
Dying to Divorce – La violenza di genere in Turchia | Biografilm 2021
La nostra recensione di “Dying to Divorce” (2021) di Chloë Fairweather, uno dei film selezionati per la 17ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. I film in programma saranno disponibili online su MyMovies e in presenza.
Il femminicidio e la violenza di genere in Turchia sono in costante crescita. Più di una donna su tre subisce violenza domestica: è la proporzione più alta tra i paesi economicamente sviluppati. La piattaforma fondata da attiviste turche, We Will Stop Femicide, registra dal 2008 il numero di femminicidi perpetrati ogni anno: il Monument Counter ha sia lo scopo di commemorare le donne che hanno perso la vita a causa della violenza domestica riportando i loro nomi, sia quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’aumento dei femminicidi.
Ci sono donne – e non sono poche – che vengono uccise nel momento in cui tentano di fuggire da matrimoni violenti o indesiderati, da qui il titolo del documentario di Chloë Fairweather, Dying to Divorce (2021). Il fenomeno del femminicidio è tristemente legato all’autodeterminazione della donna: «it’s about women’s decisions and men trying to suppress that decision making process». Il documentario, girato nel corso di cinque anni a partire dal 2015, segue l’avvocata Ipek Bozkurt nella sua battaglia per difendere le donne turche dagli abusi e consegnare alla giustizia i colpevoli. Sullo sfondo, gli eventi politici che hanno eroso le libertà democratiche; del resto, «women omicides are political».

In particolare, Ipek Bozkurt segue, nel corso degli anni, i casi di due donne sopravvissute alle aggressioni dei rispettivi mariti. Arzu Boztaş si è sposata a soli quattordici anni con un uomo più grande di lei. Ha perso le gambe e l’uso delle braccia quando suo marito – incapace di accettare la decisione della donna di divorziare – le ha sparato ripetutamente. La giornalista televisiva Kübra Eken, due giorni dopo la nascita di sua figlia è stata colpita alla nuca dal marito, in seguito a una discussione. Ha riportato una lesione cerebrale che le ha causato problemi di linguaggio. In entrambi i casi, gli aggressori si sono dichiarati innocenti. Le due donne, seppur provenienti da contesti sociali profondamente diversi, sono vittime della stessa cultura patriarcale. Si dimostrano comunque fortemente determinate a ricostruire la propria vita e ottenere la custodia dei propri figli.
Interessante in questo contesto è il riferimento al sentimento della rabbia – in genere negato alle donne, ma rivendicato fortemente dai movimenti femministi – piuttosto che a quello della tristezza («Siamo arrabbiate. Abbiamo smesso di essere tristi»).

La regista Chloë Fairweather non solo mostra i casi di Arzu e Kübra e le conseguenze delle violenze domestiche sui loro corpi, ma alle violenze collega implicitamente il regime autoritario e la mascolinità tossica che esso promuove. Le esperienze delle donne sopravvissute – storie intime e personali – si intrecciano quindi con ingiustizie sistemiche. In Turchia, gli eventi politici degli ultimi anni, con l’ascesa del presidente Recep Tayyip Erdoğan, hanno gravemente ridotto le libertà femminili, oltre che condotto a una generale «escalation of violence». I problemi relativi ai diritti delle donne hanno origine nell’ideologia politica della nazione, nella cultura patriarcale e maschilista sostenuta dalla stessa classe politica.
È chiaro che la violenza contro le donne non sia iniziata con Erdoğan – il documentario non intende sostenere niente del genere nell’indagare il legame tra il regime e la violenza – ma si può sicuramente sostenere che l’attuale sistema politico turco contribuisca a generare un clima di tensione. Difatti, un altro tema che Dying to Divorce affronta collateralmente è la repressione dell’opposizione e delle voci dissenzienti.

Tornando al legame tra il regime e violenza di genere, nel documentario viene riportato un discorso di Erdoğan, nel quale egli sostiene l’innata disuguaglianza tra e uomini e donne, relegando le donne al ruolo della maternità. Colpisce il fatto che un uomo colpevole di violenza domestica ripeta le sue stesse parole («Come ho potuto farlo? Dovremmo baciare i piedi delle madri»).
Dying to Divorce è un documentario difficile da guardare: quello che trasmette la visione è, coerentemente con il sentimento degli attuali movimenti femministi, una forte rabbia. Inoltre, se è vero che il focus del film è la violenza di genere in Turchia, è anche vero che non si tratta di una questione a cui possiamo rivolgerci solo con l’occhio di un osservatore. La violenza contro le donne è endemica in molti Paesi, Italia compresa.
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