così come non trovo che Bene sia un personaggio pubblico perché questo significherebbe riconoscergli un lato privato che effettivamente non esiste. Lo scritto è il residuo dell’Opera Bene, è quanto l’ha attraversato ed è rimasto in forma documentaria.
F.P.: Gli scritti di C.B. spesso riportano la dimensione orale e musicale nello scritto attraverso varie tecniche, dalla metrica del romanzo Nostra Signora dei Turchi al lavoro estremo – sia per il contenuto che per la posizione cronologica di ultimo atto nella parabola beniana – de ‘l mal de’ fiori. I suoi interventi nei media sono le sue glosse a margine alla sua opera.

Nell’introduzione di Primosig si rileva come “Carmelo Bene giunge al cospetto del grande pubblico proprio nello snodo tra un mondo oscuro, silenzioso e poco documentabile e lo sviluppo della società dello spettacolo, dove tutto è instancabilmente documentato”. Quale pensate sia stata la cifra del rapporto di Carmelo Bene con i mass media e, nello specifico, la televisione? Per questo specifico aspetto in cosa era vicino e in cosa era distante da una figura come quella di Pasolini?
L.B.: Bene e Pasolini sono gli unici eretici della cultura e società italiana del Novecento. Entrambi contestano e rifiutano la società in cui vivono, ma mentre Pasolini, pur non essendo un moralista, svolge un ruolo da moralizzatore, Bene si scaglia contro l’ipocrisia del mondo esclusivamente attraverso la propria arte. In questo percorso, Pasolini finisce crocifisso, Bene si autocrocifigge. Entrambi utilizzano i media ma in modo diverso. Pasolini con i media esprime la sua critica, Bene invece utilizza il media per fare proprio una critica del mezzo e della sua funzione comunicativa. Ne fa saltare il meccanismo e in questo senso con la televisione il risultato è più efficace perché non c’è la mediazione del giornalista.
F.P.: L’incontro tra C.B. e i media del ventesimo secolo è una specie di intervista impossibile diventata realtà. Noi non sappiamo come fossero fatti, come parlassero e si muovessero i grandi geni del passato, ma ad uno fatto della loro stessa pasta è toccato in sorte di esistere nell’era dei media di massa e di esporsi al pubblico anche attraverso essi. L’esperienza di Pasolini è paragonabile, con la differenza che Pasolini ha un approccio didattico seppure utilizzato per veicolare delle posizioni ardite. C.B. lascia agli interlocutori il compito di fare i conti con il proprio linguaggio spericolato.
Negli anni settanta Carmelo Bene aveva partecipato al ciclo radiofonico delle celebri Interviste Impossibili di Arbasino, Manganelli & co., impersonando di volta in volta diversi personaggi storici, da Oscar Wilde a Montezuma. Quanto pensare che questa esperienza abbia da un lato inciso sul rapporto tra C.B. e i mass media, dall’altro enfatizzato quel fare sprezzante e quasi parodistico che C.B. ha sempre rivendicato nelle sue interviste, e che poi è stato coronato nelle due apparizioni da Costanzo.
L.B.: Il rapporto di Bene con la radio, così come quello con il cinema, è esclusivamente strumentale al proprio lavoro. Attraverso queste esperienze egli fa propri dei mezzi tecnici che introdurrà nel linguaggio teatrale. Altra cosa è l’esperienza con i media che invece vengono utilizzati con finalità promozionali e di amplificazione del proprio impianto teorico. Bene era ben consapevole del fatto che soprattutto la televisione arrivava a tutti, dal contadino all’artistocratico.
F.P.: Le Interviste Impossibili sono il primo approccio di Bene alla radio, che continuerà con alcune sue meravigliose regie radiofoniche come quella di Romeo e Giulietta per esempio. Nelle sue regie radiofoniche e televisive colpisce come nel piegare i mezzi alla sua poetica li utilizzi facendo emergere il massimo della loro forza, lasciando la sensazione che gli altri usi, quelli comuni, siano quelli che tradiscono il mezzo. Non so però se le interviste impossibili possano essere considerate un modello per le altre interviste a C.B., se non per l’aspetto “evocativo” che notavo nella precedente risposta.

Luca, tu sei stato tra i principali collaboratori della Fondazione L’Immemoriale, voluta da Carmelo Bene stesso per preservare la sua eredità artistica, che ebbe breve durata. Recentemente Federico ha co-fondato una nuova associazione atta a preservare la memoria di Bene, L’orecchio mancante, così chiamata dal titolo di un suo celebre libro “contro il cinema”, di cui anche Luca è membro. In che momento e per quali motivi avete iniziato a pensare a una “rifondazione” dedicata a C.B.? Quali sono le attività che L’orecchio mancante sta adesso portando avanti per preservare la memoria di Bene?
L.B.: Il rapporto con la Fondazione è un rapporto nato dalla fiducia concessami in primo luogo da Luisa Viglietti e poi dagli altri membri della Fondazione con cui ho avuto il piacere di confrontarmi e condividere alcune importanti esperienze. Si è trattato di una felice casualità del destino. Dell’associazione invece non sono fondatore, anche qui svolgo il ruolo di collaboratore. Negli anni ho accumulato materiale e conoscenza e sono stato riferimento per molte persone che si sono avvicinate a Bene, Quindi la mia intenzione è quella di continuare a promuovere il lavoro di un artista straordinario.
F.P.: L’associazione è frutto di una lunga serie di interlocuzioni partita già nella primavera del 2019 tra studiosi e collaboratori di Carmelo Bene, quelli che sono poi diventati i soci. Era evidente che dalla morte dell’artista a quel momento, se si escludono i primissimi due anni circa legati all’esperienza a cui ha appena fatto riferimento Luca, non c’era stato un impegno adeguato a promuovere e diffondere l’eredità culturale di C.B. Tutto questo ci preoccupava molto e si rendeva doveroso intervenire. Oltre le iniziative svolte come quella al teatro Argentina per il ventennale della morte e l’incontro con Jean-Paul Manganaro ne abbiamo in cantiere altre sul lungo periodo.
Oltre a Si può dire solo nulla quali altri titoli sono usciti o usciranno, dalla collaborazione tra L’orecchio mancante e il Saggiatore?
L.B.: Abbiamo aiutato Jean-Paul Manganaro per il suo Oratorio Carmelo Bene uscito per Il Saggiatore.
F.P.: La collaborazione con il Saggiatore andrà avanti ma ora è il momento di lasciare “decantare” quest’ultima impresa. Ci sono però almeno altri due volumi di membri dell’associazione L’orecchio mancante che stanno venendo alla luce con altre case editrici. A gennaio uscirà per Presses Universitaires de Louvain uno studio di Beatrice Barbalato sui testi su cui si basano le opere di C.B., il titolo è Carmelo Bene, l’originale è infedele alla copia. Piersandra Di Matteo è invece al lavoro, nel quadro di ricerca Incommon dello IUAV di Venezia, su uno studio dell’incontro tra Carmelo Bene e Leo De Berardinis e il loro Don Chisciotte a cui parteciparono anche Lydia Mancinelli e Perla Peragallo. Il libro prenderà in analisi il copione creduto perso, note dattiloscritte di C,B. finora sconosciute e foto inedite dell’opera.
Nella sua prefazione Luca fa riferimento a notevoli documenti un tempo presenti nella casa romana di Carmelo Bene, incluso un epistolario con il filosofo Gilles Deleuze e disegni autografi di Pierre Klossowski. Attualmente dove sono custoditi questi documenti d’archivio? Si potrà in futuro immaginare la pubblicazione di un epistolario beniano?
L.B.: L’archivio è depositato presso il Polo Biblio-museale di Lecce dalla fine del 2019 ed è ancora in fase di realizzazione. A memoria, direi che una pubblicazione dei carteggi di Bene sia abbastanza inutile in quanto non si tratta di una produzione copiosa, Altro discorso è invece un suo possibile utilizzo a fini di studio. Non è comunque quello il cuore dell’archivio che andrebbe recuperato con priorità, bensì la voce incisa.
F.P.: Sarebbe interessante se L’orecchio mancante potesse mettere a disposizione le comprovate competenze specifiche dei propri soci per dare un contributo alla realizzazione dell’archivio.

Della lezione di Carmelo Bene, sempre che di lezione si possa parlare, quali insegnamenti sono in qualche modo attecchiti nel teatro e nella cultura italiana contemporanea in generale? Quali intuizioni sono rimaste invece, a vostro avviso, del tutto inevase?
L.B.: Direi nessuna ed è un bene forse. Carmelo Bene non lascia eredi né eredità. Il suo è un percorso solitario che esclude tutti gli altri e si conclude con la sua scomparsa. Non ci si può rifare a Carmelo quando appunto c’è Carmelo, non avrebbe senso. Al tempo stesso, egli ha lasciato un’impronta indelebile nell’intimo di molti intellettuali, operatori culturali e del pubblico. Si tratta di un discorso molto privato che sicuramente ti modifica la percezione delle cose.
F.P.: Secondo me a livello mondiale sono moltissimi gli artisti teatrali che tengono conto della ricerca di CB sulla scrittura di scena e il linguaggio, e alcuni di questi cercano con i mezzi a loro disposizione di portarla avanti con rigore. Ma è proprio la questione dei “mezzi” che si fa dirimente, nel senso che il grande attore, nell’accezione antica che C.B. incarnava, è invece completamente perso. C’è stata una rapida eclisse dei “mostri” performativi, delle bravure eccezionali, e questo avviene un po in tutti i campi, dal canto allo sport. Siamo in una fase di livellamento antropologico che è probabilmente legato proprio alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e al consumismo, cosa che già constatavano Pasolini e Bene.
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