
Genova 21 – Uno spettacolo che guarda in faccia il pubblico | G8 Project
G8 Project – Il mondo che abbiamo è una rassegna organizzata del Teatro Nazionale di Genova nell’autunno 2021, pensata per riflettere sui primi 20 anni trascorsi dai fatti del 2001. La Sezione Teatro di Birdmen Magazine ha seguito il progetto da vicino. Ecco le nostre recensioni.
Genova 21 – Uno spettacolo che guarda in faccia il pubblico
Tra gli altri, è andato in scena lo spettacolo Genova 21, scritto, diretto e interpretato da Fausto Paravidino. Definito dall’autore: «una specie di diario del presente in forma teatrale», è un’opera sui generis che si distacca molto dalle altre proposte della rassegna.
Si potrebbe definire uno zibaldone di riflessioni su questi ultimi vent’anni; pensieri che prendono di volta in volta il tono della conferenza, del dibattito o del resoconto storico («è già storia, il G8 di Genova?» viene da chiedersi), mentre la forma passa fluidamente del monologo in proscenio al dialogo, fino a un’ipotetica intervista doppia all’uomo del ‘900 e all’uomo del XXII secolo.

La scenografia è essenziale: quattro sedie, un tavolo, due microfoni con asta e una postazione per il tastierista. Alle spalle delle cinque persone in scena si staglia un gigantesco led wall – elemento che ricorre in tutti gli spettacoli del G8 Project – su cui viene proiettato una sorta di reportage per immagini delle scene più incisive del racconto. Un racconto che viene di tanto in tanto intervallato da registrazioni audio delle manifestazioni del luglio 2001 e delle dichiarazioni dell’allora presidente della Repubblica; è un escamotage che riesce a dar conto di quale fosse l’atmosfera di quei giorni, ma offre anche una pausa a chi è in sala, uno spazio per lasciar sedimentare ciò che sta vedendo e ascoltando.

Il rischio era di dar vita a una miscellanea sgangherata, retorica, pretestuosa nei collegamenti fra quel passato e il nostro presente di pandemia.
Ma ciò non avviene, poiché la fitta trama di argomentazioni è imbastita in modo da convergere verso quel nodo centrale che sono i fatti di Genova, da cui si dipanano temi attuali all’epoca come oggi: il rapporto tra potere e violenza, l’ideologia capitalista e le derive catastrofiche per il clima, la testimonianza delle vittime e la distanza che vogliamo mettere tra noi e loro, le possibili alternative all’individualismo di chi pensa a sopravvivere a uno status quo senza metterlo in discussione. Il tutto senza il presuntuoso artificio di trovare collegamenti e simmetrie con il presente poiché, parafrasando le battute finali, la storia non si ripete, e non bisogna ricordare il G8, ma analizzare come in tutti questi anni non si è fatto niente per cambiare in meglio la traiettoria politica, culturale e sociale, su scala tanto nazionale quanto globale. L’intenzione sembra, allora, piuttosto quella di mettere in luce la complessità della nostra epoca e le sue contraddizioni che vengono offerte allo spettatore brutte, così come sono.

Il rischio di una retorica stucchevole è evitato grazie all’abilità di Paravidino nella scrittura – diretta ironica e senza orpelli -, come anche alla bravura degli e delle interpreti, capaci di agire senza affettazione, ma con grande naturalezza e ascolto reciproco. Si ha l’impressione di vedere in scena dei non-personaggi: persone che non stanno recitando, ma semplicemente ragionano fra loro utilizzando il teatro e l’arte attoriale per passare al meglio un messaggio sentito come autentico.
La volontà di confronto e discussione non si palesa solo tra gli attori e le attrici, ma anche con il pubblico che viene chiamato in causa, guardato e interpellato, fosse soltanto perché la sala resta illuminata per l’intera durata dello spettacolo.
L’intenzione non sembra mai quella di indottrinare ed è anzi chiara la volontà di proporre nuovi spunti e domande. Il finale si rivolge, però, più direttamente alle forze di polizia, e per estensione a tutto pubblico in sala, per promuovere due proposte precise: in primo luogo estirpare la tendenza istintiva alla violenza, al paternalismo e all’autoritarismo, in ragione di un rinnovato senso di responsabilità umana e politica; in secondo luogo smettere di pensarci come singoli individui isolati, per provare invece a trovare soluzioni a partire da un processo collettivo.
Paravidino sembra dire: «Io sono arrivato fino a qui, come possiamo proseguire, insieme?» .
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