
Vera sogna il mare – Che l’acqua ti sia lieve | BFF5
Per una giovane regista che ha dedicato i suoi primi sforzi filmici a un cinema ibrido, a metà fra il documentarismo e la fiction, affrontare il proprio esordio nel territorio della narrazione pura costituisce un notevole scarto d’intenti. Eppure per Kaltrina Krasniqi, regista di quel Vera sogna il mare presentato lo scorso anno al Festival di Venezia – e riproposto nella vetrina del quinto Balkan Film Festival di Roma, organizzato dalla Casa del Cinema – la traslazione da una forma mediale a un’altra non sembra aver costituito un problema inaccessibile: quel che risulta chiaro, perlomeno in seguito al suo intervento nella cornice festivaliera romana, è che il sostrato concettuale e ideologico che ha permeato la modellazione del film in concorso sia lo stesso che aveva accompagnato i suoi lavori precedenti (si veda in particolare Sarabande, del 2018, disponibile fino a qualche tempo fa su MUBI). Una voce tranchant, diretta: un giovane volto del nuovo cinema femminile-femminista dei Balcani.

Vera sogna il mare raccoglie delle istanze rappresentative fuori dal comune sin dai presupposti narrativi che ne orientano lo svolgimento. La vicenda inizialmente ruota intorno alle difficoltà incontrate da Vera, una donna di circa sessant’anni, nel gestire il contraccolpo emotivo, economico e relazionale della morte del marito, uno stimato giudice della città di Pristina, in Kosovo; in seguito, un intreccio di combinazioni, di segreti e di non-detti influiranno in maniera sostanziale sulla trama, arricchendo la narrazione di sfumature fra il thriller e il dramma, muovendo fra questioni di genere e tradizioni storico-ereditarie. Vera è il simbolo che Kransiqi utilizza per riassumere una generazione di donne che solo in questo periodo storico hanno avuto la possibilità di mostrarsi resistenti all’impatto traumatico della vita, e a dare voce a chi, come loro, ne è stato privato; non è quindi un caso che la sua professione consista nel fare da interprete (da medium) per la comunità dei sordi, servendosi del linguaggio dei gesti per veicolare i contenuti dei telegiornali.

C’è Vera ma c’è sua figlia, e sua nipote; tutte abbracciate in un solo letto. Tre generazioni a confronto; tre donne. È nell’elevazione dal particolare al generale (dal vissuto del singolo alla sua proliferazione incontrollata nella contemporaneità globale) che assume profonde tinte di senso il film di Krasniqi. Vera sogna il mare non è il resoconto buonista e prevedibile della torbidità di un Kosovo post-bellico squarciato dai cantieri; non intende raccontare solamente il processo materiale di ricostruzione di un’identità socio-culturale violentata dalla guerra – quella guerra che i bambini, armati di piccoli petardi rossi, imitano ancora fra le piazze della città, come fosse l’unica cosa che resta. Il microcosmo familiare di Vera e le dinamiche interrelazionali che sottende sono invece il volto scarnificato di un’Europa in cui patriarcalismo, vizio e violenza hanno dettato i tempi di una lenta disfatta – ma è anche l’evidente conferma che dalle macerie epistemologiche delle generazioni passate possano emergere, per quanto screziate da gesso e calcinacci, dei gesti di solidarietà e di resistenza contro l’ordine (pre)costituito delle cose.

In questo contesto tematico, lo spettacolo teatrale al quale lavora la figlia di Vera è la summa tematica del film, una mise en abyme palesata come bandiera di protesta. Dicono che vi fosse una leggenda – sempre la stessa, ma dotata di volti infiniti in base alla sua collocazione geografica – che raccontava che affinché la costruzione di un ponte, di un castello, o talvolta di una casa potesse andare a buon fine, fosse necessario il sacrificio di una donna che venisse interrata e sigillata nelle fondamenta della costruzione. Il Kosovo, oggi, è ancora un cantiere – ma nessuna donna è più disposta a impersonare il ruolo dell’agnello; la costruzione ritmata dell’autostrada che dovrebbe portare la modernità, ma che invece diventa il pretesto del cinismo criminale, non potrà rinchiudere le donne di Pristina fra i suoi pilastri di cemento. Così, mentre viene minacciata, umiliata e pregata, Vera resiste, si ribella e sogna un mare che è burrasca e bonaccia – che non può che cercare in tutti i modi di raggiungere: sperando che l’acqua le sia lieve.
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