
Il signore delle formiche – Ritratto di un’epoca | Venezia 79
Dopo il successo del 1998 con la vittoria del Leone d’Oro per Così ridevano, il regista Gianni Amelio torna in concorso a Venezia 79 con Il signore delle formiche realizzando un’opera intensa sulla vicenda Aldo Braibanti, uomo di cultura poliedrica, filosofo e mirmecofilo che infiammò l’opinione pubblica di fine anni Sessanta in Italia con il suo processo. Prodotto in collaborazione con Rai Cinema e IBC Movie, il film vede protagonista l’attore Luigi Lo Cascio, impegnato nel ruolo di Braibanti, in stato di grazia affiancato da Elio Germano e da un esordiente Leonardo Maltese, qui nella sua prima interpretazione cinematografica.

Quello di Braibanti riecheggia il processo di Oscar Wilde, dove al centro, ancor prima di qualsiasi accusa, veniva portata in aula una morale, un dogma radicato che andava difeso a tutti i costi e che nessuno poteva demolire. Il tema dell’omosessualità nell’Italia degli anni Sessanta è il fulcro della narrazione de Il signore delle formiche: il processo Braibanti rimane un caso storico di cronaca che ha giocato un ruolo fondamentale nella graduale sensibilizzazione delle masse. Aldo Braibanti (Luigi Lo Cascio), uomo di immensa cultura e appassionato studioso della vita delle formiche, gestisce un centro culturale aperto soprattutto ai giovani di talento, affascinati dalla figura carismatica del professore. Qui incontra Ettore, studente di medicina con la passione per il disegno e l’arte, con la quale stringe fin da subito un intenso legame platonico e, successivamente, anche sentimentale. La loro relazione, ormai evidente ai più, li costringe a scappare dalle campagne emiliane verso la volta di Roma, dove la coppia trova rifugio in una pensione. La famiglia di Ettore, una volta compresa la situazione viziosa intrattenuta con il professore, intralcia la relazione obbligando il ragazzo a sottoporsi ad una serie di cure ospedaliere nel vano tentativo di “guarirlo” da certi atteggiamenti inadeguati per i costumi dell’epoca.

Il reato di plagio (questa l’accusa con cui Braibanti venne condotto a processo) fu abolito solo pochi anni dopo il processo, confermando la portata mediatica e l’impatto della vicenda sull’opinione pubblica. Ne Il signore delle formiche viene messo in luce il lato più bigotto dell’Italia degli anni Sessanta e le debolezze di una brillante e giovanile cultura nascente schiacciata dalla pesantezza retrograda e purista. Il linguaggio mediatico è l’altro punto chiave del film: qui il giornalismo, impersonato dalla figura di Ennio (Elio Germano), è l’altra vittima della storia. La libertà di parola empirica viene declassata da un giornalismo costruito, fittizio, ricco di autocompiacimenti e rassicurazioni nei confronti della massa di lettori bisognosi. Gli scandali vengono sì pubblicati in prima pagina, ma godono di una breve vita, quanto basta per deliziare il lettore e rassicurarlo della sua esistenza “normale” e dentro le righe.

Con Il signore delle formiche, Amelio conferma il suo interesse ancestrale verso il cinema politico e di denuncia, veicolo di forti messaggi morali e sociali. Il regista torna a riflettere sul rapporto padre-figlio, concetto più volte centrale nelle sue opere, ma in chiave diversa. La relazione tra Ettore e Aldo, infatti, seppur incentrata su un legame mentale, ma soprattutto fisico, risente di una forte componente genitoriale. Aldo si pone nei confronti del giovane ragazzo vestendo il ruolo di un padre spirituale, di una figura in grado di indirizzarlo verso la conoscenza dei suoi desideri e della sua personalità. Il breve percorso intrapreso dai due personaggi potrebbe essere visto come un viaggio di iniziazione di Ettore verso il suo stadio di maturità più elevata.
L’impostazione teatrale della messa in scena traspare nettamente. Amelio sembra concepire l’opera come un’esperienza poetico-visiva dove il continuo decantare dei protagonisti trova un corrispettivo nella costruzione teatrale dei dialoghi e delle azioni. Ettore e Aldo si rivolgono l’uno nei confronti dell’altro con versi di profondità shakespeariana restituendo al pubblico una dialettica impostata e, volutamente, innaturale. Molto interessante, invece, la restituzione del tempo narrativo costituito dal susseguirsi di flashback e flashforward i quali danno origine ad una sconnessione delle vicende, obbligando lo spettatore a ricostruire mentalmente il tempo diegetico, come, appunto, nell’iter di un processo vengono raccolte prove e testimonianze per ricostruire la verità dei fatti.

Più che focalizzarsi sull’enorme cultura dell’uomo e filosofo Braibanti, le cui conoscenze spaziavano da un panorama vastissimo che ovviamente comprendeva la mirmecologia, Amelio vuole affrontarne i demoni e le questioni irrisolte, così come irrisolta e ossessionata dai propri demoni appare l’Italia di allora. Nonostante alcuni momenti poco convincenti e non sempre a fuoco, dal punto di vista dei temi affrontati con Il signore delle formiche Gianni Amelio porta a Venezia un film necessario, un’opera importante per denunciare un passato che, ancora oggi, ci riguarda.
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