
Nei giardini della mente – Matteo Balsamo e il presente della salute mentale
Arrivato alla sua 8^ edizione, Visioni dal mondo è il Festival Internazionale del documentario che dal 15 al 18 settembre 2022 ha proiettato, sotto la direzione artistica di Maurizio Nichetti, 36 pellicole in anteprima. Tra queste, domenica 18 settembre, nella categoria Concorso Italiano – Lungometraggi, anche Nei giardini della mente, film diretto da Matteo Balsamo e prodotto da Merry-Go-Sound.
La salute mentale è una storia attuale
La trama di Nei giardini della mente non è semplice da raccontare. Non perché l’argomento sia complesso da descrivere, ma per la narrazione stereotipata che di solito se ne fa e da cui risulta difficile allontanarsi. Si parla di salute e malattia mentale; nello specifico, di come vive chi per un motivo o per un altro ne ha a che fare tutti i giorni. Un racconto che quasi sempre è fatto al passato e che quando invece è al presente, viene maldestremente reso breve e offuscato.
Il merito del documentario di Matteo Balsamo è quello di incorniciare il tema delle persone con disturbi psichici in una dimensione inedita: l’attualità. Nonostante la scelta di iniziare il lungometraggio con alcune riprese di archivio dei tempi che hanno preceduto la chiusura dei manicomi, è infatti subito evidente che la protagonista del racconto sia Oltre il giardino, un’associazione fondata dal fotografo Gin Agri e nata nel Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale dell’Azienda Ospedaliera Sant’Anna di Como.

Da qui – dal presente – si coglie l’occasione per ripercorrere momenti storici importanti nel percorso di destigmatizzazione della malattia mentale, come l’influenza che hanno avuto sul tema Franco Basaglia e le interviste di Anna Maria Bruzzone. Ma il film è di fatto un racconto intrecciato di storie. I punti di vista di vari personaggi si incontrano, si allontanano e si riavvicinano, portando sullo schermo la visione di tante figure diverse: dei membri di Oltre il giardino, di medici psichiatri, di fotografi e reporter, delle stesse persone con disturbi mentali.
Nonostante il montaggio non sia sempre lineare o chiaro nella scelta di concatenamento delle scene – e per questo richieda uno sforzo in più – da spettatori è facile sentirsi coinvolti in ciascuna delle storie che vengono raccontate. L’anima del documentario non è quindi un racconto storico o di denuncia: il punto focale è l’umanità delle persone che raccontano di sé e delle esperienze in cui sono state o sono tutt’ora coinvolte.

Si può parlare di umanità senza retorica?
L’alternanza tra le testimonianze su come viene trattata la malattia mentale al presente e quelle che parlano di come veniva trattata in passato, da una parte rende evidente il progresso che è stato fatto nella considerazione del “folle” e il modo in cui ci si è arrivati, dall’altra porta lo spettatore a chiedersi se tal progresso sia in fondo abbastanza. La domanda che ci si pone guardando il film è: il silenzio che ha circondato il tema dopo la chiusura dei manicomi seguita alla legge 180/1978 è sintomo di risoluzione di una situazione indignitosa o di ambiguità? Mentre scorrono le inquadrature, ci si rende conto che dare una risposta sarebbe in un modo o nell’altro riduttivo, ma il fatto che lo spettatore si senta stimolato a porsi la questione sarebbe già di fatto uno degli obiettivi del documentario.
Concentrarsi sull’aspetto umano di un tema senza cadere nella retorica è un’impresa difficile, anche per un argomento che – citando il film – non rientra neanche nell’ipocrisia del politically correct. Eppure la sensazione è che Matteo Balsamo e i protagonisti del suo lungometraggio ci siano riusciti. Si esce dalla sala arresi al fatto che il punto non è tanto domandarsi se quello che è stato in passato con i manicomi e gli stigmi sia giusto o sbagliato, ma parlare di come sia effettivamente successo e ammettere che tutt’ora chi soffre di malattie psichiche viene nascosto in un tabù agli occhi della società.
A Oltre il giardino, come racconta il documentario, va il merito di sradicare quel tabù.
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