
A posteriori: quattro sguardi (più uno) sul Torino Fringe Festival
Decima edizione per il Torino Fringe Festival, format ormai celeberrimo per gli addetti ai lavori e non solo attorno al teatro-off (leggi: alternativo alle grandi produzioni) e alle arti performative. Un mese di eventi diffusi a tema Extravaganza ha invaso la città di Torino: il nostro sguardo, arrivato in città il penultimo weekend di festival, si è posato su quattro performance (più una).

Dal Sottosuolo – Underground. Dittico Dostoevskij: Atto I – Uccideresti l’uomo grasso? – Atto II – G.I.
Il Mulino di Amleto – Torino
Due performance interattive: la prima un vero e proprio quiz a premi con il coinvolgimento del pubblico, la seconda un dj set in piena regola, entrambe tratte da opere dell’autore russo, Delitto e castigo e Il grande inquisitore (capitolo de I fratelli Karamazov). Una commistione unica e molto potente quella che decide di portare in scena la compagnia torinese, pur attraverso una solo apparente leggerezza e semplicità operativa. Difficile non ridere all’inizio del quiz in cui due concorrenti si sfidano nel far decidere al pubblico chi salvare da morte certa tra una rosa di cattivissimi “celebri”, ma è proprio l’effetto straniante quello che sembrerebbe ricercare Francesco Gargiulo, che da conduttore guascone si trasforma ai nostri occhi in vero e proprio potenziale aguzzino, e noi con lui. Riprendersi dallo shock finale sembrerebbe tutto sommato fattibile all’inizio del rilassante dj set di Barbara Mazzi, ma la tranquillità non è di casa tra le pagine dostoevskiane, non può esserlo quindi nemmeno nella seconda performance a esse dedicata: l’incredibile operazione sul Grande Inquisitore, difatti, cerca di unire multimedialmente il testo originale alla realtà più recente, senza per questo mai scendere nel didascalico. Attraverso interviste, proiezioni, videoscrittura, suoni, movimenti di scena dell’unica protagonista viene trasfigurato il dolore umano, nella sua forma più pura (eccolo, Dostoevskij), intima e allo stesso tempo universale. Difficile da descrivere dettagliatamente, esperienza da fare.

Cazzimma&Arraggia
Sacco Zavatto/Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini – Napoli
Il sogno divenuto realtà più grande di tutti i tempi per qualsiasi napoletano che si rispetti: Diego Armando Maradona viene acquistato nell’estate del 1984 e passa così dal Barcellona al Napoli. Chi furono gli artefici del miracolo? Errico Liguori e Fulvio Sacco danno volto e voce ai due dirigenti impegnati nell’estenuante trattativa che cambiò per sempre la storia del calcio italiano: un’ora di brillante teatro di parola, dove comicità, suspence, frustrazione, euforia vedono un alternarsi di situazioni paradossali e grandi momenti drammatici. I due protagonisti fanno immaginare con la loro bravura due, a tratti anche tre intere città, i loro abitanti, le loro culture, i loro sogni, il tutto con pochissimi oggetti di scena e molto, molto talento. Difficile non rimanere incollati a questa breve (ma non per questo meno intensa) epopea calcistico-manageriale, e non solo perché Maradona è Maradona: sublime ed intelligentissimo modo di far entrare lo sport in teatro, senza ricorrere a chissà quale riferimento diretto. Se è vero che due uomini in una camera d’albergo hanno scritto la storia del Napoli, così due attori in un una stanza buia riescono ad aprirci mondi coloratissimi e inesplorati dal teatro. Appassionante è dire poco: meriterebbe uno sviluppo teatral-seriale.

r/Place. Uno screenshot dell’umanità
Matteo Sintucci – Torino
Tra lo storytelling e la performance multimediale, r/Place tocca mondi inesplorati dal teatro canonico: che ne è delle storie che su internet nascono, crescono, muoiono? Come raccogliere e narrare la nuova epica che nasce dalla medialità contemporanea? Sembrerebbe bastino un telo bianco, un computer, un proiettore e un microfono. Più un’idea geniale, come quella di Matteo Sintucci, unita a quella degli sviluppatori di Reddit, che nel 2017 lanciano per 72 ore una gigantesca tela bianca modificabile un pixel alla volta ogni cinque secondi con una tavolozza di sedici colori. Quel che ne viene fuori, magistralmente raccontato dal nostro cantastorie 3.0, è un affresco fedelissimo e quindi a tratti terribile dell’umanità, attraverso un percorso narrativo e visuale del quale possiamo avere vivida e diretta conoscenza attraverso un’ulteriore tela bianca, uno schermo, che ricalca spesso quello redditiano creando relazioni tra milioni di utenti anonimi, noi, e i media-attori/mediatori che ci portano a conoscere una storia unica e irripetibile, come tutte quelle degne di essere raccontate.

IO//ODIO. Apologia di un bulloskin
Santibriganti Teatro – Torino
Luca Serra diretto da Maurizio Bàbuin si confronta faccia a faccia con il duro testo mimetico di Valentina Diana, un vortice sempre più profondo di odio razziale, sociale, umano. L’idea alla base del monologo destabilizzante e quasi documentario, che si inserisce come primo capitolo in una trilogia sulle origini e le conseguenze odierne dell’odio, è proprio quella di entrare dentro la camera di uno streamer di contenuti filonazisti, in qualche modo cercando di penetrare anche la sua mente e i meccanismi dietro i quali certe convinzioni violente nascono. Argomenti e temi difficilissimi da toccare senza retorica, ma che in questo caso risultano restituiti privi di giudizio in tutta la loro manifesta problematicità: l’odiatore, alla fine (e quindi fin dall’inizio), non può per definizione non odiare se stesso, non può evitare in nessun modo l’autodistruzione, sembrerebbe dirci quest’indagine teatrale potente e sui generis, ma interroga come spettatori (gli stessi della presunta diretta che il protagonista porta avanti per l’intera durata dello spettacolo) noi tutti, come potenziali odiatori e, soprattutto, come responsabili sociali del destino degli odiatori stessi.

La stanza
Asterlizze – Torino
Performance per una persona alla volta, da fruire in Virtual Reality, che catapulta lo spettatore in una stanza appunto, ricreata in digitale con l’aggiunta di alcuni elementi video-sonori animati: ripercorrere una biografia e un periodo storico non è semplice, ma la restituzione di un’esperienza privata, sociale, familiare al femminile valorizza la scelta dell’ambientazione, di woolfiana memoria. Incoraggiante vedere sviluppi impegnati rivolti a tecniche performative d’avanguardia.
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