
Morire per Shakespeare: gli scontri di Astor Place
10 maggio 1849, Astor Opera House di Manhattan.
Alle 19:30 ha inizio la rappresentazione del Macbeth e con essa i disordini che nel giro di poche ore avrebbero provocato 34 morti e più di 120 feriti. Ad animare gli scontri sono due fazioni opposte di accaniti spettatori teatrali: da una parte gli abituali frequentatori del Teatro d’Opera di Astor Place grandi estimatori dell’attore inglese William Charles Macready (in scena quella sera), dall’altra i sostenitori di Edwin Forrest, primo grande attore teatrale americano, apprezzato soprattutto dal pubblico di operai e immigrati che abitavano i quartieri popolari circostanti il teatro.
Macready e Forrest erano delle vere celebrità in quegli anni ed entrambi venivano acclamati dal pubblico come migliori interpreti di Shakespeare; la loro accesa rivalità, tuttavia, da sola non è sufficiente per motivare gli scontri che devastarono Astor Place: l’episodio fu in gran parte determinato da un crescente clima di tensione che toccava da vicino la popolazione newyorkese.
Indubbiamente all’epoca il teatro era ancora la forma d’intrattenimento con maggiore seguito in tutte le classi sociali, perciò non deve stupire che la disputa su quale fosse l’attore migliore infiammasse gli animi di tanti spettatori. Non è un caso che sia Forrest sia Macready fossero specializzati nell’interpretazione di Shakespeare: in un’epoca in cui gli Stati Uniti non avevano ancora individuato riferimenti culturali propri, Shakespeare come simbolo della cultura anglofona era l’autore più amato e conosciuto dal grande pubblico. In un panorama teatrale dominato da interpreti e impresari di origini britanniche, la celebrità di Forrest – in quanto attore americano – era cresciuta rapidamente conquistando in particolare la classe operaia e la comunità di immigrati irlandesi che – unite esclusivamente da una comune esclusione dall’élite sociale – nutrivano una feroce rabbia anti-britannica fomentata dalla costante venerazione della classe dirigente americana nei confronti della cultura inglese.
La violenza scatenatasi ad Astor Place ha dunque radici più profonde di una semplice rivalità tra attori che portarono ad identificare la modalità recitativa appassionata di Forrest come eminentemente “americana” in contrapposizione allo stile più elaborato e discreto di Macready. I due attori arrivarono dunque a simboleggiare un punto di vista filobritannico ed elitario e un desiderio di rivendicazione di origine popolare. La rivalità tra i due interpreti si era andata accentuando negli anni durante le due tournée americane di Macready che riscossero grande successo tra il pubblico benestante e incattivirono lo stesso Forrest che in occasione della terza (e ultima) tournée della star britannica decise di seguirne l’itinerario portando in scena gli stessi spettacoli in contemporanea in altri teatri dei dintorni. Nei giorni precedenti gli scontri Forrest portava in scena Macbeth al Broadway Theatre poco distante da Astor Place e il clima di tensione arrivò a condizionare le esibizioni.
La sera del 7 maggio i sostenitori di Forrest acquistarono centinaia di biglietti per lo spettacolo di Macready e ne ostacolarono la performance con il lancio di oggetti di ogni tipo: mele, patate, uova marce, bottiglie, scarpe e persino sedili strappati. In seguito a questo episodio (preceduto dal lancio di un pezzo di carcassa di pecora sul palco durante un’altra esibizione) Macready annunciò la sua decisione di lasciare l’America, ma la mobilitazione di alcuni spettatori (tra cui lo scrittore Herman Melville) lo convinse a restare per l’esibizione del 10 maggio. Poco prima dell’inizio dello spettacolo più di 9.000 persone si riversarono nelle strade circostanti il teatro, a molti degli spettatori anti-Macready fu impedito di entrare: individuarli era semplice dal momento che molti di loro non rispettavano il rigido codice di abbigliamento formale previsto dal teatro. Questo aspetto non è secondario perché il carattere elitario dell’Astor Opera House da sempre aveva indispettito molti newyorkesi che consideravano il teatro come luogo di ritrovo per persone di varia estrazione sociale. Gran parte dei partecipanti agli scontri era stata coinvolta nei giorni precedenti attraverso la distribuzione di volantini antibritannici che facevano appello alla cittadinanza proclamando “Shall Americans or English rule this city?”. Di fatto, quando a molti spettatori fu impedito di entrare, le tensioni esplosero e il pubblico elitario del teatro fu preso in ostaggio con un tentativo (fallimentare) di incendiare l’edificio, la polizia – incapace di fronteggiare la situazione – richiese il tempestivo intervento dell’esercito nel timore di aver completamente perso il controllo della città. Quando alle 21.15 il Settimo Reggimento giunse ad Astor Place con truppe a cavallo e artiglieria leggera la repressione fu durissima: le milizie aprirono il fuoco sulla folla ferendo in prevalenza passanti innocenti.

Gli scontri di Astor Place determinarono una frattura profonda nella comunità newyorkese: l’Opera House non sopravvisse alla successiva nomea di Dis-Astor Place e venne chiusa nel giro di pochi mesi, un nuovo teatro lirico venne edificato in una zona ritenuta più “sicura” perché distante dai quartieri popolari e Shakespeare, tanto amato da spettatori di ogni estrazione sociale, iniziò ad essere considerato come un autore di appannaggio esclusivamente altolocato e quindi disdegnato dai teatri che volevano mantenersi vicini alla sensibilità popolare.
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