
Maya Deren, pioniera del cinema sperimentale americano
È il 1946 e al Provincetown Playhouse, nel quartiere Greenwich Village di Manhattan, c’è un’esposizione dal titolo “Three Abandoned Films – a showing of Meshes of Afternoon, At Land & A Study in Choreography for the Camera“. Le proiezioni ottengono un grande successo di pubblico.
A prenotare il teatro era stata l’autrice dei cortometraggi, Maya Deren. Con grande ironia, aveva deciso di utilizzare il termine “abandoned” riguardo ai suoi film per riferirsi al pensiero di Guillaume Apollinaire secondo cui un’opera d’arte non è mai completa, è semplicemente abbandonata.
L’evento chiarisce il rapporto di Deren con il cinema: il suo è un cinema libero e indipendente, che sfugge alla regolamentazione istituzionale del cinema americano e si colloca in quel territorio liminare fra arti visive e cinema che è il cinema sperimentale. In particolare, Deren fu un’importante promotrice del cinema d’avanguardia statunitense tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Ma fu molto altro: danzatrice, coreografa, attivista, antropologa, fotografa, poeta, teorica del cinema.
Archivio Aperto, il festival di Home Movies, ha recentemente realizzato una rassegna dedicata a Maya Deren, dal titolo Amateur is a Lover. Noi di Birdmen abbiamo assistito alle proiezioni live in 16mm alle Serre dei Giardini Margherita a Bologna, ma la rassegna sarà disponibile su My Movies fino al 27 ottobre 2021.

Da Eleonora a Maya
Maya Deren nacque a Kiev, come Eleonora Derenkowska, nel 1917. Probabilmente sua madre decise di chiamarla Eleonora in onore della celebre attrice italiana Eleonora Duse. Nel 1922 la famiglia Derenkowsky si trasferì per sfuggire alla minaccia dell’antisemitismo in Ucraina (al tempo URSS): arrivarono negli Stati Uniti, a New York, dove cambiarono il loro cognome in Deren.
Negli anni della sua formazione universitaria, Deren studiò giornalismo e scienze politiche alla Syracuse University; si trasferì poi alla New York University, dove si laureò in letteratura nel 1936. Nel 1939 completò un Master in letteratura inglese e poesia simbolista allo Smith College. Una volta finiti gli studi, Deren lavorò come assistente per la famosa ballerina e coreografa Katherine Dunham. A Los Angeles, nel 1941, incontrò il regista cecoslovacco Alexander Hammid. In collaborazione con Hammid, Deren girò il suo primo film sperimentale, Meshes of the Afternoon (1943), con una Bolex 16 mm.

Il 1943 fu un anno fondamentale per Deren. Tornò a New York, sposò Hammid (da cui poi divorzierà, sposando in seguito il compositore Teiji Ito) e si concentrò particolarmente sulla sua carriera registica, cambiando il suo nome in Maya. Un nome carico di significato: per i buddisti, Maya è sia il nome della madre del Buddha storico, sia simbolo della natura illusoria della realtà; nella mitologia greca, Maya è la madre di Hermes, il messaggero degli dei.

I film
Meshes of the Afternoon introduce temi chiave della filmografia di Deren. È ciò che Thomas Schatz considera il primo esempio di psicodramma poetico, vale a dire un film onirico, che affronta questioni di identità sessuale, mostra tabù e immagini scioccanti e usa il montaggio per liberare la logica spazio-temporale dalle convenzioni del realismo di Hollywood.
Meshes of the Afternoon è girato come film muto, non c’è dialogo tra i personaggi o suono diegetico. La colonna sonora composta da Teiji Ito è stata aggiunta solo nel 1959: il ritmo dato dal montaggio, che nasce dal gioco di ripetizione e variazione tipico degli esperimenti narrativi di Deren, viene accentuato dal ritmo della colonna sonora. Il ritmo del suono, del movimento e del montaggio concorrono a produrre nel pubblico l’effetto di quello che Adams Sitney chiama trance film. È anche l’atmosfera stessa a permettere una tale definizione: è l’atmosfera di un sogno – o meglio, un incubo – in cui quattro alter ego della regista sono coinvolti in un conflitto interiore e in un inseguimento ossessivo. Lo spazio domestico soffocante e l’enfasi sulla circolarità danno un senso di inquietudine e alienazione che si ritrova spesso nei film degli “esiliati”.
Deren si è sempre mostrata sfuggente al rientrare nelle categorizzazioni. Rifiutava ogni interpretazione psicanalitica, malgrado l'(involontario?) inserimento di elementi autobiografici; rifiutava la definizione di surrealista, nonostante sembri innegabile una certa affiliazione con il surrealismo, e quella di formalista, sebbene l’approccio al cinema che si evince dai suoi testi di teoria sia molto vicino alla logica dei formalisti russi.

Tralasciando l’incompiuto Witch’s Cradle con Marcel Duchamp, il secondo film sperimentale di Deren è At Land (1944). Un altro film onirico, un viaggio alla ricerca della propria identità, in cui la regista rafforza il suo interesse per la giustapposizione di spazi anacronistici e introduce una critica dei rituali sociali. Tale critica si fa più esplicita in Ritual In Transfigured Time (1946), dove il rituale diventa performance nei movimenti sempre più fluidi della ballerina Rita Christiani. La fluidità era stata già un elemento cardine di A Study in Choreography for Camera (1945), un cortometraggio di soli tre minuti in cui Deren – al di fuori dello spazio e del tempo, con la camera che ruota di 360 gradi – indaga il rapporto tra movimento, spazio e macchina da presa con il ballerino e coreografo Talley Beatty. Al contrario, tra rallentamenti, fermi immagine e reiterazioni prende vita Meditation on Violence (1948), dove il dinamismo della macchina da presa è sostituito dalla performance del boxeur cinese Chao Li Chi.
L’ultimo film che Maya Deren riuscì a portare a termine prima della sua morte, avvenuta nel 1961, è The Very Eye of Night (1958), una collaborazione con la Metropolitan Opera Ballet School. Nel frattempo, Deren stava lavorando anche a un ambizioso progetto sul rituale Voudoun (voodoo) nella cultura haitiana: Divine Horsemen. The living God of Haiti uscirà postumo, nel 1977, montato dal marito Teiji Ito e dalla sua nuova moglie Cherel.

La fascinazione di Deren verso le tradizioni e i rituali haitiani era nata dalla sua collaborazione con Katherine Dunham. Tra il 1947 e il 1954, Deren compì tre viaggi ad Haiti: in totale, vi soggiornerà per 21 mesi. Nel corso delle sue visite non solo girò quattro ore di materiali – con la macchina da presa, profondamente immersa nella comunità, cattura principalmente le danze, le cerimonie di possessione, le feste – ma fu soprattutto strettamente coinvolta nel rituale, diventando la prima donna bianca ad essere iniziata alla religione voodoo.

Pioniera del cinema sperimentale, Deren fu di ispirazione ad Amos Vogel per la fondazione del ciné-club Cinema 16. La sua eredità è stata fondamentale anche nell’esperienza del New American Cinema. Ancora oggi, il suo cinema continua ad affascinare gli aspiranti registi sperimentali, e ogni rassegna, ogni riscoperta, ogni proiezione in pellicola delle sue opere è un’occasione da non perdere, per entrare in quel cinema sperimentale che in Maya Deren troverà sempre una fonte di ispirazione, uno sguardo alternativo.
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