
Fashionista: sinestesie di una psicosi
Distribuito in Italia dalla nuova etichetta di natali italiani The Dark Side Of Movies, in collaborazione con il Ravenna Nightmare Film Festival e la piattaforma streaming CINEMAF, il film Fashionista (2016), diretto da Simon Rumley, è lontano dal poter essere identificabile in un genere preciso, come ben promesso dal suo regista, noto nome del cinema indipendente, famoso per spaziare liberamente, proponendo sempre soluzioni ibride.
La protagonista April (Amanda Fuller), insieme al marito Eric (Ethan Embry), possiede un negozio di vestiti di seconda mano ad Austin, Texas. Quando scopre che lui la tradisce con un’amica e collega, April inizia una relazione con un uomo conosciuto in un bar, Randall (Eric Balfour), che si rivela però sempre più pericoloso e la trascina in inquietanti ed estremi giochi di perversione.
Dietro a questo plot in perfetto stile thriller, aleggia in realtà un’attitudine che si rivela il vero elemento cardine della pellicola: la protagonista è infatti ossessionata dai vestiti, dal loro odore e dalla sensazione tattile che ogni tessuto porta con sé. Questo aspetto è talmente saliente nel film che viene costantemente sottolineato ogni volta che April ha a che fare con un capo d’abbigliamento, grazie a riprese ravvicinate delle sue mani che accarezzano gli abiti che indossa, oppure primi piani ricorrenti dei vestiti che si stringe alle narici prima di provarli.
Ma non è solo quella di April la dipendenza rappresentata nel film: il sesso ha un ruolo decisivo e regola praticamente ogni evento della pellicola, come elemento di squilibrio delle situazioni contrapposto alla sicurezza che i vestiti rappresentano per April.
Interessantissimo è anche il parallelismo tra il piccolo appartamento di April ed Eric, stretti tra scatoloni e ammassi di vestiti, e l’abitazione ultramoderna di Randall, spaziosa, ariosa e arredata in stile minimalista. Se il disordine nelle vite di Eric ed April è quantomeno manifesto, non è lo stesso per la vita di Randall, che attira April in una trappola di finte sicurezze per poi rivelare, solo in un secondo momento, una serie di inquietanti attitudini. Tra una scena e l’altra, il film acquista sempre più corpo e si addentra in territori oscuri, mettendo in scena in modo sempre più esplicito l’evoluzione della psicosi di April e delle sue conseguenze.
Il film è costruito su salti temporali: un susseguirsi di flashback e flashforward che si distinguono per il tono di colore saturato nell’immagine. Le parti dedicate alla vita con il marito Eric sono generalmente luminose e saturate sul colore rosa, quelle con protagonista il misterioso Randall sono invece caratterizzate da toni più freddi e cupi, scene al buio e generalmente saturate di colore verde. A queste due realtà che si alternano, se ne aggiunge una terza: quella di una donna alta e magra, dai lunghi capelli scuri, che si aggira prima tra le stanze di un ospedale psichiatrico, poi tra le strade di Austin e infine nel negozio di vestiti di April. Le scene di questa terza parte, inframezzano le due serie di sequenze precedenti e sono caratterizzate da colori spenti e neutri, contrasti bassi, come ad appiattire completamente l’impatto dell’immagine.
Nessuna sequenza si conclude prima di essere interrotta da un’altra, senza soluzione di continuità. L’impianto è intenzionalmente più evocativo che narrativo ed è questo a fare la forza indiscutibile di questo film. Passare da una sequenza a un’altra, prestando così tanta attenzione ai toni, ai colori, ad accelerare o rallentare una sequenza è segno di enorme conoscenza della materia che si cerca di governare.
Anche la musica ha un ruolo fondamentale per la potenza evocativa di questo film. Basti pensare a una delle sequenze iniziali in cui vista e udito si incontrano magistralmente: la protagonista April è ripresa all’altezza della spalla destra e seguita mentre attraversa stanze e corridoi senza che la macchina da presa si sposti dall’inquadratura. A spostare il punto e rendere la sequenza davvero significativa è il montaggio: la stessa ripresa viene effettuata su April vestita con diversi abiti, che attraversa diversi spazi, con diverse canzoni in sottofondo, il tutto montato insieme per una sequenza di circa un minuto che presenta la protagonista senza farcela vedere, ma mostrandoci già il tema principale che il film andrà ad affrontare.
In definitiva, Fashionista è un film che merita di essere toccato e respirato, come uno dei vestiti di cui la protagonista si circonda; un film con una texture ruvida e porosa, che non ha paura di disturbare lo spettatore e di immergerlo in una serie di interrogativi in cui neanche l’identità stessa è più una sicurezza.
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