
Gli Anelli del Potere – Episodio 7 | La geopolitica dei minerali e dei sentimenti
Al preludio della fine de Gli Anelli del Potere, la sensazione è che in realtà l’epopea stia giusto per cominciare. In effetti, tra il prequel in corso ora e la trilogia che ha reso Tolkien conosciuto anche ai vestali mancati del sacro culto dei Valar, non manca la densità delle storie. La percezione temporale risulta particolarmente ingannevole: nei primi episodi si aveva la sensazione che mancasse la presa sul fatto drammatico, e quindi sul motore dell’azione, che insomma si ricorresse all’opulenza estetica per riempire un vuoto narrativo. Arrivati quasi all’epilogo la percezione è capovolta: ci sembra che l’apparente letargia dei primi episodi fosse necessaria – come il lento scavare degli orchi – a mettere in moto la potente macchina del Monte Fato. Semplicemente perché l’universo di Tolkien è, appunto, un universo: è il “mondo sommerso” di Ballard e quello “nuovo” di Huxley, la Pandora di Avatar, la città di K, è tutto questo.
Tutto questo e molto più perché la configurazione di elementi in Arda è ai limiti del maniacale: le genealogie, la topografia, le idolatrie, i linguaggi sono strutturati con dovizia di particolari. Dal punto di vista narrativo questo è problematico, perché allo spettatore piace guardare la nave che salpa e non i tronchi ammassati per costruirla, e perché ai fini di una sistematizzazione storico-politica dell’universo tolkeriano anche la densità psicologica dei personaggi paga un tributo. Non c’è spazio per intimi “magici se” in questa complessa architettura perché solo una volontà cieca – e monodimensionale – può manovrare la convergenza di tattiche e strategie e quindi il funzionamento del meccanismo epico.

Nel settimo episodio, quando le tracce sfilacciate delle direttrici narrativi sembrano ricomporsi, abbiamo una misura non solo della potenza visionaria di Tolkien, ma della sua straordinaria verosimiglianza con il nostro di mondo, in un equilibrio raffinato di reale e fantastico. Ed è merito delle annotazioni del Silmarillion se funziona ne Gli Anelli del Potere questa geopolitica dei minerali e dei sentimenti, che ci fa rendere immediatamente comprensibile quanto visto, sentito, ipotizzato fino a quel momento.
Trionfa il fattore umano, ma anche quello elfico e nanico, perché per quanto si giochi il pericoloso (il politicamente scorretto è morto, viva il politicamente scorretto!) Risiko delle “razze”, le motivazioni dell’agire sono riconducibili a una tavolozza di sentimenti assimilabili. In gioco c’è la sopravvivenza dell’individuo e della collettività a cui appartiene, come primo livello hobbesiano dell’azione; ma si riscopre, e senza eccessi di candore, anche la solidarietà per il vicino e la riscoperta di antiche alleanze basate su un sentimento di fratellanza. Sul solco dei più grandi novellisti russi, anche Tolkien lascia in dono una pietas laica: c’è un pervasivo sentimento di fede, che sconfina nella provvidenza solo nei momenti disperati ma che si radica nella fiducia, perché nessuna razza, nessun gruppo, nessuna comunità può sopravvivere nell’autodichia.

La geopolitica dei minerali e dei sentimenti fa vibrare l’episodio di un’attualità che impressiona. C’è il determinismo geografico, per cui i Nani hanno accesso a una risorsa fondamentale per la sopravvivenza degli Elfi (no, non il litio, ma il mithril), e l’avanzata delle forze dell’oscurità è di fatto una conquista del West in chiave ardanica. Il gioco dei mondi è un gioco di spartizione di terre e di risorse che anche visivamente assumono centralità già dalla fine dell’episodio sei, quando le contrattazioni e le astuzie degli organismi senzienti soccombono alla supremazia dell’elemento naturale. Tolkien abbatte non solo l’Antropocene, ma il logocene, e così investe di senso le ore trascorse a guardare l’edenica Numenor e il verdeggiare delle Terre del Sud solcate dai Pelopiedi.
Così in un ribaltamento continuo di cause ed effetti, l’assetto naturale modifica le sorti dei personaggi e a sua volta ne è stravolto. La distruzione sembra frutto di ontogenesi, si autoproduce: il fuoco brucia tutto e si autoalimenta, il fuoco è creato e a sua volta riproduce le condizioni per ulteriori fuochi. Mentre si incupiscono i cuori, anche l’aria si fa fitta e intrisa di ceneri; il cielo ruggine assorbe la linfa vitale ma, ed è questa la grandezza morale della saga, l’inasprimento di queste condizioni consente la sopravvivenza di altri organi. Al centro dell’episodio, e anche del maggior meccanismo di identificazione dello spettatore, c’è la corruzione degli agenti morali che genera la disgregazione dell’integerrimo ordine naturale.

Il settimo episodio ha il merito di farci ridiscutere la necessità degli episodi precedenti e la distribuzione del tempo della narrazione tra magniloquenti – e prevedibili – scene belliche, lunghi campi visivi e dialoghi poveri. E il bilancio è controverso perché se il settimo episodio è in grado di restituirci la potenza dello scenario naturale e anche della sua funzione narrativa, sembra affrontare in leggero ritardo non solo la razionalità strumentale dei personaggi, ma anche i loro vacillamenti emotivi. Riusciamo finalmente a intravedere le sfumature attraverso i dialoghi dei personaggi dispersi in coppie, e finalmente li sentiamo familiari.

Il fattore umano sta, simbolicamente, nella luce ancora visibile delle terre senza fuoco: è la ribellione all’eredità ingombrante dei padri, lo smarrimento della fede dinanzi a sofferenze indicibili, l’impotenza rispetto all’esistere inesorabile degli elementi naturali. Alle spalle della geografia della guerra, delle vendette e delle risorse, c’è la geopolitica dei sentimenti delle donne. Un passo indietro ai re, siano essi nani, elfi o umani, ci sono regine reggenti, principesse, combattenti: con astuzia e retorica, ma anche solidarietà, intraprendenza e strepitoso coraggio, spetta a loro salvare i rispettivi mondi dalla distruzione. E a farci chiedere, in attesa dell’epilogo: qual è il bene della vita se non la viviamo bene?
Trovate la recensione finale de Gli Anelli del Potere nel numero 9 di Birdmen Magazine – Brucia tutto.
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