
Merry Christmas, Yiwu – La fabbrica del Natale | Biografilm 2020
La nostra recensione di ‘Merry Christmas, Yiwu’, di Mladen Kovačević, uno dei 41 film selezionati alla 16ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. Clicca qui per scoprire come vedere tutti i film del Festival in streaming gratuito su MyMovies (fino al 15 giugno). Un’occasione unica, da non perdere!
Vi siete mai chiesti che aspetto avessero gli incubi notturni di Karl Marx? Io un’idea ce l’avrei: una città di 1.105 km² con più di seicento fabbriche dedite alla produzione di articoli natalizi.
Merry Christmas, Yiwu, del regista serbo Mladen Kovačević, è un documentario sul più grande laboratorio di consumo globale che il mondo abbia (finora) conosciuto. Yiwu si trova in Cina, a circa trecento chilometri da Shangai, ed è il luogo in cui prende forma l’aspetto consumistico del Natale occidentale: nelle fabbriche, si producono più della metà degli addobbi natalizi che decorano le nostre case.
Il film è suddiviso in sequenze, definite da dialoghi in sovrimpressione in lingua cinese, e in ognuna di esse abbiamo modo di osservare la vita – sia dentro che fuori la fabbrica – di donne e uomini che lavorano a Yiwu.
Merry Christmas, Yiwu si apre all’interno di una delle fabbriche. Due operaie conversano mentre si dedicano all’abbellimento delle decorazioni natalizie. Siamo nel mese di maggio: a Yiwu è sempre Natale, sebbene tale festività non venga celebrata in Cina. Proprio lo scollamento con le festività occidentali è ciò che consente la straordinaria produttività cinese. In Cina infatti si segue il calendario lunare, e l’argomento di discussione tra le donne è proprio il Capodanno cinese e come intendono trascorrerlo.
Le due operaie – mentre lavorano – hanno gli auricolari nelle orecchie, presumibilmente collegate ad uno smartphone. Mladen Kovačević ci mette di fronte a una condizione operaia diversa da quella che immaginiamo per la produzione cinese in larga scala.
In una delle sequenze, il proprietario e il direttore di una delle fabbriche discutono del gran numero di ordini richiesti, addivenendo alla conclusione che gli operai dovranno sì lavorare molto, ma senza mettere a rischio la propria salute. I lavoratori non hanno ritmi insostenibili e non dormono in fabbrica, condizione che va in netto contrasto con lo sfruttamento delle aziende di proprietà occidentale delocalizzate in Cina.
Il motivo è chiaro: Yiwu è il risultato della globalizzazione, una città con uno stile di vita cosmopolita. Tuttavia è attraversata dalla contraddizione, in bilico tra comunismo e capitalismo, tradizione e modernità.
Le fabbriche sono frequentemente a conduzione familiare e la produzione è artigianale, sebbene in enormi quantità. I lavoratori di Yiwu provengono da tutto il Paese – spesso da zone rurali – sognano di diventare ricchi e di avviare un’attività in proprio. Hanno stipendi alti rispetto allo standard cinese, difatti possono permettersi di acquistare un’iPhone, che usano per tenersi in contatto con la famiglia lontana; tuttavia, vivono in dormitori affollati. Godono di tempo libero a disposizione, che il documentario esplora in tutti i suoi aspetti, sottolineando anche il conflitto generazionale.
Mladen Kovačević indaga – con un approccio osservazionale che suggerisce il portato esemplare delle storie raccontate – l’affermazione di un nuovo modello di capitalismo.
La cura nelle inquadrature – che alternano campi lunghi e primi piani – spesso statiche, dona al documentario un ritmo lento.
A fare da contrappunto alla luce fredda e sterile della fabbrica, simbolo della modernità, ci sono canzoni e brani utilizzati in maniera diegetica, che offrono uno spaccato della tradizione. In particolare, in una delle sequenze finali, assistiamo ad una suggestiva danza con maschera di drago, tipica del Capodanno cinese.
Tra tradizione e “modernità”, è così che si vive a Yiwu.
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