
Anhell69 – Spettri di una gioventù bruciata | Venezia 79
È notte, il buio cala su Medellín: un gruppo di adolescenti si riversa nelle strade della città per trovare rifugio in club notturni dove ballare fino allo sfinimento alla ricerca della propria liberazione sessuale, individuale, spirituale. Ma Medellin è una terra di mezzo, un luogo dove vita e morte coesistono senza destare l’inquietudine di nessuno, in cui gli spiriti vagano cercando il modo di mettersi in contatto con i vivi, dove la notte funge da portale magico sull’oltretomba. Gli adolescenti cominciano così ad avere rapporti sessuali con gli spettri, fondendosi alla dimensione altra in un rituale di unione che termina ogni volta che l’alba fa capolino sulla città colombiana. Ma la “spettrofilia” è un crimine, e gli adolescenti vagabondi della notte vengono ben presto sterminati dalle autorità e ridotti ad anime tormentate, in attesa di una nuova generazione di spettrofili che possa ricominciare a consumare il rituale.
Questa sarebbe stata la trama di Anhell69, lungometraggio d’esordio di Theo Montoya (classe 1992) che nel 2017 ha condotto una sfilza di casting alla ricerca del perfetto protagonista della sua storia di fantasmi. Decine di tape dove i ragazzi provinati rispondono alle domande di Theo: personali, specifiche, a volte scomode. “Come ti vedi nel futuro?” è il quesito più frequente. Quasi tutte le risposte sono evasive: “Mi piacerebbe non pensarci”, “il futuro mi sembra un illusione”, “preferisco vivere il presente”. L’unico a rispondere puntualmente è Camilo, lunghi capelli ricci e scuri, occhi felini, postura elegante. “Nel futuro? Mi vedo morto. Ecco come mi vedo” risponde sorridendo. In quella sublime leggerezza che nasconde una personalità irrequieta e tormentata, Theo trova il perfetto protagonista del suo film. Camilo, però, muore dopo sole due settimane dal provino: il suo profilo instagram dal nome utente @Anhell69 si riempie di messaggi di cordoglio. Le ultime testimonianze della sua breve vita sulla terra sono immagini pubblicate sul suo profilo poco tempo prima, foto rebloggate sul suo blog di Tumblr e i video filmati da Theo durante il casting che avrebbe sancito il suo debutto nel mondo del cinema.

Anhell69, presentato a Venezia 79 durante la 37esima edizione della Settimana Internazionale della Critica – premiato doppiamente con il Verona Film Club Award al film più innovativo e premio Mario Serandrei – è quindi un film su un’opera mai realizzata. Espandendo e approfondendo il precedente corto Son of Sodom (2020), il regista colombiano firma il suo debutto al lungometraggio riuscendo a soffermarsi, stavolta con ulteriore minuzia, sulla comunità LGBTQ+ di Medellín perennemente in fuga da un sistema abituato al sangue e ostile alla libertà. Come per i protagonisti del film Landscape Suicide (1987) di James Benning – i cui tratti somatici finiscono per fondersi con le strade dei sobborghi della periferia americana – la città colombiana ingloba i suoi figli e li costringe al suo cospetto esercitando una tenace resistenza nei confronti di ogni tentativo di evasione.

Così, seguendo le orme del sorprendente Atlantide (2021) di Yuri Ancarani, che solo un anno fa sconvolgeva gli spettatori veneziani con il racconto degli adolescenti perduti al di là degli sfarzi della mondanità cittadina, Anhell69 arriva alla Mostra del Cinema come un’opera capace di attraversare i generi e di ricordare come il linguaggio cinematografico trovi la propria sublimazione nell’analisi della linea labile tra documentario e finzione, tra “fatti” e messa in scena – e provando come questa sia la chiave più adatta ad interpretare l’epoca contemporanea di auto-rappresentazioni e post-verità.
Uno dei film più commoventi della Mostra arriva dallo sguardo di un regista trentenne, che con maestria racconta il seme del nichilismo esplorando i rapporti tra i giovani e il paesaggio fisico – quello di Medellín, da cui sembra impossibile scappare – e quello virtuale, fatto di ultime dichiarazioni su internet e di immagini digitali, che si prefigurano come un’esperienza preliminare della morte.
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