
Troppa emozione (non) fa male – Su Il metodo Kominsky 3 di Chuck Lorre
Forse è una mia impressione, ma una recente serialità tende, in qualche modo, verso una “emotivizzazione” del proprio linguaggio. Lo dico guardando su Netflix Il metodo Kominsky di Chuck Lorre, che ho recensito già un paio volte: le prime due stagioni hanno raccolto unanime riconoscimento, e di critica e di pubblico; l’accelerazione verso la fine, con l’annuncio di Netflix che questa terza sarebbe stata l’ultima, ha fatto unanimamente storcere il naso.
Mi spiego. Sempre più spesso veniamo a conoscenza o di chiusure improvvise di alcune serie (Utopia, per esempio) o della obsolescenza programmata di altre (qualche titolo? BoJack Horseman basta e avanza). I meccanismi di chiusura dei prodotti, quali che siano, secondo me portano – essendo risultato non delle necessità autoriali ma delle necessità commerciali – a una sostanziale modificazione nella psicologia dell’autore – e così, di riflesso, dello spettatore. La chiusura, che è anche spesso “affrettata” nei tempi velocissimi del mercato, spinge l’autore a una nostalgia in presenza della sua creatura. L’autore vede la fine prima ancora di esperirla e prova già nostalgia. La sciatteria che ne viene è tutta per sovraccarico di emotività; ed è solo lontanissima parente della sciatteria che viene dal male opposto, l’accanimento terapeutico (serie destinate a durare in eterno, come è stato annunciato, quasi, per Elite…). Si tratta, qui, di vero amore.
In Il metodo Kominsky 3 non c’è altro che questo: narrazione sciatta, bucherellata, confusa, piena di errori di trama, di ritrattazioni, di contraddizioni rispetto alle stagioni precedenti, eccetera. Ma regge emotivamente. E la sceneggiatura, il montaggio, la fotografia, la regia, persino la recitazione si trattengono dentro l’atmosfera, perché il nucleo gravitazionale è ad altissima densità emotiva. Sia chiaro: sto esagerando, perché il prodotto è comunque ben confezionato, ma lo scarto percettivo tra prime due e terza stagione è evidente. Ciò che accomuna questo prodotto di Chuck Lorre e il capolavoro di Bob-Waksberg, approfondendo una parentesi precedente, è proprio la minore “preziosità” tecnica e perché no stilistica che viene messa definitivamente in secondo piano dall’urgenza della fine immediata.
Ecco che, se viene accelerato tutto per questioni produttive, o comunque non si viene dato adeguato spazio, un elemento di trama deve far precipitare tutto. Ma qui si parla di una serie non strettamente “narrativa”, di una comedy che gioca proprio sul rallentamento narrativo della vecchiaia; sull’invecchiamento! E allora [spoiler] muore Norman Newlander.
Penso alla storia che un’amica mi ha raccontato qualche giorno fa. Sua nonna, centenaria, ha raccolto delle rondini perché il nido era caduto e si era rotto. Le curerà, insegnerà loro a volare e poi vivrà in loro assenza. “Ma le rondini” – le dice di nuovo – “tornano sempre al luogo in cui sono nate. Chissà se io ci sarò ancora”. Noi siamo quelle rondini, e sfortunatamente la morte del co-protagonista della serie avviene quando noi non guardiamo; anzi: non ci è permesso, materialmente, guardare. Nessuno ha ripreso quella morte.

Non ha più senso guardare la serie. Il pensiero che tutti hanno avuto nell’istante in cui si vede Sandy Kominsky di fronte a una bara è questo. Non ha più senso neanche per chi produce la serie, però! Statene certi. E allora il tono è accelerato, all’insegna di un qualche surrealismo (la presunta bipolarità della ormai ex nuova spasimante di Norman), di gag da cinema di genere (la “questione dell’eredità”), di “intrattenimento” autoriferito (l’abbordaggio di una modella dell’Est Europa e la possibile reicarnazione di Norman nelle pelli di un cagnolino). Sembra quasi che il team creativo, vista l’imminente catastrofe, abbia liberato l’immaginazione: che anarchia sia! In realtà è la morte di Norman ad aver cambiato il tono della serie: per rimuovere il dolore avviene l’euforia opposta. Accelerazione e stravolgimento. L’unico obiettivo è portarla a termine prima che si consumi il buon ricordo.
Chuck Lorre si manifesta attraverso i suoi personaggi deceduti ([spoiler] dopo Norman la Dottoressa Roz Volander, ex moglie di Sandy) nelle vesti della provvidenza. Solo grazie alla precoce fine della serie, solamente di fronte al sacrificio dei personaggi più amati è possibile far sì che Sandy Kominsky, attore mancato per tutta la vita, vinca un premio per l’interpretazione in Il vecchio e il mare, trasposizione dal romanzo omonimo di Hemingway. Non ci si crede fino alla fine. Molti di noi hanno pensato: sarà un sogno. Può darsi: che sia – su quel bilico di morte che in molte Letterature è un allungamento della fantasia creativa – tutto un raro slancio di Norman?
Sto esagerando, per la seconda volta. Ma il punto, per queste serie – così freneticamente portate a termine, con così alte aspettative – è che non è più possibile un discorso critico imparziale, o almeno guidato dall’imparzialità. Perché a linguaggio assorbono il coinvolgimento emotivo. Al critico non rimane che emozionarsi; altrimenti non potrebbe penetrare neanche il livello più superficiale dei significati. L’arte, in questa nuova censura, trova una sua forma per “rimanere”, che è esattamente come se si trattasse di un ricordo di vita vissuta. L’esperienza delle serie diventa esperienza individuale.
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[…] Se una serie può sfaldarsi e rimanere intatta, ossimoricamente, quella serie è Il Metodo Kominsky. Dopo due stagioni brillanti, piene di comicità e tragedia, con un cast a dir poco stellare (Michael Douglas e Alan Arkin i protagonisti), quasi a non volerci credere, a non volerci stare che dovesse tutto finire, Chuck Lorre – creatore, tra le altre cose, di The Big Bang Theory – fa precipitare qualsiasi cosa, fa diventare a tratti surreale un prodotto fortemente radicato, invece, nella quotidianità. Sandy Kominsky affronta puntata dopo puntata i più grandi dolori che un individuo può affrontare, ma si cela dietro l’angolo qualcosa di incredibile, qualcosa che vi farà scaldare il cuore. Non si può dire altrimenti, non una parola di più. Vedete questa terza stagione, rimanetene confusi, piangete a dirotto. Demetrio Marra. Leggi la nostra recensione qui. […]