
The Translator – Una parola per cambiare una vita | Biografilm Festival 2021
La nostra recensione di “The Translator” (2021) di Rana Kazkaz e Anas Khalaf, uno dei film selezionati per la 17ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. I film in programma saranno disponibili online su MyMovies e in presenza.
Il traduttore è l’intermediario per antonomasia. Il suo intervento permette a persone provenienti da angoli opposti del globo di comunicare liberamente. Si tratta però di un compito estremamente delicato, perché nel passaggio tra le lingue deve restare assolutamente intatto il significato del messaggio per evitare possibili fraintendimenti. Quando il giovane interprete Sami Najjar (Ziad Bakri) accompagna la delegazione siriana alle Olimpiadi del 2000, tuttavia, non si aspetta che una parola di troppo in una traduzione possa arrivare addirittura a cambiare drasticamente il corso della sua vita. Durante un’intervista all’atleta Moneeb Bitar, a una domanda relativa al recente passaggio di consegne al governo, Najjar modifica la risposta, dichiarando che solo alcuni siriani sono tristi per la morte del presidente Hafiz al-Asad.

The Translator, il film d’esordio di Rana Kazkaz e Anas Khalaf in anteprima italiana per la 17° edizione di Biografilm Festival, comincia undici anni dopo quella parola di troppo, che ha costretto Najjar ad abbandonare la Siria per trasferirsi in Australia, dove gli viene garantito lo status di rifugiato politico. Qui riesce a ricostruirsi una vita, convolando a nozze con Julie (Miranda Tapsell), ma guarda sempre con apprensione alla situazione nel suo Paese d’origine, sempre più tesa e pericolosa per i parenti rimasti lì. Grazie alla collaborazione con l’amico e giornalista Chase (David Field), riesce a diffondere in televisione video delle proteste e dei continui soprusi da parte delle autorità ai danni dei cittadini. Tra le decine di segnalazioni ricevute, arriva anche una tragica notizia per il protagonista: suo fratello è stato imprigionato per aver sobillato le proteste contro il governo. In quel momento, Sami sceglie con estrema ingenuità di tornare in Siria nella speranza di riuscire a liberarlo, non sapendo a cosa sta andando davvero incontro.
Il film, seppur raccontando una storia di finzione, nasce dall’esperienza personale e dai pentimenti dei due registi. Nonostante vivessero a Damasco, uno dei centri nevralgici della Primavera Araba, scelsero di non prendere parte alle proteste per paura delle possibili conseguenze. Trasferitisi poi a Doha in Qatar, capirono che non potevano più ignorare la situazione e usarono il loro cinema per sensibilizzare l’opinione pubblica. The Translator rappresenta in questo frangente un progetto atipico. È un raro caso di film sulla condizione siriana che non sceglie la strada del dramma o del documentario, preferendo piuttosto il thriller con risultati talvolta contrastanti.

Se questo registro narrativo permette di ampliare il possibile target del progetto, il film funziona soprattutto quando rallenta il ritmo e lascia il tempo alla sceneggiatura firmata dagli stessi registi di raccontare il difficile rapporto tra Najjar e la Siria. Sospeso tra senso di responsabilità e repulsione verso un paese che lo ha ostracizzato per un minuscolo errore, il protagonista viene accusato dalla cognata Karma (Yumna Marwan) di nascondersi con fin troppa facilità. Di professione può proteggersi con le parole altrui e, da quel tragico lapsus, ha il privilegio di avere un passaporto australiano e di poter ignorare la situazione in cui riversa il suo paese, finché non è toccato in prima persona. Oltre al conflitto interno a Najjar, The Translator vuole indagare il modo in cui i media rappresentano la guerra tra omissioni, immagini tragiche che “non possono essere verificate” e l’impegno sul campo. Nonostante il ritmo talvolta confusionario, il thriller di Kazkaz e Khalaf riesce ad essere un’interessante alternativa alle narrazioni più diffuse sulla questione siriana e, grazie all’intreccio tra l’esperienza dei registi e la finzione, trova la voce giusta per raccontare una storia ai limiti del grottesco ma tristemente verosimile.
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