
Piattaforme digitali e produzione culturale – Margini e frontiere del lavoro digitale
Continua il preziosissimo lavoro di traduzione dei pilastri portanti internazionali di testi sui Media Studies portato avanti da Minimum Fax con la sua collana Supertele, a cura di Fabio Guarnaccia e Luca Barra: è infatti arrivato sugli scaffali italiani, tradotto da Rocco Fischietti, Piattaforme digitali e produzione culturale, volume scritto a sei mani da Thomas Poell, David B. Nieborg e Brooke Erin Duffy che restituisce una fotografia accurata e ad ampio spettro delle direzioni imprescindibili intraprese dai Media & Platform Studies, con il pregio di muovere attraverso una prospettiva internazionale, pluridisciplinare e – come auspicato dagli autori – sinceramente olistica, senza negarsi la possibilità di richiamare al fianco delle questioni tecniche, politiche e giuridiche anche aspetti e problematiche di ordine teorico. Elegantemente editato nella curatissima veste grafica di Minimum Fax, Piattaforme digitali e produzione culturale è già considerabile un tassello cardine dell’esplorazione del contesto mediale contemporaneo, anche alla luce delle recentissime fluttuazioni di pubblici e istituzioni dovute agli eventi degli ultimi due anni.

Spesso tese nella morsa tra il sogno di una totale democratizzazione del pensiero e della cultura – quasi una nuova sfera pubblica globale – e il terrore dell’appiattimento a uno standard “statunicentrico” in cui una manciata di privati può fare il buono e il cattivo tempo del discorso universale, le piattaforme sono il punto di congiunzione di alcune direttrici sensibili della contemporaneità che gli autori del libro hanno indagato negli ultimi anni attraverso una ricerca globale e omnicomprensiva, di cui Piattaforme digitali e produzione culturale è tanto il risultato quanto la ripartenza: i macro-cambiamenti istituzionali nei mercati, nelle infrastrutture e nella governance si pongono al fondo dell’evoluzione delle larghe pratiche culturali che accumunano l’attività umana globale tra lavoro, creatività, democrazia e, soprattutto, potere. Porre la lente su quel che effettivamente sta accadendo permette a Poell, Nieborg ed Erin Duffy di restituire un quadro chiaro tra opportunità e criticità, strade virtuose di effettivo ampliamento della sfera pubblica e pericolose ricorsività di segregazione autoindotta della rappresentazione.

Il primo e fondamentale passo che Piattaforme digitali e produzione culturale compie è identificare inequivocabilmente l’oggetto d’osservazione: in un panorama dove i luoghi virtuali della rete nascono e muoiono, cambiano identità e proprietà, non è immediato comprendere cosa sia o cosa non sia da ritenersi piattaforma; un tentativo simile, in modo più informale (però accademicamente fortunato), l’aveva compiuto pochi anni fa Amanda D. Lotz nel suo imprescindibile – e ben utilizzato anche tra le note del libro Minimum Fax – Portals: A Treatise on Internet-Distributed Television, in cui si distingueva quel che non va ritenuto piattaforma perché radicalmente altro. D’accordo con Lotz, in Piattaforme digitali e produzione culturale si guarda il lato specifico delle piattaforme: non Netflix, Prime Video o Disney+ – erroneamente considerate piattaforme, ma più simili a legacy media dalla conformazione top-down -, bensì Meta, TikTok, Twitter, Spotify (punto di congiunzione, come spesso accade con l’audio), YouTube, Twitch e ogni altra realtà dal respiro globale che promette e premette una pur necessariamente arginata partecipazione bottom-up.

Queste raltà/piattaforma, seppur tra loro differenti nella pratica e spesso nei pubblici (nel doppio senso di spettatori e di sfere pubbliche) di riferimento, sono accumunate nel sottendere alla loro base rischi e criticità comuni non trascurabili: qualsiasi utente di una piattaforma può esservi incappato durante la fruizione più o meno attiva, ma difficilmente è possibile scavare al fondo delle ragioni politiche, materiali, legislative e tecniche che stanno alla base, ad esempio, della cancellazione o demonetizzazione di contenuti ritenuti sensibili e dannosi, oppure comprendere le dinamiche algoritmiche che rendono certe tipologie di contenuti più presenti e rappresentabili rispetto ad altre (spesso legate alle minoranze). Piattaforme digitali e produzione culturale individua tracciati di problematizzazione, indica direzioni di ricerca da seguire, configurando al meglio gli interrogativi da porsi attraverso esempi puntualissimi, ottimamente documentati e facilmente estrapolabili, utilizzando un linguaggio capace di divulgare senza scendere a compromessi nel rigore scientifico.

Come tutta la collana Supertele di Minimum Fax, Piattaforme digitali e produzione culturale è adatto a qualsiasi tipologia di lettore interessato al macro ecosistema mediale contemporaneo: dal ricercatore e studioso di media – complice il ricchissimo e prezioso apparato critico che Poell, Nieborg ed Erin Duffy hanno raccolto nelle note -, al professionista del web (creator, influencer, streamer o youtuber che sia) che voglia avere un più chiaro quadro di comprensione del vasto e frastagliato contesto in cui opera, tra diritti, rischi, opportunità e rappresentazione. Ma si lasci dire in queste ultime righe che le preziose edizioni italiane curate da Minimum Fax di questi pilastri degli studi sui media dovrebbero trovare un’ampia circolazione anche – e forse soprattutto – tra i non addetti ai lavori, perché come sottolineano gli autori di Piattaforme digitali e produzione culturale ogni singolo utente è coinvolto da dinamiche spesso invisibili e per questo rischiose, che superano persino le tenute e le tutele istituzionali, quando non ne sono, ancor più pericolosamente, direttamente indotte; solo un’attenta, estesa e capillare consapevolezza può difendere dai rischi impliciti, amplificando le potenzialità democratiche di mezzi di comunicazione (e non solo) mai stati così pervasivi.
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