
Derry Girls – Confortevole familiarità dei conflitti adolescenziali
«Oh, my life is changing everyday in every possible way and oh, my dreams it’s never quite as it seems»: sono queste le significative parole cantate dai Cranberries nella loro Dreams (1992), anthem sonoro onnipresente sin dalla sua primissima scena di Derry Girls – serie creata e scritta da Lisa McGee – che, negli episodi della sua terza e conclusiva stagione, sembrano risuonare quasi profetiche. Dopo essere state trasmessi su Channel 4 la scorsa primavera, i sette episodi (i sei tradizionali più uno speciale conclusivo di un’ora) della sitcom sono infatti approdate su Netflix lo scorso ottobre dando un caloroso finale alle storie delle protagoniste e confermando Derry Girls come un prezioso prodotto della serialità contemporanea.
Sono gli anni ’90 in Irlanda del Nord e a Derry – o «Londonderry, depending on your persuasions» come sostiene Erin (Saoirse-Monica Jackson) nell’incipit della serie – sono gli anni dei Troubles, il conflitto consumatesi a partire dalla fine degli anni ’60 tra gli Unionisti protestanti e i Nazionalisti cattolici. È proprio in questo contesto a dir poco complicato in cui Erin, sua cugina Orla (Louisa Harland), Clare (Nicola Coughlan), Michelle (Jamie-Lee O’Donnell) e suo cugino inglese James (Dylan Llewellyn) – ormai ufficialmente proclamato una Derry Girl nel finale della seconda stagione – si ritrovano a navigare attraverso uno dei periodi più turbolenti della vita: l’adolescenza, con le ribellioni, i sogni, i desideri e le problematiche che questa si porta irrimediabilmente dietro.

In linea con le due precedenti, anche in questa stagione le ragazze continuano a cacciarsi nei soliti guai giovanili tentando di non farsi scoprire dai loro genitori o da Sister George Michael (la straordinaria Siobhán McSweeney) madre superiore e loro direttrice alla Our Lady Immaculate College, ma finendo sempre per essere scovate. Nei nuovi episodi le vediamo ad esempio interrogate da un detective d’eccezione interpretato da Liam Neeson, dopo essere state inavvertitamente complici di un furto; oppure avventurarsi in una vecchia casa spaventosa nel Donegal dopo aver accettato di aiutare Sister Michael per la veglia funebre di sua zia da poco scomparsa. In questi episodi conclusivi, inoltre, lo spazio riservato alle disavventure degli adulti, fin dall’inizio parallele e interconnesse a quelle delle protagoniste, va ad occupare un posto ancora più preponderante nell’economia della serie, specialmente grazie ad un flashback ambientato nel 1977 dedicato a tutte le mammies, dopo il quale è doveroso osservare che, proverbialmente, buon sangue non mente…

Ambientata prevalentemente a ridosso della conclusione del decennio, la terza stagione contiene però importanti segnali di cambiamento riguardo il futuro dei personaggi dello show così come quello del Paese in cui vivono: la pace sembra essere finalmente qualcosa di possibile all’orizzonte e ad aspettare le ragazze alla soglia della vita adulta sembra esserci un futuro tanto spaventoso quanto elettrizzante. L’intersezione tra il panorama storico-culturale e la vita delle giovani protagoniste, dunque, già elemento fondamentale nel corso delle stagioni precedenti, appare ora ancora più evidente perché alle ansie sul proprio destino personale si uniscono quelle sul destino della propria nazione.
D’altronde, uno dei punti forti di Derry Girls è sempre stata la sua intelligente capacità di contrapporre, in maniera tanto semplice quanto originale, la Storia con la S maiuscola alle storie personali delle cinque teenagers di origine cattolica e delle loro famiglie appartenenti alla working class. McGee è in tal modo riuscita a dimostrare quanto essere circondate da complicati scontri non impedisce alle protagoniste di vivere la loro adolescenza in maniera più o meno “normale”, portando avanti i loro piccoli grandi conflitti con genitori o coetanei (prima fra tutti con Jenny, interpretata da Leah O’Rourke, la ricca viziata prima della classe con cui spesso le ragazze finisco per essere in competizione).

Se il particolare momento storico, dunque, non può che non influire su molti aspetti della vite delle protagoniste, entrando quotidianamente nelle loro case – in particolare in casa di Erin e Orla dove sono ambientate molte delle avventure della serie e dove il piccolo schermo televisivo è quasi sempre sintonizzato sulle news – ciò avviene tramite situazioni o battute surreali ed esilaranti. Tra i momenti più memorabili dell’intero show è doveroso menzionare ad esempio una gita fuoriporta della famiglia di Erin e Orla per evitare i cortei dell’Ordine di Orange (un’organizzazione protestante e unionista ostile ai cattolici) che diventa l’occasione per un terrorista dell’IRA di nascondersi nel bagaglio della loro auto e tentare in tal modo di passare il confine, finendo poi per scappare in altro modo mentre i personaggi discutono se aiutarlo o meno; oppure, è una valigia piena di alcol portata di nascosto da Michelle su un autobus per Belfast a causare l’intervento di una bomb squad perché non reclamata da nessuno. I commenti migliori sono invece regalati dagli scambi tra i genitori di Erin – Gerry (Tommy Tiernan) e Mary (Tara Lynne O’Neill) – Aunt Sarah (Kathy Kiera Clarke), mamma di Orla e sorella di Mary, e il nonno Joe (Ian McElhinney), padre di entrambe. «If you vote “yes” you can be Irish, you can be British or you can be bi» è ad esempio la stravagante spiegazione fornita da Aunt Sarah ai tre quando apprendono la notizia del referendum sull’Accordo del Venerdì Santo per cui dovranno votare nell’ultimo episodio.
Nel corso delle sue tre stagioni, Derry Girls è riuscita a costruire in maniera straordinaria personaggi unici, sfaccettati e tridimensionali, che ci hanno divertito, episodio dopo episodio, con le loro ridicole e spassose interazioni. Innanzitutto il gruppo delle ragazze, composto da Erin con i suoi strampalati sogni e progetti, da Orla con le sue straordinarie stranezze, dal bistrattato ma sempre dolce James, dalla sempre pronta ad andare in panico Clare e dall’audace e scurrile Michelle; fra gli adulti invece ritroviamo Sister Michael con la sua sarcastica indifferenza, il nonno Joe in perenne contrapposizione al sempre paziente Gerry, la materna ma ferma Mary, Sarah con la sua dolce sciocchezza e il prozio Colm (Kevin McAleer) con le sue noiosissime storie.

Sfruttando a pieno una nostalgia – soprattutto a livello musicale – sempre pregnante e mai sterile, McGee ha conferito ad un racconto così tanto particolare e personale un’universalità che solo le piccole (o forse è proprio il caso di scrivere wee?) grandi storie possiedono. Il risultato è un testamento alla sorellanza, all’amicizia fraterna e alla ribelle gioia giovanile: uno show familiare e accogliente che ha l’abilità di conquistare il pubblico fin dai primissimi minuti grazie ad un commento socio-culturale potente e irriverente, ad una scrittura solida e ad un cast eccezionale.
«Being a Derry Girl is a fucking state of mind» aveva detto Michelle a James nel finale della seconda stagione, conferendo ufficialmente questo prestigioso titolo non solo a suo cugino ma anche un po’ a spettatori e spettatrici. Ora che la serie si è conclusa la sensazione infatti sembra la stessa di quando si perde di vista un amico d’infanzia o un parente a cui ci si è affezionati: come un’improvvisa mancanza di una confortevole familiarità, la stessa che lo show non hai mai mancato di donarci stagione dopo stagione. Non disperiamo però, piuttosto concediamoci già il prossimo rewatch.
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