
Bolzano Danza 2021: Requiem (Sià Karà) tra danza rituale e performance
Il palcoscenico della Sala Grande del Teatro Comunale di Bolzano si presenta vuoto all’inizio di Requiem (Sià Karà). La performance è proposta all’interno del ricco palinsesto del Festival Bolzano Danza 2021; intitolata Swan, la 37a edizione del festival, che si è tenuta dal 16 al 30 luglio 2021, ha invaso i luoghi della città altoatesina: dagli spazi del Teatro Comunale, ai parchi cittadini fino al Museion, il Museo d’arte moderna e contemporanea di Bolzano. Il Festival si è dimostrato anche quest’anno sensibile a favorire il confronto tra passato e presente, lasciando spazio alle più note personalità della scena artistica contemporanea: Olivier Dubois, Chiara Bersani, Silvia Gribaudi, Marco D’Agostin, Alessandro Sciarroni, sono solo alcuni degli artisti ospiti a Bolzano Danza, che portano la danza ai suoi confini, facendola sconfinare nell’ambito liminale delle arti performative. Questa edizione del Festival è incentrata sulla riattualizzazione del repertorio musicale e del balletto classico tradizionale, mettendo in risalto tematiche come la morte e la rinascita, oggi più che mai attuali: Requiem viene infatti idealmente dedicato dai suoi autori a tutte le vittime della pandemia.

L’attore principale all’inizio della performance è il vuoto, rischiarato da fredde luci al neon e riempito solo da una postazione da dj, posta lateralmente. Il palco inizia a riempirsi in modo progressivo, similmente alle platee dei nostri teatri riaperti da pochi mesi. La postazione da dj viene occupata da Matteo Franceschini, il quale dà inizio alla sua performance di musica elettronica in accompagnamento all’Orchestra Haydn. Franceschini ha composto la partitura musicale di Requiem, ispirandosi all’omonima composizione di Mozart, rileggendo in chiave attuale il tema universale della vita che diventa inevitabilmente morte. Sul palco compiono azioni preliminari in preparazione alla danza i ballerini della compagnia cubana MiCompañia: osservano lo spazio scenico, lo occupano con la presenza dei loro corpi, spargono sabbia. Radhouane El Meddeb ha ideato una coreografia che tiene conto del tempo musicale – da cui è indipendente pur essendo sempre in dialogo –, del tempo collettivo dei danzatori, e del tempo personale di ognuno dei partecipanti. I performer non sono solo i ballerini: il palco si riempie anche di alcuni cittadini di Bolzano che hanno scelto di essere coinvolti nel rito collettivo di Requiem.

Il rito prende forma a partire dai gesti spezzati compiuti dai ballerini, che insistono sulle parti più marginali dei loro corpi come le mani e i piedi. Viene più volte ricercato il contatto con il suolo, un aspetto dello spazio spesso dato per scontato, ma che è il fondamento da cui prendiamo le energie necessarie per rialzarci. La sabbia viene sparsa sul palcoscenico, sottolineando l’importanza della terra e della nostra condizione di esseri umani, essenzialmente legati ad essa. I performer coinvolgono i cittadini di Bolzano, rimasti ai margini del palco, abbracciandoli energicamente per ritrovare il contatto fisico perduto e, forse, temuto: il pubblico si rispecchia in loro. I cittadini sembrano ritrovare sicurezza e decisione da questo rinnovato incontro con l’altro da sé: insieme ai danzatori si schierano uno accanto all’altro sul bordo del palcoscenico, occupandolo interamente, e fissano la platea, rivolgendo un invito silenzioso ma convinto a salire tutti sul palco, artisti, cittadini, persone.
La performance rituale ha raggiunto il suo obiettivo: artisti e comparse – che insieme arrivano a una trentina – sono ormai tutti performer, e occupano quindi tutto lo spazio del palco sedendosi per terra. La danza prosegue e fonde elementi propri della tradizione afrocubana e di quella occidentale moderna e contemporanea: il rito collettivo ha la potenza di porre le diversità in un rapporto di scambio reciproco e vitale, che è la base di una nuova vita. Così tutti gli attori della performance sono ora in rapporto tra loro, condividendo un tempo e uno spazio straordinari resi possibili dal rito: hanno raggiunto una dimensione corale, sia a livello fisico sia a livello spirituale. I danzatori guidano i performer verso la conclusione del rito che consiste nell’abbandono del palcoscenico. Questo svuotamento avviene in modo progressivo, proprio come si era riempito inizialmente. Quando un performer si sente pronto a lasciare il palco, ha superato la propria condizione individuale di smarrimento e solitudine, mettendola in comune con l’altro attraverso il rito.

Alla fine, cosa rimane del rito? La sabbia sparsa sul palco e gli spettatori: lo spazio del teatro non appare più deserto come all’inizio, ma riempito da una nuova presenza, anche se invisibile. La coralità che nasce da Requiem unisce gli attori del dramma scenico e punta ad aggregare anche gli attori del dramma sociale, ovvero gli spettatori che partecipano alla performance. Il pubblico diventa consapevole che se la morte è sempre presente nella vita – come celebra il requiem – è necessario vivere accettandola con Sià Karà, un’espressione con cui i cubani esprimono la necessità di rinascita dopo la morte. Il coraggio per farlo è nascosto dentro il singolo, e può essere portato alla luce con l’aiuto dell’altro da sé, attraverso il rito teatrale.

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