
Jungle – Wild, loud and free | Biografilm Festival 2021
La nostra recensione di “Jungle” (2021) di Louise Mootz, uno dei film selezionati per la 17ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. I film in programma saranno disponibili online su MyMovies e in presenza.
Louise Mootz è nata e cresciuta nel XX arrondissement di Parigi, tra i quartieri bene di Stalingrad e Belleville e a un passo dalle località turistiche più frequentate e chic della città. Stanca di dover rientrare nel cliché eterno della parigina elegante e ben educata, decide di seguire per tre anni la vera vita vissuta delle sue cinque migliori amiche e coetanee: camera alla mano, assiste allo scorrere di una quotidianità fatta di conversazioni che passano senza soluzione di continuità dalla libertà sessuale alla filosofia.

Dünya, Lila, Héloise, Bonnie and Solveig sono i nomi delle cinque supereroine protagoniste di Jungle (Concorso Internazionale), opera prima che tenta di scardinare la classica struttura del documentario attraverso una costruzione per capitoli: a ciascuna di loro vengono dedicati dieci minuti, durante i quali le cinque ventenni vengono catturate in tutta la loro contraddittorietà di giovani donne alle soglie dell’età adulta. Certe della loro indipendenza ma mai davvero libere dai gioghi che la società impone, le cinque amiche si mostrano alla camera senza imbarazzi di alcuna sorta, raccontando le loro storie, i loro corpi e le loro esperienze sin nei dettagli più intimi. Le vediamo vagare per i quartieri di una Parigi mai così poco idealizzata e buttarsi nella notte alla ricerca di emozioni forti, di esperienze risolutive che gli permettano di scavalcare quelle incertezze abissali che attanagliano tutti i giovani della loro età.

Ma se lo slogan anni ’70 «wild, loud and free» sembra essersi incarnato in loro, nulla di davvero stravolgente ci viene comunicato attraverso il racconto delle loro vite. La rivoluzione sessuale è stata compiuta, comunicata ed ereditata da generazioni ben più anziane della loro. Vivere una vita selvaggia per il gusto di distruggere lo stereotipo della brava ragazza borghese non fa altro che affermare un nuovo cliché, peraltro già in odore di muffa: quello del ribelle a tutti i costi, il viveur ormai adulto che si rifiuta di fare le proprie scelte di vita non in virtù di una volontà di rivoluzione sociale – come già negli anni ’60 -, ma per riaffermare una pretesa di autodeterminazione che, onestamente, nessuno aveva neanche iniziato a mettere in discussione. Più interessante per le scelte tecnico-estetiche che per la consistenza del contenuto proposto, Jungle resta l’interessante ritratto di una generazione che celebra una vita vissuta nella più completa libertà d’espressione e un’identità libera da etichette precostituite.
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