
Il Terzo Reich – La violenza di Romeo Castellucci
“L’abitudine è una cosa meravigliosa” scandisce il titolo di questa VI edizione di FOG, ma Romeo Castellucci – Gran Invité di Triennale Milano fino al 2024 – sceglie di inaugurare la sua collaborazione con l’istituzione milanese con Il Terzo Reich: un’installazione che sembra sovvertire tutto ciò a cui finora l’artista cesenate ci aveva abituati. Una performance che mette a dura prova il pubblico privandolo della possibilità di confrontarsi con un altro essere vivente, lo tramortisce e lo annichilisce lasciandolo solo con suoi interrogativi.
Risvegliare il Terzo Reich
All’entrata ogni persona riceve un paio di tappi per le orecchie: “L’installazione presenta audio a volumi elevati e immagini ad alta frequenza che possono essere sconsigliate a chi è affetto da epilessia e a persone fotosensibili” avvertono i cartelli. Spettatrici e spettatori si preparano.
La performance ha inizio con una figura umana, ieratica e senza volto, che si muove in parte come insetto, in parte come mammifero. Questa creatura ibrida, interpretata da Gloria Dorliguzzo, attira lo sguardo in maniera magnetica, ma non è solo la vista a essere sollecitata: a ogni movimento corrisponde un fruscio, un respiro. I suoni inizialmente fanno da contrappunto alla coreografia, ma volume e intensità vanno crescendo, fino a creare un’atmosfera marziale.

Il rito propiziatorio è terminato: la sacerdotessa ha concluso la sua danza rituale e ci ha lasciati soli, al buio con questi tuoni in sottofondo.
L’installazione prende vita e, sul megaschermo che invade il palco, iniziano a essere proiettati dei sostantivi: a ciascuno corrisponde un suono e un flash di luce sprigionato dalle lettere bianche che si stagliano sullo sfondo nero. Aumenta vorticosamente il ritmo della proiezione e del suono (composto da Scott Gibbons ormai da anni collaboratore fidato di Castellucci) e inizia a sfuggirci la netta distinzione dei singoli termini che irrompono per un istante sul megaschermo per poi volatilizzarsi.
Comunicare la violenza
Assistendo alla performance subiamo l’irruenza di questa sfilata di nomi, proiettati uno dopo l’altro a velocità crescente, finché iniziamo a dubitare della nostra capacità retinica e mnemonica di decifrare e trattenere le parole e, sfiniti, ci accontentiamo di vederle balenare davanti ai nostri occhi per un ventesimo di secondo. Ormai arresi di fronte al faticoso compito di cogliere i singoli sostantivi, decifrarli e contestualizzarli tenendo conto di tutte le possibili implicazioni, restiamo senza fiato e ci lasciamo sommergere dai boati avvolgenti che accompagnano i lampi di luce.
Opporre resistenza a questo bombardamento – che tramortisce i nostri sensi e sembra intorpidire le facoltà cognitive – richiede uno sforzo tale da risultare insensato. L’unica possibilità è cercare di assecondare il ritmo martellante, abbandonarsi senza opporre resistenza.

Forse alzarsi e mettersi a ballare, cercando di autoconvincersi che siamo a una serata con della musica arrangiata in maniera discutibile, sarebbe più rassicurante e ci aiuterebbe a ricordare che, in questo caos, abbiamo comunque un corpo e sta a noi decidere cosa fare, ma non si può. Ormai da mesi abbiamo il divieto di ballare insieme.
Non c’è spazio per la scelta, per il dubbio, per la perplessità o l’indugio: Il Terzo Reich non considera il linguaggio come un ricco patrimonio di cui servirsi con consapevolezza, un ampio insieme di possibilità in cui pescare proprio la parola più attinente al significato che si desidera esprimere, articolare. Nel Terzo Reich la sequenza della totalità dei sostantivi – cioè l’insieme di tutto ciò che può essere nominato – è solo uno dei tanti strumenti che possono essere utilizzati per isolare, annichilire e tramortire l’essere umano.

È soltanto una delle molte forme di violenza possibile, ma ben si presta, vista la sua capacità pervasiva mascherata da volatilità: la singola parola (o erano due?) appare per un istante e poi sparisce, ma il frastuono e il bombardamento complessivo non lasciano scampo e impediscono ogni via di fuga. Sul foglio di sala veniva sottolineata la possibilità di entrare e uscire dal teatro durante l’installazione, ma nessuno osa: siamo inchiodati alle poltrone. Non c’è tregua, non c’è silenzio.
È una lingua meccanica, martellante, univoca, invadente e inevitabile quella del Terzo Reich. Ed è così che Romeo Castellucci sceglie di mettere in scena la violenza della comunicazione, in continuità con il progetto di Triennale Teatro che, con questa IV edizione di FOG, si propone di indagare a fondo il tema del potere: “i suoi meccanismi, il rapporto dominante/dominati e le sue inesorabili dinamiche”.

Abituarsi a Romeo Castellucci
L’abitudine è una cosa meravigliosa e Romeo Castellucci ci ha abituati a un teatro basato sulla totalità delle arti in cui il primato testuale è messo profondamente in discussione e la componente materica, visiva, figurativa e sonora reclama spazio e irrompe prepotentemente sulla scena.
Suoni assordanti, spaesamento, esaltazione, flash accecanti, turbamento: sappiamo, in parte, ciò che ci aspetta quando si tratta di Romeo Castellucci, ma, insieme a queste immancabili componenti (che ne contraddistinguono l’estetica sin dai tempi in cui Societas era ancora Raffaello Sanzio), diamo per scontato anche di trovarci di fronte a corpi, abbondanza di materiali diversi, figure umane e animali.
Ma nel Terzo Reich la materia è quasi del tutto assente, come lo sono le immagini. Resta il buio, il rumore e le parole inevitabilmente svuotate di senso, dato che manca la componente umana che a quel susseguirsi vorticoso di lettere dovrebbe attribuire un significato. Certo, ci siamo noi, il pubblico, ma siamo lontanissimi, barricati dietro le nostre mascherine, isolati nell’impossibilità di percepire come reagiscono le altre persone in sala. Il Terzo Reich è uno spettacolo non umano e asfissiante. Disumano come una dittatura, direbbe qualcuno.
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Romeo Castellucci ©Eva Castellucci
Il Terzo Reich ©Lorenza Daverio
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[…] dei costumi, delle scene, delle luci e dei suoni, Romeo Castellucci da sempre propone un teatro fondato sulla sperimentazione e sulla totalità delle arti. L’esordio di una carriera quasi quarantennale che l’ha reso uno dei regista italiano di teatro […]
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