
All the Beauty and the Bloodshed – A chi poteva essere salvato | Venezia 79
10 Marzo 2018, Nan Goldin e agli attivisti del collettivo P.A.I.N. irrompono al Metropolitan Museum di New York, lanciano flaconi di farmaci, si stendono come corpi morti sul pavimento della sala intitolata alla famiglia Sackler: apparentemente mecenati filantropi, in realtà colpevoli di centinaia di migliaia di morti per dipendenza da ossicodone.
Laura Poitras torna al Lido, in concorso a Venezia 79, con una nuova avvincente battaglia, riproponendo il suo cinema civile, che usa il documentario come prova di indignazione, fonte di reazione partecipata. Allo stesso modo, l’happening di protesta di Goldin, attesta la maturità espressiva di un’artista che come Poitras capisce il valore politico dell’arte, fotografica, cinematografica o performativa che sia.

Nonostante questa solida convinzione ad accomunarle, i loro approcci linguistici sono opposti: discreta e puntuale, Poitras interviene con poche domande, lascia che la nitida trasparenza del mezzo valorizzi l’oggetto. Goldin invece sorge in quel momento della storia della fotografia in cui l’artista non poteva più esimersi dalla partecipazione diretta all’evento.
Le fotografie di Goldin sono un ponte empatico tra lei e i suoi soggetti, istantanee di vita che fanno sì che su di lei sia impossibile qualsiasi documentario d’artista. Narrare la carriera artistica di Goldin infatti, significa narrarne la vita tutta, a partire dalla partecipazione emotiva al romantico disagio della sua tribù.
Da The ballad of sexual dependency, passando per la discussa mostra Witnesses sulla tragedia dell’AIDS, fino ai giorni nostri, i suoi scatti hanno sempre restituito la sensazione materica, sporca, olfattiva, reale di una verità: quella dell’affetto per i suoi soggetti, della volontà di trattenerli nel tempo, senza edulcorazioni.

All the Beauty and the Bloodshed intreccia il racconto di questa battaglia contro il Golia della famiglia Sackler, con il biopic d’archivio su una delle artiste più importanti della fotografia contemporanea. Femminista, tutto-fare anti-sistemica, voyeur dell’otturatore, provocatrice visiva: Goldin rivive e ricorda in voice off, perché per lei la fotografia è salvezza e antidoto alla rimozione, anche quando i traumi della vita – la dipendenza, le relazioni tossiche e violente, la morte della sorella, la perdita di innumerevoli amici durante l’AIDS – avrebbero preferito l’oblio.
Se l’appassionata e indignata crociata di P.A.I.N. risponde alla necessità di un racconto filmico immediato, il memoire procede al ritmo emotivo della rievocazione della protagonista, ora col passo lento e pensoso dei fotogrammi, ora con la vibrazione punk dei chiassosi e dissoluti tapes al Tin Pan Alley.

All the Beauty and the Bloodshed demistificagli stigmi del lavoro sessuale, delle dipendenza da droghe, della malattia mentale, della più provocatoria ed esibizionista delle arti. Non è un testamento bensì un vero e proprio manifesto etico-artistico, refrattario ad ogni tipo di censura morale, conscio della sottile strato che divide l’astinenza dall’abuso, la dipendenza dall’astinenza.
Inoltre, questo documentario così denso, commovente eppure così fruibile è in realtà sintatticamente complesso, ricco di linee narrative diverse: i tossicodipendenti caduti nella trappola della prescrizione da ossicodone, la sorella schiacciata dalla plumbea provincia, gli amici artisti del mondo LGBT sterminati dall’HIV e infine lei, Nan – così la battezza a quattordici anni l’amico David Armstrong – e tutte le peripezie che ha attraversato.
È l’unica di questi deputata al racconto, non perché del raccontare ne ha fatto un’intera vita, ma perché è l’unica rimasta in vita, portata in salvo da un atto ripetuto ogni giorno, quello dello scatto fotografico. Per questi motivi, All the Beauty and the Bloodshed è una ballata per chi poteva essere salvato, un pianto funebre struggente e insieme un ode all’esistenza vissuta tra estasi e dolore. È un documentario – l’unico in concorso – politicamente conscio della possibilità del suo linguaggio di opporsi alla sparizione e alla dimenticanza. Imperdibile.
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[…] più politico, militante, straziante di questo Festival di Venezia, come l’anno scorso fu All the beauty and the bloodshed, perché anche lui ode a chi poteva essere salvato. Una visione appannata da lacrime, una tragedia […]