
Westworld 4 – Un ultimo gioco
Questa recensione è senza spoiler. | Quando gli spettatori americani, il 26 giugno scorso, hanno iniziato la visione di The Auguries, il primo episodio della stagione 4 di Westworld, le aspettative non potevano essere più basse. La terza stagione della serie HBO, radicalmente diversa dalle prime due, non aveva convinto la critica né il pubblico, come dimostrava il calo drastico di audience negli ultimi episodi. In che modo, dunque, riprendere le fila del discorso e ritornare ai fasti delle prime stagioni?

Fase 1 – Distruggere tutto
Lisa Joy e Jonathan Nolan hanno deciso di ripartire facendo tabula rasa. Significativamente, oltre a essere una delle scelte più importanti portate avanti dagli showrunner, l’idea dell’annientamento e della distruzione totale è anche uno dei nuclei narrativi su cui poggia l’intera stagione. Lungo il corso di questi otto episodi si percepisce una continua tensione, un equilibrio continuamente messo alla prova e destinato a esplodere tra personaggi che vogliono (ri-)costruire e altri che vogliono distruggere: Hale, che plasma la realtà secondo i suoi desideri dando forma al suo nuovo inquietante ordine, e William, da sempre agente del caos, che non sa resistere alla tentazione dell’anarchia e della violenza. La perfezione marmorea ma ingannevole dell’ordine e la ferocia brutale e disinteressata del disordine; l’apollineo e il dionisiaco: i due poli attraverso cui si muovono i personaggi di Westworld. Ricorrendo alle stesse parole di Nietzsche, l’istinto degenerante dell’apollineo, il tentativo di dare un senso e una forma comprensibile alla realtà, si scontra con l’affermazione suprema della vita e dei suoi istinti più profondi, compresa l’autodistruzione.

In questa stagione il lavoro sui personaggi è davvero di alto livello, sia da parte degli scrittori che da parte degli attori: Thandiwe Newton restituisce a Maeve la grazia e la potenza con cui l’abbiamo conosciuta, mentre Aaron Paul colpisce per la sua performance precisissima anche nei momenti più intensi. La vera sorpresa è la giovane Aurora Perrineau: nel ruolo della misteriosa C sa governare con naturalezza e sensibilità alcune delle scene più complesse ed emozionanti della stagione.
Fase 2 – Tornare all’inizio
Un altro fattore che permea su vari livelli la quarta stagione di Westworld è la circolarità. Una circolarità che è innanzitutto di natura temporale: fin dall’inizio, uno dei personaggi sa già come la storia andrà a finire e ne conosce ogni possibile risvolto. A un livello più profondo, questa circolarità diventa ricorsività (consapevole) di meccanismi narrativi: soprattutto nei primi episodi, vengono riproposte e sfruttate alcune dinamiche tipiche della prima stagione della serie. Alcune scene vengono ricreate quasi identiche, riprendendo certi momenti chiave della storia che già conosciamo, ma cambiandone il contesto o la finalità. È un gioco delicatissimo e rischioso per gli autori che però riescono a portarlo a termine, imbastendo una struttura quasi frattale, fatta di scelte narrative che si replicano e germinano l’una dall’altra.

Diventa così più chiaro il piano originario di Joy e Nolan, che si estende su cinque stagioni: in questa, assistiamo a un chiarissimo rovesciamento speculare della situazione che veniva raccontata nelle prime due. Umani e androidi si scambiano di posto, il parco e la realtà si sostituiscono gli uni agli altri: è un’autentica metanoia (parola che non casualmente è il titolo del penultimo episodio della stagione), un ribaltamento totale di prospettiva. Rispetto alla non molto brillante terza stagione, qui si fa un deciso passo in avanti. E paradossalmente, ma in modo molto coerente con la sensibilità dei fratelli Nolan, questa manovra riesce proprio perché si decide di tornare indietro, nel luogo dove tutto è iniziato: per andare avanti, bisogna muoversi all’indietro.
Fase 3 – Raccontare una storia
Tu sei reale perché i tuoi pensieri sono reali.
Alla base di Westworld c’è sempre stata una domanda: cosa ci rende umani? La coscienza era la risposta fornita dalle prime stagioni. Ora la coscienza non basta più: servono le storie. La salvezza, l’ultima speranza per l’umanità e per gli androidi risiede qui, nella capacità di raccontare. Tutta questa quarta stagione è tramata di storie: storie che consolano, storie che creiamo o che ascoltiamo e ci plasmano, definendo le nostre scelte. Storie che come fili di un’unica ragnatela uniscono i personaggi, danno loro una motivazione, muovono la trama in avanti.

Però conta anche come si narra una storia, e da questo punto di vista Westworld mostra una sottile debolezza. A tratti si ha la sensazione che questa stagione sia quasi una bozza, un cartone preparatorio per qualcosa di più ampio che però non si realizza. Sicuramente una delle cause è la diminuzione di ascolti e budget, ma d’altra parte Westworld dà il meglio di sé quando si concentra sulle relazioni tra i personaggi, sulla cura dei dialoghi e dei minimi movimenti del suo grande meccanismo narrativo a orologeria. L’episodio migliore infatti è il quarto, Generation Loss, esattamente al centro della stagione di cui costituisce il nodo focale, mentre gli episodi iniziali e finali sono leggermente più deboli.

Nel complesso, la quarta stagione di Westworld porta a compimento nel modo migliore la metanoia già cominciata nella terza, ritrovando la potenza e l’eleganza che sembravano perdute. Questa serie è cambiata, è diventata qualcosa di profondamente diverso e ne è consapevole: si torna al parco originale, che però è ormai solo una finzione, un ultimo gioco. Non si tratta più quindi di fuggire dalla finzione verso il reale, ma di camminare dal reale in una finzione che forse è solamente una nuova forma di realtà.
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