
Gli Anelli del Potere – Episodi 1 e 2 | Nel cuore del fantasy
L’abbiamo aspettata, l’abbiamo bramata, abbiamo fantasticato su di essa fin dall’annuncio del suo arrivo. Abbiamo speculato sul suo contenuto con congetture di vario tipo, tra preoccupazioni più che mai giustificate e pregiudizi più o meno consapevoli, misti ad irrefrenabile curiosità: quale contenuto audiovisivo può essere accostato alla Trilogia dell’Anello di Peter Jackson, senza uscirne, a priori, svalutato? È possibile sviluppare – audiovisivamente parlando – una materia narrativa in grado di conservare l’epicità cinematografica de Il Signore degli Anelli? Lo stesso regista ci aveva provato con la trilogia de Lo Hobbit: conosciamo tutti il risultato. Se un prodotto cinematografico sull’universo di Arda risulta già rischioso, figuriamoci una serie tv, formato che di per sé prevede differenze linguistiche e narrative sostanziali rispetto al grande schermo.
Ebbene, eccoci qui: gli episodi 1 e 2 de Gli Anelli del Potere (Rings of Power), della durata entrambi di più di un’ora, sono approdati su Amazon Prime Video e con un episodio a settimana, lo show si prepara a tenerci compagnia per un mese e mezzo.

Un esordio maestoso, magniloquente, grandioso, soverchiante: così definirei il ritorno nella Terra di Mezzo da un punto di vista visivo. Il meraviglioso tipico del fantasy si concretizza qui in una forma che – su piccolo schermo – non ha mai avuto precedenti, alzando l’asticella per qualsiasi altro prodotto fantasy. I luoghi di Arda realizzati dalla compagnia di Bezos sono davvero luoghi fantastici, costruiti con perizia, sapienza, cura e non da ultimo un budget record di quasi mezzo miliardo, una cifra mai stanziata per una serie tv. Ambientazioni, costumi, creature sono esteticamente stupendi: troll e orchi sono perfetti nella loro orripilanza e l’impatto estetico di questo comparto visivo è talmente forte da essere scioccante; l’impressione è davvero quella di trovarsi immersi in un film di alto budget. Tuttavia, il rischio di queste scelte stilistiche è quello di un’artificiosità esagerata: alcune sequenze – non molte per fortuna -, seppur spettacolari, sembrano uscite da un videogioco.

Particolarmente apprezzabile è il lavoro di caratterizzazione dei diversi popoli, in perfetta coerenza con la trilogia: troviamo così i nani orgogliosi, permalosi e goliardici, gli elfi fieri, aggraziati e alteri. Gli antenati degli hobbit ricordano da vicino il clima della Contea ben oltre il loro aspetto estetico: l’interesse per il cibo, la collegialità, la semplicità e l’umiltà sono le loro caratteristiche principali. Emerge una comunità agreste genuina, sospettosa e diffidente, nomade perché indifesa e ancora in cerca del suo posto nel mondo, lontano dagli occhi degli altri esseri. Le differenze tra le popolazioni del mondo di Arda sono rese ancora più apprezzabili grazie alla scelta di connotare linguisticamente in modo differente i vari i personaggi: se nella versione originale tali divari sono realizzati attraverso l’impiego dei vari accenti delle regioni del Regno Unito, nella versione doppiata si passa dal linguaggio aulico e altisonante degli elfi alla semplicità espressiva quasi primitiva e improntata sul mondo silvano dei pelopiede, in un generale tono arcaico conferito principalmente dalle inversioni di costruzione della frase e dalla scelta di preziosimi lessicali (come “anelare” al posto di “desiderare”) insolito per il piccolo schermo.

In questi primi due episodi, la regia di J. A. Bayona orchestra la materia narrata con grande abilità, facendo tesoro dell’insegnamento di Peter Jackson: campi lunghi per valorizzare la maestosa scenografia, primi piani che vanno quasi a citare alcune scelte registiche del predecessore, scene di guerra corali, ampie e impressionanti, concorrono a farci immergere completamente nell’universo che ben conosciamo. La scelta del cast sembra davvero riuscita, soprattutto per quanto riguarda Morfydd Clark, che convince sicuramente a livello estetico nei panni di una giovane Galadriel: somiglianze e movenze vengono sottolineate dalla macchina da presa che accosta nel nostro inconscio vecchio e nuovo, persuadendoci di aver fatto le scelte attoriali giuste.

Rings of Power si presenta così al suo esordio come una messa in scena corale, in cui ogni popolo ha i suoi personaggi di punta, su cui si sviluppano vicende autonome, destinate presumibilmente a incrociarsi con lo scorrere degli episodi, tra adesione alle Appendici dei racconti di Tolkien – da cui, ricordiamo, è tratta la maggior parte delle vicende, non avendo i diritti sul Silmarillion – e invenzione. Ci troviamo dunque a fronteggiare almeno quattro storie parallele: Elrond nelle miniere di Khazad-dûm al cospetto del principe Durin e nel suo ruolo di politico, Galadriel nell’inedita veste di guerriera alla ricerca di vendetta, i pelopiede che hanno la loro protagonista in Elanor una piccola hobbit che per curiosità ricorda Bilbo Baggins, e l’elfo silvano Arondir, legato all’umana guaritrice Bronwyn.
Le premesse per una grandiosa serie ci sono tutte; eppure qualcosa non convince del tutto: la sceneggiatura non perde tempo e ci porta subito nel vivo delle azioni ma, forse proprio per questo, alla fine del secondo episodio, sentiamo la mancanza di qualcosa.
Il primo episodio, dopo un prologo incredibilmente avvincente, che ci regala una brevissima sequenza di guerra perfettamente degna della trilogia di Jackson, va in calando e arranca nel ritmo, contraddicendo la densità narrativa da cui è caratterizzata: vengono messe in scena molte cose importanti, personaggi, avvenimenti ma anche oggetti, che sicuramente avranno un ruolo cruciale negli sviluppi successivi ma, quasi, non si ha il tempo di godersi gli accadimenti che subito ci si ritrova proiettati nella storyline di un altro personaggio. Il tutto, anche se il cambio-scena è ben chiaro grazie ad una mappa del mondo di Arda, rischia di risultare dispersivo e, a tratti, purtroppo, noioso. Lo spettatore non è ancora affezionato ai personaggi per potersi emozionare di fronte a tutti gli archi narrativi presentati e certe scene action, sicuramente meravigliose, non riescono ad impattare emotivamente lo spettatore, proprio perché ancora non si ha avuto modo di empatizzare con i protagonisti principali.

Nel bilancio complessivo, dunque, i primi due episodi si presentano con buone premesse per gli sviluppi futuri e ci sono moltissimi elementi degli scritti di Tolkien a cui viene data un’immagine per la gioia (o il dolore, in certi casi) di una certa nicchia di esperti e appassionati dell’universo di Arda; al contempo, non è necessario aver letto Tolkien per poter apprezzare la serie, che si presenta, dunque, accessibile a quel grande pubblico per cui, alla fine, è pensata. Questi due episodi per la loro scrittura e struttura risultano però essere, nel bilancio complessivo, meno accessibili rispetto alla trilogia di Jackson, che per un film intero ha incentrato il focus dello spettatore su un unico arco narrativo, risultando più semplice e, in seguito, più accattivante.

Consci dell’incomparabilità dei due formati, rimandiamo però, come doveroso, il giudizio complessivo ai prossimi episodi, contenti di aver visto in questo esordio un ottimo materiale che speriamo possa svilupparsi al meglio, nella difficile impresa di accontentare la vastità di pubblico a cui si rivolge.
Dal 2015 Birdmen Magazine raccoglie le voci di cento giovani da tutta Italia: una rivista indipendente no profit – testata giornalistica registrata – votata al cinema, alle serie e al teatro (e a tutte le declinazioni dell’audiovisivo). Oltre alle edizioni cartacee annuali, cura progetti e collaborazioni con festival e istituzioni. Birdmen Magazine ha una redazione diffusa: le sedi principali sono a Pavia e Bologna
Aiutaci a sostenere il progetto e ottieni i contenuti Birdmen Premium. Associati a Birdmen Magazine – APS, l‘associazione della rivista
[…] Wayne Che Yip, è arrivato su Amazon Prime Video una settimana dopo l’uscita in contemporanea dei primi due in cui sono stati introdotti il mondo di Arda e le storyline dei diversi protagonisti destinati ad […]