
Il mercante di Venezia secondo Paolo Valerio – Una commedia noir sempre attuale
“Shakespeare non è né bianco né nero: è grigio”; con queste parole Paolo Valerio – direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia (da gennaio 2021) e regista de Il mercante di Venezia – stigmatizza la forza del grande drammaturgo inglese, capace di indagare tutte le sfumature dell’animo, rimanendo spesso ambiguo ma sempre profondamente umano.
Il mercante di Venezia ha già debuttato l’1 luglio scorso a Verona, aprendo con successo la 64ª edizione del Festival Shakespeariano che ogni anno si tiene nella città veneta, così legata alla figura del Bardo – anche se mai da lui realmente visitata – e nota come ambientazione di un altro capolavoro shakespeariano, Romeo e Giulietta.
Il mercante di Venezia è una produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, del Centro Teatrale Bresciano e del Teatro de Gli Incamminati. Dopo il debutto estivo veronese, va in scena a Ferrara (al Teatro Comunale, dal 7 al 9 ottobre) e poi a Trieste, dove inaugura (l’11 ottobre) la nuova stagione del Teatro Rossetti.

Il protagonista della scena è Franco Branciaroli, un attore che nei teatri italiano ha dato vita a personaggi indimenticabili e che qui è capace di interpretare un ruolo impegnativo e contraddittorio. Branciaroli infatti è Shylock, l’usuraio ebreo che pretende come obbligazione una libbra di carne tagliata vicino al cuore se non gli sarà restituito il prestito: cinico e ironico, ma anche crudele nella sua furia vendicativa, fragile nella sua solitudine, struggente nel suo dolore.
“Il testo di Shakespeare non è una tragedia” – commenta il regista Paolo Valerio – “quanto piuttosto una commedia nera, in cui si vuole far ridere, anche se è un riso amaro, spietato. Sono presenti due grandi tematiche: il denaro (e quindi il potere) e l’odio tra religioni come lotta tra culture; entrambi temi universali ed estremamente attuali. Ne Il mercante di Venezia viene rappresentato un mondo mutevole e vibrante di personaggi che incarnano inquietudini, chiaroscuri e complessità di modernità assoluta”

L’aspetto dell’antisemitismo viene palesato nell’allestimento di Valerio in tutta la sua drammaticità, ed è proprio Shylock a mostrarne i tratti più terribili. La scelta del regista va però verso una sorta di riabilitazione dell’usuraio senza scrupoli, che alla fine è vittima e – oltre al danno la beffa – non solo non viene ricompensato, ma è costretto a convertirsi al Cristianesimo.
“Ho voluto che Branciaroli/Shylock fosse presente dall’inizio alla fine e ho scelto una scenografia essenziale che facesse pensare al muro del pianto, con un pavimento scuro e lucido”, continua il regista Valerio, che non ha voluto rassegnarsi alla condizione imposta a Shylock di diventare cristiano. “La scena finale è un’invenzione registica, ma che secondo me rispecchia bene la profonda costrizione del personaggio, che è stato da sempre bistrattato, emarginato e vilipeso e che non riesce a sopportare una simile imposizione. Insomma, ho voluto trasformarlo in un martire e restituirgli una sorta di dignità, che suscita empatia e commozione”
E proprio dal complesso mondo shakespeariano, ricco di personaggi e interpretazioni, Paolo Valerio è rimasto da sempre affascinato. “Penso che sia un grandissimo scrittore e un profondo conoscitore di sentimenti. In lui si condensano tutti gli aspetti dell’animo umano: scontri etici, rapporti sociali e interreligiosi mai pacificati, l’amore, l’odio, il valore dell’amicizia e della lealtà, l’avidità e il ruolo del denaro. Inoltre c’è una finezza psicologica nella costruzione dei personaggi, che non sono mai dichiaratamente buoni o cattivi, o del tutto positivi o negativi. E tra i personaggi, le donne hanno sempre un ruolo speciale. Anche ne Il mercante di Venezia la figura di Porzia è centrale e potente, esattamente come Giulietta e come Lady Macbeth: donne che agiscono e che tramano per il potere e per i soldi, talvolta mosse dall’amore, geniali e vulnerabili. Allo stesso modo, vario e articolato è il linguaggio, tanto che si pone sempre il problema di una traduzione il più possibile fedele alla complessità delle sfumature originali. Shakespeare infatti è capace di altezze poetiche inarrivabili, così come di battute grevi e volgari, che al tempo dovevano muovere gli spettatori alla risata triviale”

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