
#Unfit – Nella mente di Donald Trump | Biografilm 2020
La nostra recensione di ‘Unfit – The Psychology of Donald J. Trump’, di Dan Partland, uno dei 41 film selezionati alla 16ª edizione di Biografilm Festival, di cui Birdmen Magazine è media partner. Clicca qui per scoprire come vedere tutti i film del Festival in streaming gratuito su MyMovies (fino al 15 giugno). Un’occasione unica, da non perdere!
A practical joke that got out of hand. In Italiano suonerebbe più o meno come “una barzelletta vivente che ormai non fa più ridere”. Questo è, per alcune delle voci narranti di #Unfit – The Psychology of Donald J. Trump (in anteprima italiana al Biografilm 2020), il perfetto riassunto del primo term presidenziale del magnate immobiliare di New York reinventatosi politico per il Grand Old Party repubblicano. Le cose, afferma il documentario del regista Dan Partland (Welcome to the Dollhouse, A Perfect Candidate), sono sfuggite di mano. E, per motivarlo, sceglie di esplorare la psicologia di Mr. President selezionando fatti e corredandoli di pareri di esperti di salute mentale.
La diagnosi: narcisismo, comportamento antisociale, aggressività, sadismo, tratti che uniti danno vita alla sindrome del narcisismo maligno. Coniato nel 1964 dal filosofo e sociologo tedesco di origini ebraiche Erich Fromm per definire la “malattia” nazista, il narcisismo maligno regala un corpo alla piccola figura nera che, da qualche parte dentro di noi, sussurra che dobbiamo essere migliori degli altri, costi quel che costi. Viene in mente Eric Clipperton, tennista di fantasia poco dotato e personaggio di Infinte Jest di David Foster Wallace: pur di vincere ogni torneo di tennis a cui partecipava, Clipperton scendeva in campo con una pistola, giocando mentre se la puntava alla testa. Se avesse perso, si sarebbe sparato.
Come Clipperton, Donald Trump detesta arrivare secondo. Seduttore in capo, affarista spregiudicato, Commander-in-chief più anziano della storia degli Stati Uniti – è entrato alla Casa Bianca a 70 anni, battendo il record di Ronald Reagan, il quale giurò sessantanovenne –, primo presidente USA ad aver messo piede in Corea del Nord e, soprattutto, noto baro alle partite di golf. Il curriculum di mentitore e megalomane potrebbe, affermano i creatori di #Unfit, continuare a lungo.
Lanciato in modalità crowdfunding dal regista insieme al produttore Art Horan e a John Gartner (dottorato in psicologia clinica e co-fondatore di The Duty to Warn Coalition, associazione di medici e ricercatori che sostengono l’instabilità mentale di Trump), a pochi mesi dalle elezioni presidenziali di novembre #Unfit si rivela una risorsa preziosa per cercare di fare il punto sulla salute delle istituzioni statunitensi e inquadrare le sfide politiche che attendono non solo l’America, ma ogni democrazia di stampo occidentale.
Donald Trump, alla prova della Linguistica, parla, e twitta, a braccio, in barba alle raccomandazioni di coesione e coerenza degli speechwriter. I suoi discorsi piegano ad angolo come quelli di un amico al pub, si infrattano tra gli aneddoti e le opinioni personali, creano verità a suon di ripetizione. I suoi atteggiamenti, si propone in #Unfit, flirtano pericolosamente con quelli dei personaggi dei cartoni animati e dei protagonisti della commedia dell’arte: figure estreme, nate per incarnare monoliticamente una e una sola caratteristica.
Pur facendo proprio il petroniano motto del Totus mundus agit histrionem (“Tutto il mondo recita”), l’opinione veicolata da #Unfit è che la commedia umana che ha segnato fin qui la presidenza di The Donald abbia superato ogni tollerabile limite di durata. Il messaggio, scritto su schermate a metà tra il social network e la presentazione Power Point, è chiaro; la preoccupazione, concreta. Annoiati e affascinati al tempo stesso dalla logica dell’intrattenimento, viviamo nel Trump Show. Un format di cui, oggi, si conoscono le origini. E che si deve dunque discutere, consapevolmente, se rinnovare per una seconda stagione.
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