
Argentina, 1985 – Una comica tragedia storica | Venezia 79
Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo si trovarono a condurre un’inchiesta con il fine di perseguire i mandanti di uno dei più sanguinosi, truci e duraturi omicidi collettivi del secolo scorso. Si parla dei postumi della dittatura militare argentina, che nel 1985 ancora adombrava l’esile e inedita democrazia che vigeva nel Paese. Così, il sardonico procuratore (Ricardo Darìn) e il suo impacciato assistente (Peter Lanzani) – strana coppia che guarda ai fasti del cinema più classico, sfiorando il buddy movie –, ribellandosi alle pressioni colpose dei piani più alti, mettono insieme un’improbabile task force di giovanissimi che scandaglierà l’omertà delle istituzioni.

Argentina, 1985 si afferma tra i titoli veneziani come film storico già dal suo titolo così essenziale e documentale: un Paese e un anno, un qui e ora certo e scevro di ogni ogni orpello interpretativo. È un film che siede dalla parte dei giusti, facilmente definibile come d’inchiesta. Ed è una storia, quella del film di Santiago Mitre, già narrata in diverse altre opere, tappa fondamentale della cultura identitaria di un intero Paese e prova indignata di coscienza civile che rimbomba al grido di “Nunca Màs!”. Come Il processo ai Chicago 7 e il suo compagno di concorso Il signore delle formiche, l’opera getta luce su fatti inaccettabili – in questo caso veri e propri crimini di stato – non tanto lontani dal nostro chiassoso presente.

La giustizia civile viene chiamata a giudicare il potere militare, qui laconico e falsamente sacerdotale, biblico, tutto riassunto nella figura muta di Jorge Rafael Videla. La vecchia giunta militare sarà graffiata nella sua solenne immagine pubblica da una molteplicità di tragiche e traumatiche testimonianze. Argentina, 1985 narra quindi di un’istituzione scomposta dai singoli, dagli individui nella loro quotidianità. Sequestri, torture, sevizie e omicidi: la pasta narrativa dell’opera è tragica, ma la forza del film sta nell’evitare un comodo crogiolarsi nel dolore nazionale. Per questo Argentina, 1985 non è solo un film d’inchiesta e di cordoglio. Anzi, il motivo per cui il pubblico in sala segue ogni momento di questi centoquaranta minuti – ben ritmati, vibranti, saturi e appassionati – risiede proprio nella venatura narrativa che Mitre conferisce al suo racconto.

Come è infatti chiaro fin dall’inizio del film, in Argentina, 1985 il dramma della storia incontra la spensierata commedia domestica, mentre il giudizio dei posteri diventa lo sguardo ingenuo di un bambino davanti alla TV. Il burocratismo e la tecnicità in cui molto spesso film analoghi scadono, imbalsamandosi, qui soccombe a priori, grazie a una scrittura rotonda che delinea i suoi personaggi con affetto e gusto per l’idiosincrasia quotidiana.

La storia, vista da vicino, diluisce la propria monografica monumentalità nel racconto credibile e avvincente del cittadino, su tutti il misurato ed esilarante Strassera di Ricardo Darìn, ma anche Ocampos, vero emblema di un popolo pronipote del regime più violento eppure così motivato a riscattarsi tramite la legge. Appunto, il “Nunca Màs!” ripetuto – dai cittadini sullo schermo, dal pubblico in sala – emoziona e mette i brividi, proprio perché poggia su un racconto che tocca da vicino la materia umana oltre il personaggio storico, in una tragicommedia civile in bilico tra sarcasmo e commozione, convinta del valore benefico della legge come guarigione, del cinema come memoria, degli uomini giusti come storia.
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