
Sciocca come l’antichità, crudele come il futuro – Il Contrasto su Marilyn
In occasione del sessantesimo anniversario della morte di Marilyn Monroe, e dell’uscita su Netflix del film biografico Blonde di Andrew Dominik – in cui la Diva per antonomasia è interpretata da Ana De Armas – l’editore Contrasto fa uscire il volume La bellezza di Marylin. Come al solito per i volumi di questa casa editrice, l’apparato visivo è notevole – non per nulla la Contrasto è nota per aver pubblicato libri fototestuali di nomi come Sebastian Salgado, Ferdinando Scianna, Wim Wenders o Letizia Battaglia. La bellezza di Marilyn attinge dalla scuderia di Magnum Photos per recuperare foto della diva, alcune delle quali ben poco conosciute, scattati da fotografi quali Elliott Erwitt, Inge Morath, Henri Cartier-Bresson ed Eve Arnold, ma, come nella tradizione di Contrasto, il libro non si limita ad essere una mera raccolta fotografica.

Il volume La bellezza di Marilyn è accompagnato e impreziosito infatti da una serie di testi di autori come Truman Capote, Pier Paolo Pasolini, il compianto Piergiorgio Bellocchio, da poco scomparso, e Goffredo Fofi. Quest’ultimo firma la prefazione, inedita, del volume, affermando che “con Marilyn morirono definitivamente, nell’agosto del ’62, gli anni cinquanta… anche le loro brutture maschiliste e le nostre frustrazioni di poveri”. Se personaggi all’apparenza diversissimi come Marilyn Monroe, papa Giovanni XXIII, a cui si dovette il Concilio Vaticano II, John Fitzgerald Kennedy e Chruščëv erano “portatori di novità collettive, di pace e di liberazione «dall’alto»”, la misteriosa morte di Marilyn e l’altrettanto misterioso omicidio di JFK a poco più di un anno l’uno dall’altro “dimostrarono in fondo una stessa fragilità”. La parola poi passa a Piergiorgio Bellocchio che, dalle pagine dei Quaderni Piacentini dell’epoca, innanzitutto criticò chi sfrutta la morte della diva per fare generici j’accuse contro Hollywood – “niente di più perfettamente hollywoodiano di questi cronisti e critici che se la prendono con Hollywood”, dal momento che “mettere sotto accusa Hollywood è ancora il miglior modo per evitare di mettere sotto accusa il sistema di cui Hollywood è solo uno dei tanti prodotti” – poi proseguiva con un’interessante disamina di Marilyn Monroe come fenomeno di massa.
Posto che “eravamo tutti, più o meno, innamorati di lei”, non si deve sottostimare il fatto “Marilyn era una diva piuttosto che un’attrice“, e una diva è “qualcosa di meno, di più – qualcosa di essenzialmente diverso” rispetto a un’interprete. Ma rispetto ad altre starlette del periodo, il punctum specifico di Marylin a detta di Bellocchio Sr. stava nel fatto che “insieme a una notevole coscienza d’essere un merce essa esprimeva anche una naturale incapacità di esserlo in modo completo e soddisfatto. In questo senso era una vivente protesta – anche se involontaria – contro il sistema”. Altrettanto interessante dell’intervento di Bellocchio Sr. è la poesia, intitolata Preghiera per Marilyn Monroe, che il prete sandinista Ernesto Cardenal dedicò alla diva, un vero e proprio reperto editoriale proveniente dalle mani di uno dei più originali esponenti della cosiddetta teologia della liberazione: del resto Fofi aveva avvertito sin dalla prefazione che, tra infiniti commenti, sermoni, controinterpretazioni e retroscenismi sulla morte di Marilyn, le riflessioni più interessanti erano arrivate “da luoghi improbabili della sinistra”. “Signore / in questi mondo contaminanti di peccati e di radioattività / Tu non incolperai soltanto una piccola commessa / che come ogni piccola commessa sogno di essere una stella del cinema / E il suo sogno divenne realtà (ma come la realtà del Technicolor)”, si legge in questa prece sui generis, “Essa aveva fame di amore e le abbiamo offerto tranquillanti / Per la tristezza di non essere santi / le venne raccomandata la Psicoanalisi”.

“Del mondo antico e del mondo futuro / era rimasta solo la bellezza, e tu / povera sorellina minore / quella che corre dietro ai fratelli più grandi”. Anche Pier Paolo Pasolini ricordò la diva in una poesia, intitolata semplicemente Marylin e originariamente letta da Giorgio Bassani nel controverso film a quattro mani La rabbia, datato ’63: un tributo che inserisce Marilyn, nell’immaginario pasoliniano, non lontano da quella proverbiale “scomparsa delle lucciole”, nella consapevolezza che “del pauroso mondo antico e del pauroso mondo futuro / era rimasta solo la bellezza, e tu / te la sei portata dietro come un sorriso obbediente”; ma “l’obbedienza richiede troppe lacrime inghiottite”. Piangendo la morte della diva, P.P.P. arriva a definirla “sciocca come l’antichità, crudele come il futuro” – e la sua riflessione per una volta non cade lontana da quella che Roberto Calasso, diversi decenni dopo, propose a partire dal termine hollywoodiano per eccellenza, interpretando il concetto di star come l’equivalente, in tempo di secolarizzazione, dei catasterismi mitici, della trasformazione di mortali in astri – una lettura che si potrebbe ripetere simmetricamente, a ben vedere, anche per il termine divo o diva, dal latino “dio”, “divino”. Nella lettura di Pasolini, Marilyn diventa un essere fuori dal tempo, assoluto ma non assolto, un sogno in Technicolor inevitabilmente sopraffatto dal grigiore del presente. “La tua bellezza sopravvissuta dal mondo antico / richiesta dal mondo futuro, posseduta / dal mondo presente, divenne un male mortale”. Se Cardenal terminava la sua preghiera implorando Dio di rispondere Lui a Marilyn al posto dell’ignoto interlocutore a cui la diva voleva telefonare pochi attimi prima di morire, Pasolini conclude i suoi versi con la speranza che la morte della stella porti i suoi “fratelli maggiori” a una presa di coscienza, a un’improvvisa consapevolezza della bruttura del mondo, da cui “la sorella più piccola” ha voluto, non a torto, evadere.
A proposito di evasioni, sorprende come in diverse pagine di questa miscellanea testuale edita da Contrasto si indichi ne Il principe e la ballerina uno scorcio privilegiato per intravedere la vera Marilyn. Paradossalmente ma non troppo, si tratta di uno dei film più sfortunati della sua carriera a livello di botteghino: diretto e interpretato da Sir Laurence Olivier, fu fortemente desiderato, al punto di diventarne coproduttrice di maggioranza, dalla Monroe, che recitando al fianco del maggiore interprete shakespeariano del suo tempo sperava di sottrarsi ai cliché e agli stereotipi a cui i suoi ruoli usuali da bionda svampita l’avevano relegata. “Anche in film come questo l’entusiasmo di Marilyn non riesce alla fine a nascondere la sua fibra di nevrotica sensitiva che sembra attirare tutti i colpi cattivi”, è il commento di Fofi. “Era questo di più di sincerità e di candore, questa debolezza avvertibile dietro la spregiudicatezza delle pose, a fare il successo più profondo di Marilyn: una stupenda ragazza indifesa, che tutti avrebbero voluto difendere”.

Sui costanti punti di fuga, e sull’essenziale, innocente infantilismo della figura di Marilyn, si concentra anche il testo che conclude la raccolta, il più lungo, Una bellissima bambina di Truman Capote. Si tratta di un curioso pastiche tra memoir e pièce teatrale, con cui l’autore di A sangue freddo e Colazione da Tiffany rievoca un suo incontro con la diva nel 1955, in occasione del funerale di Costance Collier, insegnante di recitazione di una lunga schiera di starlette hollywoodiane in cui Marilyn era stata l’ultima in ordine di tempo. In un lungo dialogo che si dipana tra la cappella funebre, un ristorante in cui Marilyn entra scordandosi di non avere soldi appresso e le strade di New York, la grande diva appare in tutta la sua fragilità, incertezza, ritrosia. Tra i tanti scambi memorabili fra lo scrittore e la diva: “Santa ingenuità. E io che ho sempre pensato che tu fossi una bionda autentica” – “Lo sono. Ma nessuno è naturale fino a questo punto. E a proposito, va’ a farti fottere!”. Bello anche il dialogo finale, che poi dà il titolo al pezzo: “Ricordi, ti ho chiesto se qualcuno mai ti domandasse com’ero io, come era veramente Marilyn Monroe… Allora, cosa risponderesti? Scommetto che diresti che ero una sciattona. Una banana split” – “Direi che sei una bellissima bambina”.

Tra il sessantennale della misteriosa morte di Marilyn e l’uscita del già controverso biopic di Andrew Dominik a lei dedicato, fin troppe sono state le operazioni editoriali dedicate alla diva. Per l’organica eterogeneità – e profondità – degli sguardi a lei rivolti, questo volume della Contrasto si presenta come un vero e proprio pezzo di collezione – da unire, idealmente, al numero di Linus a lei dedicato in agosto. Quest’ultimo, incredibile dictu, dava voce alla stessa Marilyn Monroe, che in un testo dei primi anni cinquanta si esprimeva con sconcertante franchezza sui predatori sessuali di Hollywood e dintorni, anticipando di sei decenni il #MeToo. Assieme, il numero di Linus e il volume della Contrasto formano una notevole antologia bifronte di scritti su Marilyn, con fumetti d’autore e fotografie altrettanto pregiate a completare vicendevolmente il dittico.
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