
A 100 anni dal Nosferatu di Murnau – Considerazioni post-pandemiche
L’iconografia del covid-19, a due anni dall’esplosione virale e nell’ambito di una nebulosa fase post-pandemica, accumula immagini su immagini ancora confuse. Lo strumentario di contenimento, mappe geografiche virtuali, i volti degli esperti sugli schermi televisivi. Manca però “l’immagine della pandemia” quella principale raffigurazione del covid che ci permetta di vederlo e riconoscerlo, e che non si limiti a descriverlo tramite i suoi strumenti di difesa e deterrenza. La crisi pandemica sembra priva del suo portatore, di un mandante visibile alla popolazione colpita dalla sua presenza. Ricorre quindi con un certo tempismo il centenario dalla prima proiezione pubblica de Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens) di Friedrich Wilhelm Murnau, proiettato al cinema Marmorsaal nel giardino zoologico di Berlino il 4 marzo 1922. Il capolavoro di Murnau, a pieno titolo una delle opere esemplari dell’espressionismo tedesco, ebbe il potere di riuscire a cogliere lo Zeitgeist dell’epoca rappresentandolo sullo schermo, proiettando l’immagine fedele del malessere della Repubblica di Weimar.
Una delle storiche locandine del film ritrae il Conte Orlok sulla prua della nave con lo sguardo dritto verso il suo nuovo investimento immobiliare, un nuovo mondo da infestare con la sua oscura presenza. E se il banale parallelismo tra la peste condotta da Nosferatu e la pandemia del nuovo millennio non sembra sufficiente, l’attenzione va rifocalizzata sul volto e la figura del Conte, immagine marcescente ma puntuale del primo Novecento tedesco. Murnau ha saputo dare forma alle inquietudini e le paure del senso comune, conferendo al timore per “l’altro”, alla diffidenza e al soggiacente bisogno di rivalsa collettivo un carattere antropomorfo ma deviato, un non-umano che dell’umanità conserva solo le più corrose macerie organiche.

Le vicende produttive del film meritano un paragrafo tutto proprio. L’enorme interesse di Murnau per l’adattamento del romanzo di Bram Stoker Dracula, riferimento letterario imprescindibile per tutta la storia del cinema a venire, lo spinse a ignorare la negata concessione dei diritti d’autore da parte della famiglia dell’autore e a evadere, o meglio aggirare, la legge adottando una serie di stratagemmi narrativi e sostanziali per la trasposizione. Cambiò nome al Conte Dracula in Orlok e ambientò le vicende a Wisborg e non a Londra. Questo non gli impedì di venire citato in giudizio, condannato a distruggere tutte le pellicole esistenti – riuscì a salvarne alcuni negativi – e di mandare in bancarotta la Prana-Film. La piccola casa di produzione, fondata nel 1921 da Enrico Dieckmann e dall’occultista-artista Albin Grau con l’intento di occuparsi di opere a carattere soprannaturale, si interessò a Nosferatu perché il vampiro come figura occulta ricordava a Grau il periodo di guerra vissuto attorno al 1916.

Le modifiche più rilevanti apportate da regista e produttore sganciarono l’opera di Murnau dai limiti della trasposizione per innervare legami ulteriori col mondo, vero originale di riferimento. La trasmissione dell’epidemia di Peste, fatta circolare per mezzo dei ratti condotti nel fittizio borgo della Germania settentrionale, non era presente nel romanzo ma permette a Murnau di amplificare la natura maligna di Nosferatu “viralizzando” la sua indole parassitaria in un meccanismo scenico pandemico. Di rimando, la figura del cacciatore di vampiri Van Helsing viene quasi completamente eliminata – se non per la pallida presenza del professor Bulwer: alla minaccia non corrisponde una contro-minaccia, un eroe, perché Nosferatu altro non è che il doppelgänger negativo della popolazione, di Hutter e di Ellen.
Ellen è una figura ambigua, governata da un moto di attrazione e repulsione per il nuovo vicino di casa, ed è proprio sulle ambiguità degli esseri umani, sulla doppiezza della loro moralità che prende forma Nosferatu. Tutta la pellicola ruota attorno all’Unheimlich (il perturbante) come verità, alla coabitazione nella natura umana di ciò che ci è familiare e ciò che non gli assomiglia per nulla. La figura del Conte è Unheimlich, una forma regressiva di uomo, interpretato da un allucinato Max Schreck munito di mani lunghe e artigliate e di un volto animalesco (ispirato a creature ripugnanti come ratti e pipistrelli).

La sua modernissima creatura del male è uno degli elementi che iscrive il Nosferatu di Murnau nella lista dei film-manifesto dell’espressionismo tedesco. La realtà oggettiva e naturale viene nel cinema espressionista rimpiazzata da mondi irreali, distorti e atmosfere allucinatorie, così come le nuove creature emerse da un universo fatto di ombre – copia delle realtà ai margini della gradevole società borghese – vengono potenziate dalle possibilità del cinema. I rudimentali effetti speciali del “cinema delle attrazioni” vengono dunque riadoperati per dare conto di una contemporaneità molto confusa e sempre più fedele alla magia, alla superstizione e al mondo dell’occulto. La distorsione del segno, paradigma formale della corrente artistica, in Murnau è molto meno intrusiva rispetto al cinema espressionista puro come quello de Il Gabinetto del Dottor Caligari di Robert Wiene: la realtà messa in scena da Murnau non è distorta nel suo complesso estetico ma vive di contraddizioni e di contrasti. Murnau semina nella natura che circonda i protagonisti e nei personaggi stessi i germi dell’ambivalenza, così come i pochissimi cartelli che intervallano il film ci fanno da monito, mettendoci in guardia su un nemico impalpabile ma esteso a macchia d’olio nel circondario.

La stessa disfatta di Nosferatu si compie sul terreno dei contrasti. La morte del vampiro per mano della luce dei raggi solari è la più longeva delle invenzioni di Murnau, tanto da diventare parte della mitologia vampiresca negli anni a venire. L’espediente ingegnoso rimanda anche alla luce in quanto ingrediente imprescindibile del cinematografo, in grado di rappresentare e forse risolvere le incongruenze del reale col potere della finzione.

Nosferatu, creatura capofila tra i “mostri” apparsi su grande schermo, è la raffigurazione dell’incapacità di comprendere razionalmente gli eventi tragici e del disperato bisogno creativo di dar forma all’irrazionale. Come elaborare creativamente i problemi della contemporaneità? Che forma dare al “mostro” di cui non si conserva neppure l’oscura silhouette sulla parete?
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