
“Californie” di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman | Venezia 78
In una palestra di pugilato, durante le riprese di Butterfly, documentario sulla medaglia di bronzo a Tokyo 2020 Irma Testa, la videocamera di Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman incrocia lo sguardo intenso e determinato di Jamila, una ragazzina emigrata dal Marocco di nove anni. Vuole diventare anche lei una campionessa di pugilato. Durante la fase di montaggio di Butterfly il duo Cassigoli-Kauffman decide di esplorare e di inventare, in parte, la vita dietro quegli occhi, le sue difficoltà e preoccupazioni. Nasce così il progetto di Californie, per caso, seguendo gli scambi di pugni che avvengono nella periferia estrema di Napoli, vicino Pompei, dove Jamila abita.
Cassigoli-Kauffman, nel loro terzo lavoro insieme, quest’anno selezionato alle Giornate degli Autori, non si limitano di definire un arco temporale in cui girare il film, seguono Jamila per cinque anni, vivono insieme a lei il dramma della marginalizzazione, della ghettizzazione, del lavoro minorile sottopagato, dell’isolamento linguistico e scolastico (ma Jamila impara in fretta l’italiano, senza amici o insegnanti), il dramma della separazione familiare per motivi economici: il padre che ritorna in Marocco per ottenere un aumento di guadagno, la madre che per un sacco di pasta rubato viene licenziata dalla padrona.

Sulla vita reale, che potrebbe essere tale per migliaia di migranti senza cittadinanza e un impiego ben retribuito in Italia, Cassigoli-Kauffman innestano l’invenzione, una storia d’amore, i selfie, la parrucchiera, i Tik-Tok di una ragazzina tredicenne. Si capisce bene che i termini documentario e fiction potrebbero essere usati relativamente quando l’idea drammaturgica è tanto vicina alla vita quotidiana, alla sua sensibilità imprevedibile e brusca. Anche il tempo nel film rispetta la realtà che gli sta di fronte, per questo è diviso in quattro capitoli che corrispondono all’età di Jamila che avanza come un conteggio verso la maturità, l’indipendenza, verso l’immagine incipitaria che si apre al futuro.
In Italia l’interesse verso le ultime generazioni di immigrati, gli ambienti marginali e le periferie suburbane, con i problemi, a loro connessi, di criminalità, solitudine sociale, assenza delle istituzioni (basti pensare a Sole di Carlo Sironi, in concorso due anni fa a Venezia) non è cosa nuova, ma Californie, con un approccio documentaristico da film picaresco, lo fa con onestà etica e di sguardo. Le riprese, la maggior parte a mano, non vengono patinate, le parole messe in bocca o improvvisate dai protagonisti attingono da una tragedia che in Italia esiste e deve essere mostrata: il vocabolario e le prospettive sono quelle di persone che costantemente soffrono il conflitto tra la volontà di integrarsi e il rigetto, di questa volontà, da parte dello Stato. Lo sguardo di Jamila non è retorico, colpisce come un pugno, e Cassigoli-Kauffman lo hanno capito.
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